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Per una verità non condivisa

(7 Luglio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.cattolicesimo-reale.it

Per una verità non condivisa

foto: www.cattolicesimo-reale.it

(contributo di Gianluca Paciucci sulla sentenza della Diaz)

Vi sono dei giorni in cui quello che sognò Simone Weil, e cioè una verità che «abbandona il campo dei vincitori», sembra vicino: la sentenza della Corte di Cassazione del 5 luglio 2012 di conferma delle condanne per il massacro della scuola Diaz ci ha reso prossimi a questo sogno.

C’è lo Stato sul banco degli accusati, e il suo «monopolio della violenza», c’è la catena di comando: ma non si riesce a risalire ai più alti gradi. L’allora capo della polizia De Gennaro, il ministro degli Interni Scajola, e quei politici (Fini, Castelli, Mantovano) impegnati in prima linea a dare una lezione a un movimento che aveva scosso le coscienze e mosso moltitudini contro l’arroganza del sistema. Movimento intelligente ed agile, e colpito nei suoi corpi: quello abbattuto di Carlo Giuliani, che attende giustizia, e quelli picchiati e violati con brutalità, con la conseguenza anche di lesioni a vita, nella scuola Diaz.

Uno Stato fuorilegge, “cileno”, che peraltro ancora oggi rifiuta l’accettazione del reato di tortura con cavilli che fanno nascere sospetti. «Non è facile spiegare perché le istituzioni italiane facciano resistenza ogniqualvolta si tenti di criminalizzare la tortura ... L’unica spiegazione che ci si può dare è anche la più triste, ossia che l’intero apparato statale si trasforma in tali circostanze in un corpo unitario che punta alla propria invulnerabilità e immunità», scrive Patrizio Gonnella di Antigone («Severino è o no contro la tortura?», Il Manifesto, 04.07. 2012). Un filo nero di violenze lega molte storie di abusi da parte di uomini dello Stato: Stefano Cucchi, Francesco Mastrogiovanni, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Giuseppe Casu, citando alla rinfusa, e indietro a Marco Ciuffreda, alle pratiche del “professor De Tormentis” funzionario dell’Ucigos negli anni Settanta-Ottanta a Roma, e a decine e decine d’altri episodi, e oggi nei C.I.E. Perché è anche questa una notizia dei primi di luglio 2012: chi si ritrova in uno di questi inferni, senza aver commesso crimini (il solo crimine commesso è l’esistenza in vita dei migranti…), potrebbe restarci in una situazione di totale arbitrio, in una zona di non diritto. Questo in base alle decisioni del giudice per le indagini preliminari di Agrigento, per cui la mancanza di un termine alla permanenza in un C.I.E. non porterebbe a spostare l’assistenza in condizioni di libertà, ma a prolungare la «detenzione di fatto senza limiti di tempo» (scrive Livio Pepino, «Detenzione senza limiti. Per i migranti si può», Il Manifesto, 03.07. 2012).

Tornando al caso Genova 2001, la catena di comando non può non risalire a quel De Gennaro allora capo della polizia e oggi sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal maggio 2012. Carriera bipartizan, con promozioni continue (Berlusconi e Prodi, in perfetta continuità), fino a quest’ultima nomina, da parte di un governo di “tecnici”. Qui vengono a cadere «verità condivisa», «patriottismo», «italianità», «solidarietà», e altre parole usate ideologicamente per coprire velenose pratiche di potere: a riassumerle tutte basterebbe la parola «omertà», o «complicità». Fino a quando una sentenza, come quella del 5 luglio sul massacro alla Diaz, permette provvisoriamente di credere che non tutto sia perduto. (Gianluca Paciucci)

cattolicesimoreale.it

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