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Un bel di' vedremo

Un bel di' vedremo

(16 Dicembre 2010) Enzo Apicella
In tutta l'Europa cresce la protesta contro il capitalismo della crisi

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(Lotte operaie nella crisi)

Dal Sudafrica al Sulcis, a tutti i proletari, cui si vogliono far pagare i costi della crisi: LA LOTTA E’ UNA SOLA!

(1 Ottobre 2012)

Editoriale del numero 0 di Alternativa di Classe*

1) Sudafrica. Un Paese che, anche dopo l’indipendenza, ha sofferto la dominazione della minoranza “bianca” sulla maggioranza “nera”, dove perduravano forme di schiavismo nelle miniere d’oro e di diamanti, dove poi l’aparthaid significò “bantustan”, in cui deportare le diverse etnie nere al comando di capi tribali, in rapporto privilegiato con i “bianchi”. Proprio mentre questo stato di cose ha finito per “stare stretto” alla borghesia, e le rivolte di neri potevano diventare pericolose per la continuità del suo potere, la figura di Nelson Mandela guidò l’ANC (Congresso Nazionale Africano, nato nel 1912 per portare avanti rivendicazioni popolari) verso la sconfitta di questo sistema, che venne resa definitiva dalla sua affermazione nel ’94, alle prime elezioni a suffragio universale. Fu così che la borghesia sudafricana divenne multirazziale, in uno Stato democratico, più accettato
internazionalmente, con il pluripremiato Mandela (Medaglia Presidenziale USA per la libertà del’84, Premio “Lenin” per la pace del ’90, ecc.) divenuto Presidente.
Da allora ad oggi l’ANC ha sempre mantenuto il potere, da solo o in coalizione, oggi con il Partito “Comunista” locale, riuscendo a trasformare il Paese, con la sua politica di crescita, in una vera e propria potenza d’Area. Forte di un’economia che produce circa il 40% del reddito africano e, in concomitanza con l’ospitalità ai Mondiali di Calcio del 2010, entrato a far parte dei “Paesi emergenti” del BRICS (insieme a Brasile, Russia, India e Cina!), oggi il suo Presidente, Jacob Zuma, punta ad un ruolo di primissimo piano nel continente. Dal punto di vista sociale, invece, rende l’idea della drammaticità della situazione il dato che vede circa il 40% della popolazione vivere, in media, con meno di 60 dollari al mese! Ai forti squilibri nello sviluppo agricolo fanno da contraltare le ingenti risorse minerarie (oro, argento, diamanti, platino (80% delle riserve mondiali) e uranio, ma anche carbone, ferro e cromo) e moderne industrie di trasformazione.
E’ questo il contesto in cui ai primi di Agosto è scoppiata la “rivolta dei minatori”. Gli operai della multinazionale LONMIN (3° produttore mondiale di platino, con il 12% del mondo) di Marikana, presso Johannesburg, dove si trova un’importante miniera di platino, erano scesi in sciopero per un aumento salariale, che permettesse loro di passare dai circa 450 dollari
mensili percepiti a circa 1200 dollari (in moneta locale). Non li hanno fermati né la denuncia di “illegalità” da parte della multinazionale, nè la pesantissima repressione dello Stato, che, solo nella prima settimana di lotta, ne aveva uccisi più di 40, con un enorme spiegamento di forze, nè la provocazione di 360 arresti in base ad una legge, mai abrogata (infatti, come previsto, è tornata utile alla borghesia…), dei tempi dell’aparthaid, il cosiddetto “proposito comune”, che li accusava di omicidio, quando a morire il 16 Agosto erano stati solo minatori, né l’accordo sindacale con la LONMIN, firmato il 7 Settembre dal NUM, considerato ormai “sindacato giallo” e del quale pressochè tutti hanno disdetto la tessera, e nemmeno l’assalto armato della polizia, aiutata dall’esercito, alla baraccopoli di Wonderkup, avvenuto il 15 Settembre, finanche con mezzi blindati ed elicotteri (!).
La lotta dei minatori di Marikana si è espressa in uno sciopero a tempo indeterminato, con numerose manifestazioni di piazza, l’affermazione di un giovane sindacato di base, l’AMCU, non aderente alla Confederazione COSATU, ormai invischiata con il potere politico ed economico, una forte ed attiva partecipazione a tutte le mobilitazioni da parte delle donne, che condividono la situazione dei propri compagni, fratelli e figli, e degli stessi giovani disoccupati, l’allargamento della lotta, prima alle altre miniere, di platino e non solo, che ne hanno fatti propri gli obiettivi concreti, poi ad altre categorie di lavoratori, che ne hanno condiviso lo spirito, fino al 13 Settembre, in cui si è formato un Coordinamento di delegati delle miniere in lotta, denominato “Comitato di guerra”, in riferimento alla guerra sociale in atto.
Ora la vertenza ha raggiunto un primo risultato. L’accordo firmato il 17 Settembre, con la mediazione del vescovo della regione, J. Seoka, prevede un aumento salariale immediato del 22%, che porta il salario medio a quasi 600 dollari mensili, una “una tantum” di 250 dollari a copertura del periodo di sciopero, e l’impegno a discutere nel mese di Ottobre un nuovo adeguamento. Tale accordo, laddove è stato verificato in assemblea di miniera, è passato a maggioranza, e segna, in pratica, una tregua sindacale, peraltro abbastanza breve.

2) Sulcis. E’ uno dei Distretti Industriali italiani. Si trova nel Sud-Ovest della Sardegna, in provincia di Carbonia/Iglesias, in una zona storica, con una costa incantevole, dichiarata patrimonio dell’UNESCO, come primo parco geo-minerario del mondo, data la presenza di un bacino carbonifero scoperto già dall’Ottocento, ed oggi con molte miniere dismesse. Il carbone, infatti, ha rappresentato la materia prima estratta in loco, intorno alla quale si è sviluppata gran parte dell’industria del Distretto. Oltre all’ultima miniera ancora attiva, la Carbosulcis di Nuraxi Figus, oggi in mano alla Regione Sardegna, le principali produzioni sono le Centrali elettriche SULCIS di ENEL e SARAS dei Moratti, nonché l’impianto di produzione di “alluminio primario” di Portovesme, della multinazionale ALCOA.
Recentemente si sono verificate le clamorose lotte dei minatori di Carbosulcis e quelle degli operai di ALCOA contro le minacciate chiusure dei siti, che sono stati, giustamente, entrambi occupati. In miniera modalità aggiuntiva di lotta è stata quella oggi più utilizzata in Italia, che consiste nel danneggiare se stessi o minacciare di farlo: una quarantina di
lavoratori si sono ritrovati a 400 metri di profondità con 100 kg. di esplosivo, minacciando di non uscire, mentre uno di loro si è tagliato le vene in diretta, durante un’intervista.
L’occupazione è terminata il 3 Settembre, con dichiarazione di continuare la mobilitazione.
Più incisiva è la lotta dei lavoratori dell’ALCOA, che assomma all’occupazione un’iniziativa esterna al giorno. Il 10 Settembre una delegazione
di ben 450 lavoratori è andata a manifestare a Roma, trovando la solidarietà attiva di molti; in quella occasione, quando, fra l’altro, è stato giustamente allontanato dagli operai in lotta il responsabile economico del PD, S. Fassina, che voleva inserirsi in corteo, la polizia non ha esitato a caricare gli operai, che avevano “disturbato” la quiete dei Palazzi romani… Le mobilitazioni esterne, però, non si sono fermate: è stato occupato il traghetto, hanno manifestato più volte a Cagliari (il 25-9 con 2 feriti), organizzato incontri presenziando in massa, e via così.
Le due situazioni delle principali attività del Sulcis non sono identiche, ma collegate. Sullo sfondo, naturalmente, c’è la crisi. Per quanto riguarda la Carbosulcis, storicamente la miniera produce un carbone ad alto tenore di zolfo, e, quindi, di per sé, molto inquinante; è, ovviamente, possibile una desolforazione, ma i costi sono considerati alti, e perciò continuarne l’attività risulterebbe “antieconomico”. Un’ipotesi di soluzione che si sta affermando è quella di una sperimentazione, con finanziamento misto pubblico + privato, che prevederebbe la realizzazione di una centrale elettrica, seguita da un impianto di “cattura e confinamento” dell’anidride carbonica prodotta. Per quanto riguarda lo stabilimento di Portovesme, che produce 150000 ton/a di “alluminio primario”, mediante processo elettrolitico (perciò ad altissimo consumo energetico), l’unica cosa certa è che la multinazionale ALCOA, dopo avere ricevuto, dal ’96, data della sua privatizzazione, fino ad oggi, il pagamento di più del 60% del consumo elettrico da parte dello Stato italiano, ora che la UE non permette più tali facilitazioni, e che il prezzo del suo prodotto nel mondo è crollato del 27%, vuole andare altrove a fare profitti. In pratica, la mediazione che viene chiesta al Ministero consiste nel cercare un nuovo acquirente, cui garantire condizioni di favore per stare sui mercati con l’alluminio primario.

3) Confronti. Risulta interessante qui individuare differenze e similitudini fra la lotta sudafricana e quella dei cosiddetti “disposti a tutto” del Sulcis, visto che, innanzi tutto, entrambe partono da risorse locali, dalla vita in miniera.
Per il Sulcis è fondamentale la questione energetica; una questione difficile, che, vista all’interno del sistema capitalistico, vede la soluzione in costi inferiori, che riescano a garantire maggiori profitti, e, date le fluttuazioni dei mercati, nonché accantonate le produzioni considerate obsolete, in tale ottica pare “ragionevole” la diversificazione energetica, vista la strategicità rivestita nel capitalismo da tali produzioni. Completamente diversi i criteri decisionali in un’ottica di cambiamento ed uscita da questo putrido sistema sociale: si dovrebbe riuscire a valutare come minimizzare gli sprechi (e l’aumento di entropia) in un dato territorio, tenendo conto delle tecnologie esistenti (che, in prospettiva, andranno riviste tutte sulla base di paradigmi diversi). E’ un problema di difficile
soluzione, anche perché non siamo abituati a ragionare in questi termini, mentre è urgente farlo, per la maturità, già ampiamente raggiunta dallo sviluppo economico mondiale necessari per traguardare un sistema sociale nuovo e migliore.
Qui può valere la considerazione che, in generale, in linea di principio, e fatti salvi i necessari approfondimenti del caso specifico, una materia prima da cui trarre energia in un determinato luogo, pur con determinate precauzioni, per poi essere usata sul posto a fini sociali, eliminando così lo spreco del trasporto, non può essere messa da parte solo perché il capitalismo decide che, aggiungendo anche i costi della prevenzione
primaria, “costerebbe troppo”. In questo senso, la lotta dei minatori sardi è strategicamente valida, e va appoggiata in ogni modo, indicando loro, nel contempo, modalità di lotta da rivolgere contro chi ha tratto e trae profitto dal loro lavoro, e non fisicamente contro se stessi.
Un’altra considerazione da fare è che, mentre per il Sulcis si tratta anche degli effetti della crisi su produzioni soggette agli andamenti del capitale finanziario e in un Paese della UE in
recessione, per il Sudafrica, al contrario, si tratta di materie prime (platino, oro,…) al riparo da grosse svalutazioni ed in una potenza emergente, che è cresciuta del 2,7 %, nonostante la crisi.
In entrambe le aree si sta svolgendo una lotta sindacale a tempo indeterminato, per il raggiungimento di un obiettivo, ma quella del Sulcis è puramente difensiva e sul piano della semplice difesa del “posto di lavoro” (nel caso di Portovesme, ad esempio, si chiede, in pratica, solo un nuovo padrone, da cui continuare ad essere sfruttati, senza nemmeno – almeno finora - porre la questione della garanzia comunque del salario, almeno in termini di aut-aut), mentre la lotta dei minatori di Marikana, nel difendere le proprie condizioni di vita, pone l’obiettivo di quanto necessita loro, senza vincoli predeterminati insieme alle controparti, e procede allargandosi nella propria categoria, collegando le situazioni, e
contaminando l’intero mondo del lavoro. Il Governo del Sudafrica è, infatti, preoccupato per il clima che si sta instaurando nel Paese, con la lotta che continua (il 20 Settembre spari della polizia contro le manifestazioni dei minatori della ANGLO-PLATINUM e della GOLDFIELDS) e dalle possibili conseguenze delle perdite economiche subite dalla LONMIN e dallo Stato stesso.
I protagonisti delle due lotte non hanno dimostrato coscienza della necessità di autonomia di classe, ma, mentre i lavoratori del Sulcis hanno mantenuto le proprie vecchie appartenenze sindacali, i minatori di Marikana e della “cintura del platino” sono passati dal sindacato istituzionale ad un sindacato di base, fino ad affermare livelli (auspicabilmente stabili) di autorganizzazione, a partire dalla lotta in corso.
Nel corso di entrambe le lotte, le “forze dell’ordine” dei due Paesi hanno dimostrato quale tipo di ordine difendono, ed a vantaggio di chi.
Manganellate a Roma, asassinii in Sudafrica, livelli di repressione proporzionati, soprattutto, a quanto erano considerate pericolose le lotte cui si contrapponevano.

4) Conclusioni. Le lotte descritte finora sono certamente su di un piano sindacale, ma, mentre la situazione del Distretto del Sulcis avrebbe di per sé maggiore portata politica per il livello degli obiettivi che la classe dovrebbe porsi, ad avere una maggiore valenza politica appare oggi certamente la situazione delle miniere sudafricane, perché esprime livelli di autorganizzazione, che potrebbero divenire premessa di una indipendenza politica della classe. In effetti, in Sudafrica il dissidente ex-ANC, J. Malema, ha cercato di cavalcare la lotta per fini di affermazione personale, ma il movimento ha mostrato di sapersi garantire sul piano dell’autonomia, ed ha espresso proprie figure di lavoratori, come coordinatori sindacali.
Nonostante le differenze, di cui si è già detto, tra le situazioni, ci pare giusto lavorare ad un collegamento internazionalista delle lotte dei minatori fra loro (apparso clamorosamente assente anche il semplice piano di una reciproca solidarietà internazionale, sia per la Carbosulcis, che per la LONMIN di Marikana), ma anche delle lotte dei lavoratori in genere, perché questa crisi è crisi di questo sistema sociale, e dovunque il capitale punta a scaricarne i costi sul lavoro salariato, e dunque sulle condizioni di vita dei proletari. Sono, invece, proprio queste le condizioni che dobbiamo difendere ovunque, senza accettare compatibilità imposte dal nemico di classe, e la lotta sindacale serve, oltre che per una necessaria difesa di tali condizioni, nel mentre che si sposta sempre più su di un piano politico, come terreno sul quale prendere coscienza che l’impedimento ad un diverso e migliore sistema di vita, collettiva e personale, è proprio il permanere di questa società capitalistica. Contro di essa la lotta politica classista è quantomai necessaria, ed è oggi compito dei comunisti indirizzare verso quel livello di lotta.



*Per avere una copia in pdf del giornale, contattare alter_classe@yahoo.it

Alternativa di Classe - La Spezia

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