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Silenzio sulla Libia dove dominano clan armati e miliziani

(13 Settembre 2012)

I "nuovi" leader della "nuova" Libia "democratica" danno sistematicamente la colpa delle violenze ad elementi dell'ex regime. Ma le cose non stanno proprio cosi'

ardelibia

di Emiliano di Silvestro*

Roma, 13 settembre 2012, Nena News - La comunità internazionale è sotto shock per l'uccisione dell'ambasciatore americano in Libia J. Christopher Stevens, il primo rappresentante della Casa bianca all'estero ad esser assassinato da oltre due decenni. La tragedia si è consumata durante le proteste davanti al consolato statunitense di Bengasi per la diffusione via internet del trailer di un «film», in realtà un porno, dal titolo «Innocenza dei musulmani» girato del «regista» israelo-americano Sam Bacile.

Mentre scriviamo in Libia va avanti il processo di democratizzazione, con la nomina da parte del nuovo parlamento, del nuovo primo ministro e del nuovo governo. In testa ci sono le candidature del leader liberale Mahmoud Jibril, del candidato dei Fratelli musulmani Awad Barasi, e quella dell'islamico moderato Mustafa Abushagur. Ma è un clima surreale, visto quel che accade a Bengasi. Chi negli ultimi anni ha seguito i fatti libici non dovrebbe infatti restare oltremodo sorpreso dinanzi agli orribili accadimenti delle ultime ore. Quando nel 2005 un giornale danese pubblicò dodici caricature del profeta Maometto, si scatenarono violenti rivolte in molte città del Medio Oriente, prime tra tutte Bengasi.

Quando il 17 febbraio del 2006 l'allora ministro leghista Roberto Calderoli indossò in Tv una T-shirt satirica sul profeta Maometto, una folla inferocita prese d'assalto il consolato italiano a Bengasi. La polizia libica intervenne, restarono uccise 14 persone.

L'ambasciatore americano è stato ucciso l'11 settembre, anniversario della caduta delle Torri gemelle. «A Kabul il governo afghano ha ordinato di chiudere il sito di video-streaming Youtube finché il trailer del film incriminato non sia stato rimosso». Lo si legge sul sito della Bbc. Siti vicini ad al-Qaeda riferiscono invece che l'assassinio del diplomatico statunitense sarebbe una «reazione» della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte del numero due di al-Qaeda, il libico Abu al-Libi, giunta poche ore prima dell'assalto al consolato. Già il 5 giugno scorso gli Usa avevano confermato la morte, tra le montagne dell'Afghanistan e del Pakistan, del terrorista libico, rimasto ucciso dopo l'attacco di un drone Usa. La sera stessa una bomba era esplosa davanti al quartier generale americano di Bengasi.

Come Taiz in Yemen e Aleppo in Siria, in Libia è a Bengasi che si rinfocola puntualmente, e con assai più ardore, il sentimento integralista, che ogni forma di soggezione respinge. In quella parte di Paese cioè, dove a causa della latitanza del governo centrale, più si soffre e più si spera.

È sempre a Bengasi che, lo scorso giugno, l'ambasciatore inglese in Libia, Dominic Asquith, aveva sventato un attentato nel quale erano rimasti feriti due delle sue guardie del corpo.

Ancora nella cittadina orientale della Libia, lo scorso 31 luglio, un gruppo di salafiti ha sequestrato sette operatori iraniani della Mezzaluna rossa che - nonostante l'intervento del ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi - restano tutt'ora detenuti con l'accusa di «diffondere la dottrina sciita nel Paese». Gli attacchi dei salafiti nel Paese, dall'inizio di agosto, non si fermano più fermati. Gli Ulema (un gruppo di maestri religiosi) in un comunicato ufficiale hanno dato la colpa a Saadi Gheddafi, uno dei figli del deposto dittatore, che, dall'esilio in Niger, manovrerebbe le azioni violente dei salafiti.

Duecento islamici radicali, muniti di armi e bastoni, hanno fatto irruzione distruggendo la Madrasa Othaman Pasha del centro di Tripoli dove erano conservate le spoglie di circa 30 religiosi. L'attacco ha fatto seguito alla demolizione di altri tre santuari Sufi nelle città di Zliten, Misurata e Tripoli. Non si arresta intanto l'esodo dei disperati che cercano di raggiungere le coste italiane. 11 profughi libici partiti da Bengasi sono stati tratti in salvo ieri da un Guardacoste della Finanza di Trapani a 20 miglia dall'isola di Pantelleria.

È noto ai molti - e certo al «regista» israelo-americano Sam Bacile - che una specifica legge islamica vieta qualsivoglia rappresentazione del profeta Maometto. Come chiamarla allora se non: studiata provocazione?

*Questo articolo e' stato pubblicato il 13 settembre 2012 dal quotidiano Il Manifesto

Nena News

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