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La crisi in Europa, i ciarlatani borghesi e noi comunisti

(18 Luglio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Ora che, nella fase attuale, la crisi generale del capitalismo pare concentrarsi con maggiore violenza nella zona dell’euro, dopo che soltanto in apparenza ha allentato la presa nella centrale imperialista americana da cui è partita, ci si può divertire a considerare la quantità di ricette salva-nazioni o salva-finanze che di continuo vengono propinate ai piccolo borghesi terrorizzati di perdere i propri beni.

Ogni scuola ha le sue diagnosi e cure, teorici e professori universitari si sono messi di impegno a proporre ipotesi di soluzione, e nel contempo litigare tra loro, ciascuno vantando la bontà ed efficacia delle sue proposte, contrapposte alle altrui, che provocherebbero soltanto nuove difficoltà e sconvolgimenti.

Anche nei mezzi di diffusione si assiste alla medesima altalena. Alle fosche previsioni di tracollo – a scopo anche intimidatorio contro i proletari – segue il moderato ottimismo dei resoconti ufficiali, delle dichiarazioni finali negli incontri ad alto livello, prontamente diffusi dalla stampa di regime che sparge ora ottimismo, ora grave senso di responsabilità. Fa, del resto, il suo mestiere.

Questa crisi profonda, che il mondo intero si ostina a definire finanziaria, si è mostrata con la mendace faccia dell’insostenibile carico degli interessi sulle obbligazioni statali dei famigerati PIGS, Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna, la cui debolezza finanziaria avrebbe innescato, altra oscena bugia, un intollerabile debito pubblico. Di seguito le solite infami teorizzazioni antiproletarie: scarsa produttività del lavoro, Stato spendaccione e burocratizzato, non più tollerabile “vivere al di sopra delle proprie possibilità”.

Per i lavoratori greci – che “lavoravano in media 44,3 ore alla settimana, laddove la media dell’Unione Europea è di 41,7” (rilevazioni Eurostat), che “hanno un livello salariale medio pari al 73% della zona euro mentre un quarto dei lavoratori greci guadagna meno di 750 euro al mese”, che hanno “pensioni d’oro” in una media di 617 euro al mese, il 55% della media della zona euro, e il tutto in costante peggioramento – la beffa di essere additati tra i responsabili della catastrofe.

Tra alterne vicende, serie, drammatiche o di pura facciata, si è avuto il momento più critico – per ora – nel teatrino delle vicende di Grecia, recenti elezioni-farsa incluse, su cui si è alla fine concentrata tutta la schiuma dei fautori di quelle argomentazioni demagogiche e fallaci.

Ma, di volta in volta, le criticità e i fronti di turbolenza si allargano e sui mezzi di informazione i sintomi messi in primo piano cambiano rapidamente. La criticità della Grecia, alla quale, alla fine, era imputabile un debito tutto sommato non enorme, benché lo erano e lo sono gli interessi da pagare in relazione alle possibilità produttive del paese, è in un momento diventata secondaria rispetto al ben più grave e sostanziale problema del sistema bancario spagnolo. Questo è strangolato non dai debiti, come ciancia la vulgata corrente, ma da crediti in quantità enorme e non più esigibili, cartaccia che non solo non produce più interessi, ma neppure può rappresentare un titolo su alcunché.

È un continuo aprirsi di fronti, di cedimenti in una struttura intrinsecamente instabile, politicamente contraddittoria e finanziariamente non più sostenibile, una volta che la pressione della crisi reale, quella nel campo della produzione, si rafforza e si estende.

Tutte le risorse della BCE si spostano su nuove ma ampiamente previste tempeste che scuotono la Unione Monetaria Europea – Spagna, Portogallo, Italia... – con la solita ricetta borghese: spostare sul “pubblico”, sugli Stati e sulla BCE, il debito che nasce essenzialmente “privato”, dalle imprese e dalle banche. Domani chissà quali saranno le “decisioni” della BCE, di fronte ad un sistema bancario “troppo grande per essere salvato, troppo grande per fallire”.

Per i grandi borghesi da tempo è iniziata una salvifica dislocazione degli “asset”, delle disponibilità finanziarie, su piazze ove potranno rendere forse un po’ meno, ma non correranno – almeno sperano – il rischio di svanire nel collasso del sistema finanziario europeo; anche i borghesi piccoli, i piccolo borghesi e molti dei lavoratori già occupati si affannano nella ricerca di una qualche sistemazione ai loro risparmiucci, che ne eviti la perdita nel paventato blocco del sistema bancario.

Debito pubblico, debito privato, monete, svalutazione ed inflazione, tassi, obbligazioni, sono parole martellate di continuo, in tutti gli accenti, in combinazioni differenti e a contorno di differenti analisi, secondo la scuola economica da cui provengono o il carrozzone a cui è legato il commentatore di turno.

Non possiamo entrare in merito a queste ardenti diatribe sul nulla, dei rimedi alla follia del capitalismo, proposte e cure che si sprecano anche da parte di tutti i sedicenti sinistri, servi ignobili della borghesia. Rimedi tutti che poco ci riguardano e, quando proprio avessero della efficacia, ne saremmo avversari assoluti. Quello del disastro del campo finanziario è un tema che dobbiamo affrontare specificamente all’interno delle linee generali del marxismo, e secondo la nostra ottica rivoluzionaria della teoria del crollo. Non vogliamo competere con i professionisti delle teorie del capitalismo-al-meno-peggio, che però, a quanto pare, non trovano di grandi soluzioni!

Su una cosa sola, ma fondamentale, gli economisti sono in totale accordo, uniti in un solo palpito appassionato: il capitalismo non deve sparire. Anche se, come oggi, si dimostra che non può essere migliorato, riformato, “umanizzato” o moralizzato deve mantenersi, sempiterno, insieme all’infernale sodale, il mercato, che tutto vede, regola, definisce e spiega.

Noi stiamo da un’altra parte. Tutte le contorsioni ideologiche, le teorizzazioni su come migliorare, correggere, rendere sopportabile questo stato di cose sono contro la nostra visione del mondo, la nostra scienza.

Di salvare l’euro e la Comunità Europea, di risolvere il problema del debito e, prima di tutto, del destino dei loro Stati e delle loro casse vuote, non ce ne importa nulla. Siamo avversi e ci auguriamo fallisca ogni ricette per salvare il salvabile, ridare ossigeno ai mercati, edificare una “nuova” società fondata non su Stati nazionali contrapposti ma sulla “comunità dei popoli”, pacifici e commercianti, razionalmente controllare i mercati, equi, senza speculazione e ingiustizie, e via di questo passo. Nostra visione unica e totalizzante il Comunismo, la rivolta dei reietti di questa società, che distrugga gli Stati borghesi e sopprima per sempre i rapporti di produzione fondati sul capitale, il salariato ed il mercato.

"Comunismo" n. 72 - giugno 2012

Partito Comunista Internazionale

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