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(19 Agosto 2013) Enzo Apicella

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Ricostruzioni edilizie in Libano dopo le distruzioni di Israele e dell'esercito libanese

Reportage dal Libano di Gustavo Pasquali

(11 Ottobre 2012)

Nel corso di vari incontri avuti dalla delegazione italiana (o da parte di essa) durante la visita tenuta in Libano dal 16 al 22 settembre 2012, in occasione del trentennale della massacro di Sabra e Shatila sono emerse alcune proposte in merito alla risistemazione edilizia dei campi profughi palestinesi, e si è potuto constatare lo stato dei lavori di ricostruzione del campo profughi palestinese di Nahr El Bared (distrutto dall’esercito libanese nel 2007) e dei quartieri di Beirut sud (bombardati dall’aviazione militare israeliana nel 2006).
Questi elementi mi spingono ad alcune riflessioni relativamente a quanto si potrebbe muovere in Libano a favore dei diritti dei palestinesi e del miglioramento delle loro condizioni di vita, senza ovviamente intaccare il diritto al ritorno alle loro case in Palestina.
Cominciamo il ragionamento dall’ultimo elemento acquisito in ordine di tempo: il giorno 25 settembre u.s. un gruppo di componenti della delegazione italiana che si sono trattenuti privatamente a Beirut sono stati contattati da Hezbollah ed invitati a visitare un quartiere di Beirut sud che nel 2006 era stato pesantemente bombardato dall’aviazione militare israeliana.
Abbiamo aderito all’invito di buon grado e nel pomeriggio, accompagnati da un esponente dell’ufficio relazioni internazionali di Hezbollah, abbiamo visitato il quartiere in questione; alcuni dei componenti del gruppo avevano visitato gli stessi luoghi subito dopo i bombardamenti israeliani, e avevano visto le immani distruzioni da questi causate, il loro stupore per quanto realizzato da Hezbollah in questi cinque anni è stato il miglior commento: tutti i palazzi distrutti sono stati ricostruiti con criteri moderni, ora nuovi stabili di oltre 15 piani svettano dove prima c’erano solo rovine, la ricostruzione è particolarmente accurata, le strade sono ampie, ben asfaltate e pulite, l’unico cantiere aperto è quello che sta ricostruendo la sede di Al Manar, la televisione di Hezbollah, ed a questo proposito non sfugge il significato politico di questo fatto: Hezbollah ha prima ricostruito la case dei cittadini, e solo ora ricostruisce la sede della sua televisione.
Vale la pena di ricordare che durante la ricostruzione gli sfollati sono stati alloggiati in appartamenti appositamente affittati da Hezbollah, il nostro interlocutore ha orgogliosamente affermato che nessun sfollato ha mai dormito in strada durante la ricostruzione della sua casa.
Il quartiere in questione è multiconfessionale, anche se a maggioranza scita, e tutte le case ed i negozi ricostruiti sono stati restituiti ai loro proprietari del 2006, senza chiedere nulla in cambio, certo Hezbollah gode dei finanziamenti dell’Iran, non è un mistero e non ne fa mistero, ma tanta buona organizzazione (ed onestà personale) dovrebbe essere presa ad esempio da chi qui da noi deve ricostruire l’Aquila e i paesi dell’Emilia terremotata.
Il giorno 21 settembre u.s. invece l’intera delegazione italiana era stata in visita al campo palestinese di Nahr El Bareb, distrutto nel 2007 dall’esercito libanese per snidare circa 150 terroristi del gruppo salafita Fatah al Islam, che avevano fatto del campo la loro base, ed in cui si erano rifugiati alcuni suoi componenti dopo una fallita rapina ad una banca di Tripoli che costò la vita ad un poliziotto libanese.
Con la scusa di snidare il gruppo l’esercito libanese svuotò il campo dei suoi residenti e lo bombardò per due mesi, radendolo praticamente al suolo.
L’incontro si è tenuto con il compagno Marwan Abdul Al, responsabile della ricostruzione del campo, da cui abbiamo appreso che se pur tra molte difficoltà (non tutti i paesi donatori onorano con puntualità gli impegni presi e a volte si tenta ancora di rallentare o impedire la costruzione di alcuni palazzi con la scusa del ritrovamento di reperti archeologici – all’inizio con questa scusa si è addirittura tentato di non far ricostruire il campo) la ricostruzione va comunque avanti, la maggior parte delle persone che prima viveva nel campo è tornata a viverci, alcune nelle case che si sono potute recuperare, altre in una “baraccopoli” di container che è la prima sistemazione provvisoria per chi rientra nel campo in attesa della casa, e che verrà azzerata al termine della ricostruzione; altri hanno preso in affitto abitazioni private nei pressi del campo, altri ancora vivono presso parenti negli altri 11 campi palestinesi in Libano; sono appena arrivate 120 famiglie dai campi profughi della Siria a causa della situazione in quel paese.
Il compagno Marwan Abdul Al ci illustra le modalità di ricostruzione del campo, sia in una panoramica di apertura dell’incontro, sia rispondendo alle domande, e sottolinea come la ricostruzione segua innanzi tutto dei criteri sociali, per cui i palestinesi profughi da uno stesso paese della Palestina abiteranno tutti nello stesso palazzo, nel palazzo vicino abiteranno quelli del paese vicino e così via, in modo da non spezzare i legami sociali e di riprodurre la “geografia” dei luoghi d’origine, come era d’altronde nel vecchio campo, ed inoltre nel ricostruire si tiene conto anche del fatto che prima della sua distruzione il campo di Nahr El Bared era economicamente il più florido tra i campi palestinesi ed era perfettamente integrato con l’economia locale, basti pensare che i libanesi residenti nei dintorni facevano le loro spese nel campo, e che in futuro si tenterà di fare altrettanto.
Il giro del campo è stato degno di nota, i cantieri fervono e si stanno costruendo una serie di palazzi che ricordano la nostra edilizia residenziale pubblica (massimo 5 piani, a differenza dei 15 di Hezbollah a Beirut sud), le strade del campo erano a suo tempo larghe, per cui a ricostruzione terminata Nahr El Bared somiglierà più ad un quartiere di case popolari europeo che al classico campo profughi palestinese; la costruzione di case nuove, moderne, con tutti i servizi e le utenze che abbiamo nelle case in Europa migliorerà di molto le condizioni di vita dei profughi palestinesi in quel campo. Inoltre va segnalato che larga parte della manodopera impiegata nella ricostruzione è composta da abitanti del campo, e questo fa si che la ricostruzione sia anche un volano per l’economia del campo e delle famiglie che ci risiedono.
E da ultimo la proposta di risistemazione edilizia dei campi profughi palestinesi, la prima in ordine di tempo che abbiamo appreso, che aveva lasciato perplessi e stupefatti molti di noi, ma che alla luce delle successive informazioni e visite non è poi una cosa da prendere alla leggera.
Infatti il giorno della commemorazione ufficiale del trentesimo anniversario del massacro di Sabra e Shatila, 18 settembre u.s., il signor Abou Said Al Khansaa, sindaco di Ghobeirie (i quartieri di Beirut sud seppur formanti una sola realtà urbanistica con Beirut sono un comune a parte, che si chiama appunto Ghobeirie, e in cui ad esempio si trova il campo di Shatila) nel suo discorso celebrativo ad un certo punto ha proposto di prendere in considerazione la riqualificazione urbanistica dei campi palestinesi da parte dello stato libanese, in modo da migliorare le condizioni di vita dei profughi; soltanto poche parole, senza specificare se si tratta di riqualificare l’esistente, di ampliare i campi con nuove moderne costruzioni, di spostare i campi in siti diversi da quelli che occupano ora, quasi una “provocazione” che però non è sfuggita a nessuno, vista anche la caratura del sindaco in seno ad Hezbollah. Ovviamente il Sindaco ha tenuto a ribadire che la sua proposta non implica la rinuncia al diritto al ritorno dei Palestinesi né vuole essere un primo passo per la loro integrazione in Libano, i Palestinesi debbono poter far ritorno alle case da cui i sionisti li hanno cacciati, così come gli riconosce il diritto internazionale.
Certamente non si tratta di una uscita estemporanea e di tipo personale, ma a mio parere è stata discussa ai vertici sulla falsariga delle ricostruzioni di cui abbiamo parlato prima, in modo da sondare le reazioni e vedere se mai come procedere.
Infatti l’imponente ricostruzione dei quartieri di Beirut sud, unitamente all’altrettanto imponente ricostruzione di decine di piccoli e medi villaggi del sud del Libano invaso da Israele nel 2006, ha portato, oltre al miglioramento delle condizioni di vita dei suoi residenti, anche uno sviluppo dell’economia: l’industria dell’edilizia (una delle poche del Libano) ha girato a pieno regime ( per ogni operaio che lavora alla costruzione di un palazzo ne lavorano altri cinque nell’indotto, nelle forniture ecc.), gli operai hanno potuto lavorare ed incrementare il loro reddito e mantenere decorosamente le loro famiglie, ma la ricostruzione è finita, come ripetere la positiva esperienza? Visto che si sta ricostruendo Nahr El Bared perché non fare altrettanto con gli altri campi? Certamente qualche testa intelligente, ed in Hezbollah ce ne sono – che piaccia o meno – ha pensato questo, una specie di “piano Fanfani” per dare ai palestinesi una casa dignitosa, a cura dello stato libanese, case che resteranno allo stato libanese quando i palestinesi torneranno alle loro case. Per finanziare una così ampia opera ci vorranno molti ma molti soldi, che lo stato libanese di certo non ha (e se li avesse non li impiegherebbe di certo così!), ma che hanno le petrolmonarchie del golfo, che in questa fase di ridisegno del medio oriente a loro favore qualcosa per tenere buoni i palestinesi dovranno pur farla, e credo proprio che Hezbollah pensi a loro come finanziatori del progetto, e a questo punto lo stato libanese non potrebbe certo rifiutare la cosa, infatti nessuno gli perdonerebbe di non incrementare la propria economia grazie ai contributi economici di altri, in fondo quella edilizia è tra le poche attività economiche degne di nota del Libano.
Ma cosa pensano i palestinesi di questa idea? Le forze politiche palestinesi che abbiamo incontrato al campo di Mar Elias nel pomeriggio del 19 settembre u.s. ( presenti Al Fatah, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, Hamas, Saika, Fatah Intifada e Jihad) interpellate sulla proposta del Sindaco di Ghobeirie unanimemente hanno ribadito che il diritto al ritorno non si tocca e non è minimamente in discussione, e che non vogliono assolutamente integrarsi nella società libanese, i palestinesi vogliono tornare alle loro case in Palestina, come gli riconosce il diritto internazionale e le relative risoluzioni dell’ONU; certamente non rifiutano aprioristicamente azioni che portino al miglioramento di vita nei campi, e anzi le sollecitano, ma proprio per questo si sono dette scettiche.
Infatti quando i palestinesi in passato hanno avanzato proposte concrete per ampliare e migliorare i campi a proprie spese il governo libanese, e gran parte della società, hanno sempre opposto un rifiuto, per paura di una possibile stabilizzazione dei profughi palestinesi sul loro territorio. Al momento non ci sono proposte istituzionali in questo senso, e solo alcune organizzazioni francesi e spagnole con l’egida dell’ONU hanno ristrutturato alcune abitazioni, ma al di fuori di qualsiasi piano generale e come loro autonoma iniziativa. Ricostruire i campi può anche andare bene, ma prima si costruisce, poi si trasferisce la gente che li abita e poi si abbattono i vecchi campi, perché non si fidano delle istituzioni libanesi, anche alla luce del fatto che dopo cinque anni la ricostruzione di Nahr El Bared non è ancora al 50%.
La questione di una ristrutturazione edilizia dei campi profughi in qualsivoglia forma non è però a mio parere più eludibile, e la proposta del Sindaco di Ghobeirie ha se non altro il pregio di mettere a nudo il problema; i Palestinesi non possono più vivere come bestie nei campi profughi, sorti nel 1948 per 100.000 persone che ad oggi sono diventate circa 500.00, ammassati gli uni sugli altri, senza luce e sole, con l’aria appestata dai miasmi dell’immondizia, con insufficienti servizi igienici e sanitari, e non si tratta di un loro problema ma anche di un problema libanese, i rischi che insorgano epidemie legate alla carenza di igiene ci sono (per rendersene conto basta andare a Shatila e farsi una piccolo giro di pochi minuti), come ci sono i rischi di una rivolta di disperati e i rischi di una illegalità di massa per sostentarsi, più semplice per il governo libanese migliorare i campi ora che affrontare anche una sola di queste possibili emergenze in futuro.
Sull’ipotetica ristrutturazione/ricostruzione dei campi profughi palestinesi si potrebbe giocare in futuro una grossa partita economica che dietro la giusta ragione di dare una vita migliore ai palestinesi fa intravedere anche un rilancio dell’economia libanese in uno dei suoi pochi settori degni di nota: l’edilizia e tutto quanto ad essa connesso, e dal momento che la ricostruzione dovrebbe essere curata dallo Stato con l’assegnazione degli appalti qualche forza politica potrebbe anche provare a mutare una parte dell’estabilisment economico e politico del paese, affidando la larga parte dei lavori a imprenditori amici.

10/10/2012

Forum Palestina

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