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Fiat... prendi i soldi e scappa

Fiat... prendi i soldi e scappa

(7 Febbraio 2010) Enzo Apicella
La Fiat chiuderà lo stabilimento di Termini Imerese.

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    (28 Luglio 2004)

    In Germania (Siemens; DaimlerChrysler), in Francia (Bosch), in modo strisciante anche in Italia (Zoppas Electrolux), il padronato ha sferrato un attacco concentrico contro la classe operaia: o accettate di lavorare di più a parità di salario, o chiudiamo e trasferiamo gli stabilimenti all'estero, nei paesi dove gli operai accettano salari più bassi e condizioni di lavoro peggiori.

    Sul piano economico-scientifico, si tratta di un ricatto teso ad ottenere un aumento del plus-valore assoluto, tramite l’allungamento della giornata lavorativa (a parità di salario). Gli operai tedeschi e francesi, finora, hanno ceduto al ricatto, accettando contratti in tal senso. Gli operai italiani stanno, per ora, tenendo ancora duro (ma fino a quando?).

    Sul piano europeo, si può dire che la manovra, attuata negli ultimi anni, di riportare, flessibilizzandolo, l’esercito industriale di riserva al livello pre-2001, si è completata in Germania e in Francia, e si sta completando in Italia (ove si è compiuta la formalizzazione legislativa della sovrapopolazione stagnante). Questa manovra rientra nel più vasto quadro di misure tese a rianimare il saggio di profitto, che si era (nuovamente) appiattito a partire dal 1° trimestre del 2001 (così come sta facendo, ricorsivamente, a partire dalla prima grande crisi recessiva dal secondo dopoguerra, iniziata nel 1973).

    La de-localizzazione produttiva, cioè la ripresa degli investimenti esteri diretti (ide), o meglio l’esportazione di capitale finanziario nella forma degli investimenti industriali, è divenuta in questi anni una pratica comune, data l’estrema mobilità territoriale raggiunta dalle imprese, non solo da quelle multi-nazionali. Anch’essa rientra nel novero delle misure tese a rianimare il saggio calante del profitto industriale, e superare il periodo di crisi da sovra-accumulazione, che aveva portato alla prevalenza degli investimenti di “portafoglio”, cioè l’esportazione di capitale finanziario sotto forma di capitale monetario da speculazione.

    In realtà, entrambe le forme di esportazione di capitale finanziario (produttivo e monetario), hanno incontrato e incontrano, strada facendo, ostacoli crescenti dovuti alla concorrenza inter-monopolistica e inter-imperialistica: l’Italia ara la Romania, ma urta col capitale tedesco, il quale – a sua volta – svanga in Ungheria, in Cekia, ecc. ma cozza col capitale Usa; ecc. I media, solitamente, non parlano di questi attriti, o veri e propri contrasti e conflitti: anzi, le news che ci vengono propinate hanno la funzione di distrarre l’attenzione dai, e nascondere i, problemi reali.

    Pertanto, anche se il ricatto esterno (trasferisco l’azienda altrove) è reale, in realtà esso prende piede e consistenza soprattutto grazie al consolidamento della sovrapopolazione stagnante, interna.

    Come reagire? Gli operai minacciati potrebbero, tenendo presente le considerazioni di cui sopra, reagire in due modi: assumendo come obbiettivo unificante, tra occupati e dis-occupati, un salario minimo garantito che permetta ad un proletario di sopravvivere in ogni situazione (esternalizzazione o de-localizzazione aziendale, chiusura di reparti o di stabilimento, cassa integrazione o licenziamento); e, nei casi di minaccia reale di chiusura dell’azienda, per qualunque motivo, trasferimento all’estero o altro, mediante la sua occupazione e il blocco dei macchinari, delle materie prime, e del magazzino (in Argentina, il movimento di occupazione delle fabbriche va avanti ormai da anni!).

    E’, ovviamente, materiale di riflessione e di dibattito. Ma occorre affrettarsi: non c’è più molto tempo!
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    s.b.

    Fonte

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