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Bioetica: obiezione di quale coscienza?

(31 Luglio 2012)

bioeticafetente

Il documento approvato a maggioranza dal Comitato di bioetica blinda il principio e il diritto all’obiezione di coscienza e lo definisce “costituzionalmente fondato”. Il diritto infatti, che riguarda principalmente - ad oggi - l’interruzione volontaria di gravidanza normata dalla legge 194, sarebbe null’altro che un’appendice del più ampio e inviolabile “diritto alla vita”. I numeri del testo approvato e il contenuto restituiscono un ritratto preciso di quale sia la corrente culturale predominante della bioetica che decide in Italia. Allineata con la morale cattolica, ma ben riposta dietro al pretesto formale del diritto naturale.

Assurdo che di fronte a vuoti legislativi bioetici severi del nostro sistema legislativo, il lavoro del Comitato vada tutto nella direzione di ribadire e scudare un principio che funziona, de facto, da deterrente a ogni liberalizzazione effettiva della legge su questi fronti. Basta citare la legge 40 sommersa dai mille ricorsi per incostituzionalità o la legge sul fine vita, trasformatasi in una bega tra notaio e medico, con la totale sparizione dell’autodeterminazione del paziente.

Senza il disturbo di voler ingaggiare un’analisi filosofica sul diritto alla vita e alla coscienza, sarebbe interessante capire cosa succede, come succede, se il diritto all’aborto, in alcuni ospedali e in alcuni periodi dell’anno su intere regioni del paese, viene di fatto vanificato e negato per la massiccia presenza di medici e sanitari obiettori. Se è giustificabile che una legge dello Stato sia soppressa dalla morale di un individuo, dovremmo considerare possibile allora, e legalmente non sanzionabile, che se in un ospedale tutti o quasi i medici si convertissero improvvisamente alla fede di Geova, potrebbe essere nei fatti impossibile o anche solo difficilissimo ricevere una trasfusione di sangue.

Del resto le credenze religiose hanno tutte pari dignità e non ci sono strumenti condivisi per stabilire una graduatoria tra le confessioni di fede, le credenze o le teorie del bene. Ognuno è libero di professare ciò in cui crede.

Se quindi non è misurabile il grado di attendibilità di una fede anche banalmente con la conta degli adepti e il criterio della maggioranza, pena l’imposizione per tutti della stessa religione, è solo la legge, universale, che può contenere e salvaguardare la libertà di coscienza e il suo diritto di esercizio. Da parte di tutti. Di chi crede che un ovulo fecondato sia uguale ad una persona e chi crede che non sia così.

Il Comitato di bioetica sa bene che lo Stato italiano si è già espresso sulla materia non equiparando, come è per i cattolici, l’aborto all’omicidio. E’ l’esistenza della legge 194 a testimoniarlo. L’omicidio è un reato, l’aborto no. Ma se la legge perde il suo valore di esigibilità assoluta, non è legge, ma consiglio. Il testo del Comitato quindi, approvato per tutelare gli obiettori lancia in buona sostanza numerose ombre sul futuro perché invece di ribadire quanto stabilito dalla legge, prova a scalzarla, a inficiarne la garanzia, a incrinarne la coerenza logica con l’argomento della persuasione.

Se è vero che un medico unisce sempre al dovere della legge quello morale e deontologico, è vero anche che il secondo non può soppiantare il primo. Altrimenti perché il medico di Eluana sarebbe giustamente finito a processo? Perché non c’è una legge sul fine vita e nonostante le ragioni della pietà e del rispetto del testamento di Eluana, anche tra i sostenitori di papà Englaro, sembrassero più forti, era doveroso che lo Stato ottemperasse alla sua legge. Che poi da Eluana in poi la norma dovesse evolversi per onorare la libertà di morire come ciascuno vuole è un’altra storia ancora.

E’ un filo sottile quello che impedisce ad un paese liberale di trasformarsi in uno stato etico. Dalla morale e mai dalla credenza nasce la legge. La morale contempla tutti e il fatto razionale e morale è che nessuno può affermare secondo scienza, legge e coscienza che un embrione sia uguale ad un bambino. Che abortire sia assassinare. E’ cosi che il Comitato di bioetica ci porta indietro di parecchi anni quando le donne che abortivano venivano marchiate, secondo ragione pubblica, di peccato e di infamia. Come se scegliere secondo la propria coscienza equivalesse a non averne una.

Rosa Ana De Santis - Altrenotizie

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