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Il problema non è la crisi... ma la Fiat!

(23 Luglio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa

Si ricomincia con la cassa integrazione che questa volta interessa direttamente anche chi si riteneva al sicuro e che seguendo i suggerimenti sindacali a testa china aveva accettato il ricatto per varcare i cancelli di Fabbrica Italia. Per questi lavoratori assunti da soli pochi mesi (che dopo anni di cassa integrazione avevano fatto il ‘patto col diavolo’ pur di salvarsi) ricomincia il calvario che li ripiomba nel serbatoio di precarietà a rischio-licenziamento insieme agli altri 2.500 ancora in carico a Fiat Auto e che, secondo i sindacati confederali, dovrebbero essere stati assunti da FIP unitamente agli 800 della ex Ergom. Nessuno più è al sicuro perché Pomigliano è ormai diventata una dalla quale già prendono le distanze gli operai di Cassino contro il paventato e fallimentare accorpamento produttivo con Pomigliano. La logica della Fiat è quella del biscotto avvelenato già servito da Marchionne all’Alfa di Arese (gli ultimi 70 licenziati ancora oggi stanno bloccando le portinerie) a Termini Imerese ed all’Irisbus di Flumeri.

Di fronte a questo scenario tragico per i lavoratori della Fiat e dell’indotto che si inserisce in quello della crisi e del meridione divenente ‘deserto lavorativo’ chi continua a credere alle promesse di Marchionne o è scemo o è in malafede perché, stando alla dichiarazione delle Fiat del 22 dicembre 2009 oggi a Pomigliano si sarebbero dovuto produrre 270.000 Panda, con 18 battute e 3 turni a ciclo continuo dal lunedì al sabato - con 5.500 addetti con l’aggiunta di un ulteriore incremento occupazionale (gli 800 della ex Ergom). Ciononostante la Fiat e le sue servitù sindacali ancora raccontano la favola del “trend crescente di produzione delle Panda oggi bloccato dalla crisi di mercato che costringe alla cassa integrazione”. Ma quale trend crescente! Qua si tratta di fatto di appena (quelle rare volte che tutto va bene) 650 vetture. Questo è un trend da fallimento: dopo lo strombazzato lancio mediatico e commerciale del modello oggi i numeri della produzione dovrebbero essere moltiplicati espotenzialmente per consentire la tenuta produttiva ed occupazionale! Ma si era mai vista una nuova fabbrica con un nuovo modello che va in cassa integrazione dopo appena 7 mesi dalla sua presentazione? Il fatto è che la Panda, anche se ammodernata, resta un modello vecchio la cui commercializzazione è in atto da quasi un trentennio. Ma dove sono i veri nuovi modelli? La domanda vale per Pomigliano, Mirafiori, Cassino e l’insieme delle fabbriche Fiat. L’azienda i soldi della progettazione e degli investimenti li sta versando nel portafoglio di Marchionne e della proprietà facendo business speculativo e finanziario con la chiusura delle fabbriche e la delocalizzazione produttiva. Vero è che il problema non è la crisi ma la Fiat!

Oggi di fatto la produzione, già ridotta ai minimi termini è in ulteriore contrazione né la questione è risolvibile con fantasiosi “accorpamenti produttivi”. I lavoratori a rischio licenziamento sono tutti (sia quelli di FIP che di FGA senza dimenticare ex Ergom e le migliaia di addetti all’indotto). Questa è la situazione oggettiva che rende le ‘gambe corte’ al piano-fantasma di Marchionne (all’epoca magnificato anche dal segretario nazionale della Fiom Gianni Rinaldini, col solo Slai cobas all’opposizione che già anticipò nel dettaglio gli scenari attuali). Il fatto è che Marchionne ed i suoi complici stanno portando alla sfascio stile Spagna e Grecia la Fiat, le stesse cose che il governo Monti (ex collega in Fiat di Marchionne) sta portando all’Italia.

La Fiat dopo aver cannibalizzato l’Alfa Romeo nel 1986 (regalatagli dall’allora presidente dell’IRI Romano Prodi e col l’appoggio di un vergognoso accordi sindacale firmato con FIOM-FIM-UIM) non ha mai rispettato le clausole del contratto di cessione che prevedeva la tenuta degli stabilimenti ed il rilancio del marchio in Italia e nel mondo. I lavoratori hanno subito gravi danni economici e il marchio è in vendita e/o in produzione in vari stati del mondo, il danno sociale ed economico pubblico è grave.

Come per la Repsol requisita in Argentina oggi si pone il problema della restituzione al pubblico del brand e degli stabilimenti Alfa Romeo, dei finanziamenti multimiliardari concessi dallo Stato alla Fiat e dei proventi realizzati dal Lingotto con la speculazione industriale quali, ad esempio, la vendita dei suoli (milioni di metri quadrati) di Arese in funzione della speculazione Expo 2015: lo Slai cobas si sta attivando anche per questo, ma gli operai tutti, con coerenza e coraggio, dovranno fare la propria parte!

19 luglio 2012

Slai cobas Fiat Alfa Romeo e terziarizzate - Pomigliano d’Arco

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