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(27 Agosto 2013) Enzo Apicella
Obama ha deciso di attaccare la Siria, in ogni caso.

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Siria: la guerra in cui il nostro beneamato governo ci sta trascinando

(30 Giugno 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Il vergognoso teatrino che precedette la tragedia libica si sta ripetendo. Le foto riguardanti stragi sono riportate dai media. Poiché nel caso libico le voci di bombardamento di Tripoli da parte di Gheddafi si sono dimostrate false, e la fossa comune nient’altro che un ordinario cimitero, in Siria qualcuno si è premurato di portare foto di persone realmente massacrate, senza riuscire però a dimostrare che sono vittime della repressione di Assad, essendo concreta la possibilità che siano state uccise dai mercenari, o dai jahadisti di Al Qaeda e di altre organizzazioni.

Si giustificano le sanzioni e si chiede l’intervento militare perché Assad opprime i propri concittadini? Ma, se si stabilisce il principio che la presenza di un governo prevaricatore basta a motivare l’invasione di un paese, quale nazione sarebbe al sicuro? L’Italia, con un governo che ci scortica con tasse e tagli a vantaggio delle banche e degli speculatori, una classe dirigente corrotta e inefficiente, un parlamento infingardo e carico di privilegi, un quadrifoglio di grandi associazioni malavitose (mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita), col contorno di associazioni criminali locali all’insegna del “piccolo è bello”, correrebbe seri rischi di invasione e bombardamenti. Per fortuna, non abbiamo né petrolio né gas, né materie prime strategiche.

Non ci dicono, però, le vere ragioni dell’accanimento contro la Siria.

Ce le spiega il siriano dottor Imad Fawzi Shueibi nell’articolo “Siria: centro della guerra del gas nel Vicino Oriente!”

Nel momento in cui l’area dell’euro rischia di crollare, dove una grave crisi economica ha portato gli Stati Uniti a indebitarsi per 14940 miliardi, e se la loro influenza sta diminuendo di fronte alle potenze emergenti del BRICS, diventa chiaro che la chiave per la rivincita economica e il dominio politico risiede principalmente nel controllo dell’energia del 21° secolo: il gas. Poiché si trova al centro del più colossale giacimento di gas del mondo, la Siria è nel mirino. Le guerra del secolo scorso sono state per il petrolio, ma ora inizia una nuova era, quella delle guerre per il gas.(1)

Non si tratta solo delle risorse esistenti in loco: nel luglio 2011 l’Iran ha firmato un accordo concernente il trasporto del suo gas attraverso l’Iraq e la Siria. Tutto questo s’inquadra nella grande competizione tra i grandi progetti russi (North Stream e South Stream) e quello patrocinato da Washington (Nabucco). Il primo collega direttamente la Russia e la Germania, passando attraverso il Baltico, il secondo attraverso il Mar Nero collega la Russia con la Bulgaria, poi si divide in un ramo che va in Grecia e Italia del sud e un altro che va in Ungheria e Austria.

Il Nabucco parte dall’Asia centrale, passa per Turchia, Bulgaria, Romania, Austria, e da lì verso la Repubblica Ceca, Croazia, Slovenia e Italia. Quest’ultimo progetto è in forte ritardo per una serie di motivi tecnici, ma anche perché Mosca compra il gas dell’Asia centrale e del Mar Caspio, vanificando gli sforzi per il Nabucco. Questo spiega anche il furore della Turchia che, in caso di fallimento del Nabucco, sarebbe tagliata fuori dalle grandi linee del trasporto prodotti energetici. Per questi motivi, il Nobel per la guerra Obama ha delegato la Turchia a intervenire sul confine della Siria, una sorta di leasing militare.

Non sono in questione nobili ideali, bensì contrapposti interessi tra potenze, che si disputano il controllo di gasdotti e oleodotti, e non esitano a intervenire direttamente o per interposto stato, non arretrando di fronte a nulla. A cominciare dall’impiego di moderni lanzichenecchi.

Secondo pubblicazioni di Global Research, le corporazioni come Xe Services (ex Blackwater), che dispone di circa 20.000 soldati di fortuna e di circa 20 aerei per il loro impiego addestra i propri contrattisti tra cui molti ex militari latinoamericani negli Emirati Arabi Uniti pagando le reclute 150 dollari al giorno con denaro proveniente dall’Arabia Saudita e, secondo quanto sostiene la rivista, dopo li affittano per qualsiasi tipo di intervento militare diretto o mascherato da “rivoluzione colorata” o “caos organizzato” con il benestare morale e finanziario dell’Occidente e ora dei suoi alleati di turno arabi. Dopo la tragedia di Libia, la Siria è stata scelta come il successivo paese per le operazioni, l’obiettivo è spazzare via il governo di Bashar al Assad vicino a Cina e Russia e installare un governo filo – occidentale.(2)

Ogni tanto l’usuale falsificazione dei media viene interrotta da qualche giornalista libero:

Arrivando a Damasco, via Amman (l’altra alternativa è il Cairo) visto che gli aeroporti europei hanno chiuso i loro scali ai voli diretti in Siria, si viene subito colpiti da una atmosfera ovattata. Il vociare caotico che da sempre caratterizza strade piazze e mercati di Damasco sembra essere scomparso, lasciando il posto ad un clima nervoso e preoccupato.
Ma di carri armati, assetti di guerra e coprifuoco nessuna traccia. Nessuna traccia di esercito a Damasco. Eppure ero partito da Roma con nella testa ore e ore di notizie su bombardamenti e militarizzazione del territorio: la realtà, almeno a Damasco è invece ben diversa: trovo una città certamente preoccupata, ma con tanta voglia di vivere e di reagire. Una città piena di voglia di normalità.
(3)

Una chiara conferma del carattere pretestuoso della guerra viene anche da un intervento di Ron Paul al Congresso degli USA.

Quando attaccheremo la Siria? I piani, le voci, e la propaganda di guerra per attaccare la Siria e deporre Assad sono in circolazione da molti mesi.
La settimana scorsa, però, è stato riportato che il Pentagono ha infatti messo a punto piani per realizzare ciò. A mio parere, tutte le prove per giustificare questo attacco sono false. Non hanno maggiore credibilità dei pretesti adottati per l’invasione dell’Iraq del 2003 o l’attacco alla Libia del 2011.”
(4)

Si noti che Ron Paul non è un giovane di sinistra, un contestatore del sistema, ma un settantasettenne esponente conservatore del partito repubblicano, comunemente soprannominato “campione della costituzione”.

Tutto questo definisce la natura di questa guerra, squallida avventura per il gas. E’ interesse dei lavoratori e di tutti gli sfruttati chiedere che né un uomo né un soldo venga impiegato in questa guerra.

E’ importante ogni voce che si pronuncia contro l’intervento militare, ma questo non ci deve impedire di valutare la correttezza e l’incisività degli appelli. Si consideri, ad esempio, quello di Peace Link: “Secondo le stesse autorità turche il caccia aveva violato da poco lo spazio aereo siriano e, per di più, sarebbe prassi dell'aviazione turca sconfinare oltre il limite di 12 miglia delle acque territoriali siriane. La Nato condanni gli sconfinamenti degli aerei militari turchi in Siria e non aggravi la tensione nell'area, nella quale è importante che l'Onu svolga al meglio la sua opera di risoluzione del conflitto”. “....il Ministro degli Esteri italiano Terzi ha mostrato un atteggiamento ostile verso il governo siriano proprio mentre l'Onu e' impegnata in una difficile missione tesa a fermare gli scontri armati tra l'esercito di Damasco e gruppi dell'opposizione.(5)

La Nato, responsabile principale degli eccidi compiuti in Libia, con i suoi bombardamenti all’uranio impoverito, i finanziamenti e la consegna di armi ai “ribelli”, senza guardare tanto per il sottile se si trattava di esponenti di Al Qaeda, per non parlare degli interventi, tra il guerrafondaio e il grottesco, della Signora della guerra Clinton, dovrebbe condannare la Turchia per le operazioni che essa stessa le ha ordinato di fare? E’ un po’ come chiedere a Toto Riina o a Provenzano di sgridare i mafiosi perché prevaricano o uccidono. E il ministro Terzi, cos’ha di diverso rispetto al duo Frattini-La Russa, che hanno chiesto l’intervento in Libia, e festeggiato il centenario del primo bombardamento aereo della storia, compiuto dall’Italia nelle famigerata “impresa libica” del 1911, lanciando sul disgraziato paese migliaia di bombe democratiche? E l’ONU è l’organismo che, con l’ipocrita formula della “no fly zone”, ha dato una copertura giuridica a un’operazione tra le più mortifere di questi ultimi anni, le cui conseguenze nefaste sono lungi dall’essere terminate.

La lotta contro la guerra deve cominciare con una denuncia, non con una predica!

I lavoratori e gli sfruttati hanno tutto da perdere in questa guerra, anche se vengono impiegati, al posto dei coscritti, sempre più militari di professione e contractor (in parole povere, mercenari). I tagli alle pensioni, le crescenti tasse, non servono solo a rimpinguare le banche, ma anche a tacitare quel mostro che è l’industria di guerra, che, non appena i depositi di armi e gli arsenali sono pieni, sente il bisogno di trovare il suo “mercato”, e se lo procura sollecitando nuove guerre.

Il via alla guerra, che per certi aspetti è già cominciata, non è dato certo da Roma, e dai nostri ridicoli uomini politici, ma è deciso a Washington. La Libia fu aggredita col consenso di Mosca e Pechino, che vendettero il paese, anche se non sappiamo quali concessioni ebbero in cambio.

Secondo Reuters, gli Stati Uniti avrebbero autorizzato la Cina ad acquistare direttamente alle aste finanziarie di Washington senza dover utilizzare intermediari, riconoscendo uno status speciale ai cinesi e concedendo agevolazioni uniche che, secondo Reuters, sarebbero state adottate in segreto dal Giugno del 2011.(6) Al momento attuale, Pechino ha troppi legami economici con Washington per contrastarla a fondo.

E’ più difficile, invece, che questa volta, la Russia dia il via libera, perché si tratta di suoi interessi vitali, sia dal punto di vista economico (il controllo delle vie del gas), sia per questioni militari (In Siria c’è l’unica sua base nel Mediterraneo). Anche una partecipazione indiretta di Mosca al conflitto, quindi, non vorrebbe dire un aiuto disinteressato. Putin farebbe pagare fino all’ultimo centesimo le armi e gli aiuti tecnologici, e si farebbe riservare, in caso di vittoria, una quantità enorme di privilegi. Vincano gli occidentali, con l’aiuto di Al Qaeda e delle monarchie assolute arabe, o la Russia, Damasco sarà una semicolonia, anche perché non è pensabile, nei tempi brevi, una rivolta congiunta dei lavoratori americani, russi ed europei contro la guerra.

L’Italia non è una grande potenza, è un imperialismo secondario che, per tutto il periodo della guerra fredda, ha ottenuto vantaggi accodandosi agli USA, senza esporsi troppo sul piano militare. Oggi non è più così, e il crescente impegno militare non è segno di una maggiore importanza sul piano internazionale, ma è un disperato tentativo di ritagliarsi nuovi spazi economici, anche se, nel frattempo, le alleanze le impongono di rinunciare ad altri, come quello dell’Iran.

Sappiamo che le guerre non si decidono in parlamento, e che neppure l’avvicendarsi dei ministri della guerra (eufemisticamente detti ministri della difesa) serve a interrompere l’intervento. Una volta si poteva cercare di impedire la partenza dei soldati, stendendosi sui binari, come fecero le donne proletarie nella guerra del 1911, o cercare di bloccare i porti. Oggi, le forze armate sono assai più autonome anche sul piano dei trasporti, e certi metodi classici di lotta hanno perso molta della loro efficacia. In compenso, però, è più facile l’informazione in tempo reale – e anche la disinformazione purtroppo – e non è impossibile smascherare il governo, rendere la guerra impopolare, anche mettendo in risalto i continui sacrifici che richiede, non a lorsignori, che anzi ci lucrano sopra, ma alla stragrande maggioranza della popolazione. Dobbiamo capire che le chiacchiere sull’onore nazionale – in questo caso, bombardare una popolazione come si è fatto in Libia è disonore nazionale – e i richiami all’unità degli italiani, sono solo espedienti retorici per nascondere la verità: una caterva di politicanti, di speculatori, finanzieri d’assalto, fornitori, ecc., che ci guadagnano, indifferenti al sangue versato dalle popolazioni dell’altra sponda del Mediterraneo. Non si tratta di “difendere la patria”, ma di opprimere un altro popolo, di ridurre la penisola a uno stato mercenario al servizio del più grande predone dei nostri tempi, la Nato.

Il nemico da combattere non è a Damasco, è qui da noi: sono i nostri banchieri e i capitalisti, che pregustano i profitti di guerra. Dobbiamo capire che, ancora una volta, come diceva Karl Liebknecht, il nemico principale è nel nostro paese.

28 giugno 2012

NOTE

1) Imad Fawzi Shueibi“La Siria, centro della guerra del gas nel Vicino Oriente.” http://www.voltairenet.org/La-Siria-al-centro-della-guerra, traduzione di Alessandro Lattanzio.

2) Vicky Pelaez, “Sarà la Siria la prossima destinazione dei mercenari latinoamericani?” – Ria Novosti, Traduzione a cura del CeSPIn 25 marzo 2012.

3) Maurizio Musolino (giornalista, esperto tematiche mediorientali) “Siria cosa accade”. Punto Critico, 08 maggio 2012.

4) Ron Paul, “Quando attaccheremo la Siria? L'intervento di Ron Paul al Congresso degli USA” Fonte: http://coriintempesta.altervista.org/blog/quando-attaccheremo-la-siria, 19 giugno 2012.

5) “Il caccia turco non sia un pretesto per un intervento Nato.” http://www.peacelink.it/pace/a/36511.html.

6) “USA: si all’acquisto diretto di treasuries dalla Cina”, Economy on line, 23 maggio 2012.

Michele Basso

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