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(15 Maggio 2012) Enzo Apicella
15 maggio del 1948: ha inizio l'espulsione del popolo palestinese dalla propria terra. Oggi i profughi palestinesi sono 4 milioni e mezzo

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Colombia: Verso la fine della guerra?

(31 Agosto 2012)

Il punto interrogativo è d’obbligo. Sono stati molti negli ultimi decenni i tentativi di porre fine a una lotta che ha ormai mezzo secolo, e sono tutti falliti perché il disarmo era sempre unilaterale, e i corpi militari e paramilitari rimanevano intatti e sterminavano gli ex guerriglieri mentre si accingevano a partecipare a elezioni che credevano democratiche.

Non ho mai apprezzato le pressioni che da varie parti, e in particolare da Cuba e Venezuela, venivano fatte sulle FARC perché deponesse le armi, e tantomeno che il governo del Venezuela abbia accettato di consegnare o lasciare rapire sul suo territorio esponenti delle FARC o giornalisti accusati di essere fiancheggiatori della guerriglia solo perché fornivano un’informazione scomoda per il regime di Bogotà.



Naturalmente molte delle azioni delle FARC, e in misura minore dell’ELN, sono state più che discutibili. Tuttavia non si può dimenticare che la scelta delle forme di lotta è una questione di esclusiva competenza di chi sta in prima linea. Altra cosa sarebbe se esistesse una vera organizzazione rivoluzionaria riconosciuta, internazionale o almeno continentale, per proporre una soluzione. Un’organizzazione di partiti e di movimenti, non come l’ALBA, che è composta da Stati i cui apparati sono gli stessi creati durante la lunga e incontrastata dominazione imperialista. Ma questa struttura non c’è, e la vaga promessa di una Quinta Internazionale fatta da Hugo Chávez è durata lo spazio di un mattino, ed è stata dimenticata.



La sospensione della lotta delle FARC e l’inizio di una trattativa con il governo di Santos (assassino e spergiuro), che ha sempre avuto al suo fianco consiglieri statunitensi e israeliani, è stata annunciata ma si concretizzerà solo dopo un’incontro che si terrà non più all’Avana come quelli preliminari, ma a Oslo. Chissà perché, speriamo che non sia una beffa aver scelto la sede in cui cominciò la grande truffa del disarmo della resistenza palestinese.

È un diritto comunque delle FARC tentare ancora una volta, e come ritenevo di con poter condividere le raccomandazioni perché cessassero la lotta armata, non posso neppure rifiutare loro il diritto di un ennesimo tentativo di chiudere una vicenda che ha pesato moltissimo anche su molti colombiani innocenti.

Oltre ai molti commenti entusiasti e fiduciosi, comunque, devo segnalarne almeno uno più critico e anche amaro, di un militante del Tejido de Comunicación y de relaciones externas para la verdad y la vida del Valle del Cauca, Manuel Rozental, che valuta l’accordo come un pessimo segnale, quello che sarebbe giunto il momento di “spartirsi il bottino di guerra”.

Nel Valle del Cauca molti hanno il dente avvelenato con le FARC, che hanno spesso usato gli indigeni come ostaggi, e che da tempo non appaiono loro come un’organizzazione rivoluzionaria, dato che “non esigono più una trasformazione strutturale del regime e non lottano contro il suo modello”. Da tempo la guerra avrebbe come scopo solo riforme che non alterino il “Libero commercio” e che lascino il paese nelle mani delle multinazionali. Anzi la Colombia è diventata intanto una “punta di lancia di un progetto regionale transnazionale”.

Il progetto di pace in realtà sarebbe solo una tregua tra due gruppi armati, che garantirà il “reinserimento” dei combattenti, e secondariamente un “processo” per avviare riforme a lungo termine (che nessuno è però davvero interessato a realizzare).

In particolare l’estrema destra fascista non vuole affatto gli accordi, perché realizza affari con la guerra, mentre le sinistre tradizionali punteranno a partecipare ai negoziati come se dovessero portare a una trasformazione del regime. Ma non è di questo che si tratterà e d’altra parte non ci sono le condizioni per negoziare questo, né capacità per farlo, soprattutto perché in genere queste sinistre hanno già accettato di non modificare il modello. L’unico che otterranno, prosegue Rozental, sarà di trasformare un processo che dovrebbe essere rapido e concreto in uno lungo e complicato, il cui fallimento sarebbe quasi inevitabile.

Meglio che firmino in fretta, e che intanto il popolo, fuori di questi tavoli, si mobiliti per ottenere un paese diverso. E che firmino con la minore ingerenza esterna possibile. Non sarà pace, ma almeno la fine di questa guerra, e questo potrà dare ossigeno ai movimenti, che non saranno più schiacciati in mezzo ai contendenti.

Quanto alla cosiddetta “società civile”, partiti, sindacati, ONG, che pensano di approfittare del processo di pace per ottenere vantaggi e parte del bottino, almeno rimarranno esposti alla vista di tutti, in modo che i movimenti e le comunità di base possano distinguere, senza aver sopra di loro questa guerra tra “noi” e “loro”. Insomma Rozental ci propone una visione critica, ma non senza speranza di poter approfittare della fine della guerra, l’unica cosa che si può decidere nelle trattative, mentre una vera pace “la devono costruire i popoli”.

Ma ora, non c’è che aspettare. Le trattative ad ottobre, poi gli sviluppi concreti.

Auguri, Colombia.

E speriamo che intanto, per dare un piccolo segnale simbolico ma concreto, che Santos rilasci Joaquín Pérez Becerra, che sta per essere processato come terrorista…

Antonio Moscato

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