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La faccenda Cap Anamur e le ambizioni della politica estera tedesca

articolo di "Junge Welt" , 12.07.2004

(25 Luglio 2004)

Il dramma dei profughi svoltosi al largo delle coste siciliane ed altri trucchi per mettere in piedi un intervento “umanitario” nel Sudan.

Lunedì sera le autorità italiane avevano tratto in arresto Elias Bierdel, il direttore dell’organizzazione tedesca Cap Anamur a Porto Empedocle, nel sud della Sicilia. Con l’attracco della cosiddetta nave di salvataggio dell’organizzazione al porto della cittadina, si era concluso un braccio di ferro durato parecchi giorni. 37 profughi potevano finalmente, raggiungere la terra ferma, ma essi sono subito stati arrestati per essere avviati all’espulsione, previo verifica del rispettivo stato di profugo. Contro Bierdel e contro il capitano della nave, le autorità italiane starebbero valutando gli indizi per eventualmente aprire una procedura penale con l’accusa di “favoreggiamento dell’immigrazione illegale”.

Bierdel può contare sulla simpatia di associazioni dedicate ai profughi e di attivisti dei diritti umani. Ma vi sono almeno due indizi che fanno pensare che egli non era mosso tanto dalla preoccupazione per la salvaguardia dei naufraghi, quanto da motivi di relazioni pubbliche per promuovere una politica assai criticabile. Vero è che tra la Cap Anamur e le autorità italiane, la questione se il naufragio degli africani si sia compiuto più vicino alle coste maltesi od a quelle dell’isola italiana di Lampedusa, quando il 20 giugno i 37 furono salvati, e tuttora aperta. Ma non vi è alcun dubbio che la nave di Bierdel dapprima era attraccata a Malta, il giorno del 24 giugno. In seguito, invece di lasciare i naufraghi salvati a Malta, dal 1 luglio i tedeschi cercavano di entrare nello spazio marittimo italiano. Forse perché facendo così, la faccenda poteva acquistare una maggiore spettacolarità per la CNN e gli altri confezionatori di notizie ?

Un altro trucco consisteva nella classificazione dei profughi quali sudanesi. Sulle prime, la loro identità non era del tutto chiara. Subito dopo il salvataggio, Bierdel aveva registrato nel libro di bordo “Attualmente stiamo verificando da dove provengano i naufraghi e in quali circostanze siano partiti sul loro viaggio. Questo è difficile perché solo alcuni di loro sanno dire qualche parola in inglese.” (www.cap-anamur.org). Ma poi – e siamo sempre in alto mare – i problemi di comunicare con i naufraghi sembrano essersi risolti in fretta, considerando che su tutti i canali si racconterà la storia degli africani provenienti dal Sudan. Il trucchetto è chiaro: etichettandoli come sudanesi, la loro triste situazione si faceva inquadrare nella strategia della politica estera tedesca che, attualmente, punta a “dirigere tutti i fari dell’opinione pubblica mondiale” (il Ministro Joseph Fischer) sul Sudan. Con modi più aggressivi di quelli degli stessi USA, la Germania è determinata a spingere il Consiglio di Sicurezza dell’ONU a deliberare sanzioni contro il Sudan e politici influenti quali la Ministro per la Cooperazione con i paesi emergenti, Heidemarie Wieczorek-Zeul (SPD) e l’ex-Ministro agli Interni, Gerhard Baum (FDP) propongono addirittura un intervento militare. Per giustificare una tale richiesta, servono destini umani da poter esporre ai telespettatori per convincere l’opinione pubblica della necessità di un cosiddetto pronto intervento umanitario contro l’emergenza, all’occorrenza anche per mezzo di bombe e missili.

L’organizzazione Cap Anamur ha acquisito esperienza con la produzione di questi destini umani. Fondata nel 1979 da Rupert Neudeck, il primo obiettivo dichiarato dell’organizzazione era stato il salvataggio dei naufraghi vietnamiti, i Boat People, che si diceva essere in fuga verso un presunto occidente libero. Nel 1997, il Sig. Neudeck era presente quando l’opposizione congolese, appoggiata dagli USA, cacciò il dittatore Mobutu da Kinshasa. Di nuovo all’assalto dell’ideologia socialista, egli partecipò all’azione in Corea Settentrionale che poi, nel 2002, all’improvviso fu interrotta. Particolarmente sospettabile era il suo impegno per i Balcani: Neudeck appoggiava la propaganda anti-serba della NATO in Bosnia e nel Kosovo senza se e senza ma. Bierdel, all’epoca ancora corrispondente della (TV tedesca) ARD, si dava da fare per corredare le storie-horror raccontate dall’allora Ministro alla Difesa Rudolf Sharping con piccoli aneddoti raccolti qua e là. Con ciò, il giornalista si qualificò per diventare, l’anno scorso, successore di Neudeck alla guida di Cap Anamur.

In una specie di copione della campagna anti-jugoslava, le potenze occidentali stanno conducendo contro il Sudan una crociata con l’arma delle bugie umanitarie. Il punto d’attracco della campagna è la situazione creatasi nella provincia di Darfur, dove risiedono 7 dei complessivamente 31 milioni di sudanesi e dov’è in atto una guerra civile tra popolazioni africane ed arabe. Lo strazio dei profughi sarà aumentato dalla stagione delle piogge che sta per iniziare in questi giorni, rendendo le strade inutilizzabili per il trasporto dei beni di soccorso. Secondo gli esperti dell’ONU, 350 000 persone rischiano di morire di fame entro breve in questa regione, dove divampa la crisi.

Intanto, il problema non sono le cifre, difficilmente verificabili – anche diecimila morti farebbero una tragedia umana spaventosa – bensì le attribuzioni unilaterali delle responsabilità. Secondo la propaganda occidentale, gli unici responsabili per l’esacerbarsi della situazione sarebbero le milizie cavallerizze arabe, i cosiddetti giangiawid che, appoggiate da truppe governative, starebbero saccheggiando villaggi africani. Le loro offensive avrebbero già creato 30 000 vittime negli ultimi mesi – così almeno ci riferiscono gli esperti dell’agenzia Reuters. Di conseguenza, i fautori dell’intervento militare, ripetendo il copione propagandistico collaudato nella campagna balcanica, non parlano di una guerra civile, ma insistono sul termine di “pulizia etnica” (parole di Kerstin Mueller, sottosegretario al Ministero degli Esteri) e di “guerra di espulsione” (FAZ, 27.05.04). Delle volte, ci vuole qualche creatività terminologica per potere adoperare tale pesante armamento linguistico con la sua carica di precisione – in presenza di fatti tutt’altro che trasparenti. Così ad esempio, il Segretario Generale dell’ONU Kofi Annan, a fine giugno, si esibiva in esercizi da funambolo semantico spingendosi “al limite della pulizia etnica”, ed anche il Segretario di Stato USA, Colin Powell, si disse incerto se siamo “di fronte alla fattispecie del genocidio ai sensi della legge internazionale”.

Ma di sofisticherie di questo tipo, Christa Nickels non ne vuole sapere: nonostante la Presidente della Commissione parlamentare per i Diritti Umani, durante il suo viaggio esplorativo intrapreso in maggio non si sia mai spinta fino alla regione dove divampa la crisi, al suo ritorno seppe raccontare con precisione che vi sarebbe in atto “in sostanza, un genocidio”. Intanto, il premio come campione delle campagne di pubbliche relazioni dovrebbe spettare al portavoce dei ribelli di Darfur il quale aveva dettato ad un giornalista la frase, trascritta sul computer portatile di quest’ultimo: “questa è la nostra Srebrenica”. Qualcuno, a Darfur, sapeva benissimo quali parole d’ordine occorre impiegare per fare scattare il riflesso interventista dell’Europa.

*Nota:

Jürgen Elsässer, giornalista per la Junge Welt e precedentemente per Konkret, è l’autore, tra l’altro, di:

Menzogne di Guerra, pubblicato da Città del Sole, 2002

Titolo originale:
Kriegsverbrechen – Die toedlichen Luegen der Bundesregierung und ihre Opfer im Kosovokonflikt, KVV Konkret-Verlag, Amburgo, 2000

Kriegsluegen – Vom Kosovokonflikt zum Milosevic-Prozess, (edizione allargata del precedente titolo), Karl Homilius Verlag, 2004.

Il presente articolo è stato scritto per Junge Welt: http://www.jungewelt.de

Jürgen Elsässer

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