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    Libia, Jibril dilaga. Accuse di brogli dagli islamisti

    (12 Luglio 2012)

    Le ragioni della sconfitta islamista: inesperienza politica e debole presenza nella società. E il timore libico di divenire "provincia dell'impero dei Fratelli Musulmani".

    nenanewsjibr

    giovedì 12 luglio 2012 10:32


    di Emma Mancini

    Roma, 12 luglio 2012, Nena News - Ormai la vittoria alle prime elezioni democratiche in Libia sembra saldamente nel pugno del liberale Jibril, premier uscente del Consiglio Nazionale di Transizione. I risultati dello scrutinio, seppur non completo, assicurano all'Alleanza Nazionale la maggioranza degli 80 seggi riservati ai partiti (120 agli indipendenti). Ma i partiti islamisti non ci stanno e accusano gli avversari di brogli elettorali.

    A Bengasi Jibril va oltre il 50% dei consensi, a Tubruq, Sebha e Almaya sfiora il voto bulgaro con percentuali vicine al 90%. L'Alleanza Nazionale dilaga anche a Tripoli. Immediata la reazione dei Fratelli Musulmani. Il leader del maggior partito islamista in Libia, Mohammed Sawan, ha accusato ieri di brogli elettorali gli avversari: secondo Sawan, Jibril non conquisterà la leadership se si ricontassero i voti delle elezioni di sabato scorso. "Inoltre - ha detto alla Reuters - con i nostri numeri siamo quasi certi di avere la maggioranza tra i seggi riservati agli indipendenti. Forse il risultato finale mostrerà che il nostro partito è quello vincente".

    Partiti islamisti: le ragioni della sconfitta

    Dopo le vittorie a catena dei partiti islamisti - Fratelli Musulmani in testa - nei Paesi della Primavera Araba, non ci si attendeva un risultato contrario dal voto in Libia. Uno Stato tradizionalmente conservatore e omogeneo a livello etnico e religioso: la maggioranza della popolazione, sei milioni di abitanti, è sunnita.

    Molti osservatori si attendevano che Tripoli sarebbe stata influenzata dalle elezioni dei vicini, Tunisia e Egitto, oggi governati da partiti islamisti. Eppure hanno vinto i liberali di Jibril. Le ragioni sono molteplici. In primo luogo la debolezza del voto ideologico: la Libia è divisa in comunità e tribù, più attente a dare il voto all'individuo che al partito.

    In secondo luogo, l'inesperienza politica delle fazioni candidate, dovute a decenni di dittatura. Gli islamisti si sono ritrovati frammentati contro la coalizione di vasto raggio messa in piedi dall'Alleanza Nazionale, che è stata sicuramente avvantaggiata dai nomi di spicco nelle sue liste elettorali. Dall'altra parte, i partiti islamisti - in primis i Fratelli Musulmani - non godono della stessa grande popolarità che si è registrata in Egitto. Una popolarità che al Cairo si sono guadagnati lavorando alla base della società, facendosi conoscere per le iniziative di carità e sostegno alla popolazione, affamata dal regime di Mubarak.

    Al contrario, Gheddafi non ha mai mostrato particolare simpatia per i gruppi islamici, indebolendone il ruolo e rendendo le loro attività al limite del legale. Il TIME riporta il commento di un leader dei Fratelli Musulmani, giunto a Tripoli lo scorso anno, che ammetteva candidamente di non sapere neppure quanti membri del partito fossero attivi in Libia.

    E quando il partito ha tentato di rafforzare la propria presenza negli ultimi mesi, si sono diffuse voci di collaborazione con i Paesi del Golfo - che avrebbero finanziato largamente la Fratellanza - e l'immagine del gruppo è stata irrimediabilmente intaccata: la popolazione libica non appare disposta ad accettare che le mani di regimi esteri entrino nelle politiche post-Gheddafi. E le vittorie registrate in Egitto e Tunisia, invece di svolgere il ruolo di piede di porco in Libia, sono suonate come avvertimento: il timore era quello di perdere la propria autonomia con un governo uguale a quello dei vicini, di diventare una "provincia dell'impero".

    Infine, la coalizione guidata da Jibril non si è mai pubblicamente definita "laica" e non ha mai messo in dubbio il ruolo che l'Islam può giocare nel governo del Paese.

    Chi è Mahmoud Jibril?

    Il primo presidente democraticamente eletto in Libia, Mahmoud Jibril, ha occupato la poltrona di capo dell'Ufficio per lo Sviluppo Economico Nazionale sotto il regime di Gheddafi. La sua visione politica è chiara: fare della Libia un governo stile occidentale. La ricetta: divisione dei poteri, libertà d'espressione e liberismo.

    Un progetto nato già nel 2010, quando la caduta del quarantennale regime del colonnello non era immaginabile. Ma oggi Jibril - 60enne economista, laureato all'Università di Pittsburgh - ne ha l'opportunità, grazie alla maggioranza ottenuta dalla coalizione di partiti di cui è a capo, l'Alleanza Nazionale.

    Dopo l'esperienza statunitense, Jibril è stato consulente economico di numerosi governi nel mondo arabo, per poi fare ritorno a Tripoli. Grazie al sostegno del figlio di Gheddafi, Saif Al-Islam, e al suo progetto di riforme volte a trasformare la Libia in un regime più democratico, Jibril è diventato l'interlocutore preferenziale di Stati Uniti ed Europa, che vedevano nella sua politica economica occasione di maggiore apertura alle compagnie d'Oltreoceano.

    Con lo scoppio della guerra civile, all'inizio dello scorso anno, e il fallimento del progetto riformista di Saif, Jibril si è unito alle opposizioni a Bengasi, utilizzando la sua influenza per ottenere il sostegno incondizionato dei poteri occidentali. Basti ricordare il meeting che si tenne a marzo dello scorso anno a Parigi: Jibril incontrò il presidente francese Sarkozy, poche settimane prima dell'intervento armato della NATO contro il colonnello.

    In breve, il neo presidente libico si è assicurato la poltrona di primo ministro del Consiglio Nazionale di Transizione, governo nato all'indomani della caduta del regime di Gheddafi. E oggi gode delle amicizie e le alleanze strette nel corso dell'ultimo anno. Nena News

    Nena News

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