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(16 Maggio 2009) Enzo Apicella
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Il CIE di Lamezia è stato chiuso

(29 Ottobre 2012)

Il CIE di Lamezia Terme è stato chiuso! Questa notizia, passata quasi sotto silenzio all’interno dei media locali, rappresenta - per tutti coloro i quali nel corso di questi dodici anni ne hanno denunciato la gestione malavitosa e le pratiche repressive quotidiane – una piccola vittoria all’interno della lotta per la chiusura di tutti i lager per migranti . Alte grate, reti metalliche, telecamere atte a monitorare l’interno e l’esterno della struttura, massiccia presenza delle forze dell’ordine: è questo lo scenario che fino a ieri si presentava a tutti coloro che riuscivano ad addentrarsi fino all’ingresso della “Malgrado Tutto”, la cooperativa “rossa” che sin dalla sua apertura, ha gestito il CIE definito qualche anno fa, dall’Associazione “Medici Senza Frontiere”, il peggiore d’Italia”. Chi ha avuto la possibilità di visitarne l’interno (al seguito del parlamentare di turno, in qualità di interprete, di operatore legale o sanitario), ha raccontato di avere avuto l’impressione di essere finito in un girone dantesco: letti senza reti e senza lenzuola, finestre munite di grate ma senza vetri (anche in inverno), persone che deambulano in evidente stato di apatia a causa dei tranquillanti somministrati a gò-gò per lenire le ansie, per sedare eventuali rivolte. Il gestore, Raffaello Conte, un malavitoso lametino a capo della cooperativa “rossa”, come ha sottolineato tutte le volte che le associazioni e le realtà antagoniste hanno indetto un presidio contro l’esistenza del CIE calabrese, è stato agevolato nell’assegnazione della convenzione per la gestione della struttura, dalla sinistra moderata lametina, della quale egli ha sempre affermato di fare parte.

Il CIE di Lamezia Terme è stato, dunque, chiuso! E in questo caldo pomeriggio autunnale il mio pensiero va ad Hadmol, paralizzato a vita dalle manganellate ricevute all’interno del lager di Lamezia Terme in una notte di ordinaria follia. Ho conosciuto Hadmol nel reparto di rianimazione dell’ospedale Civile di Cosenza, dove era stato ricoverato in stato comatoso nel 2006. Al suo risveglio mi fu chiesto di effettuare un intervento di mediazione linguistica nei confronti di un “extracomunitario proveniente dal centro di accoglienza di Lamezia Terme”. Il “centro di accoglienza” era ovviamente il carcere etnico dove l’accoglienza veniva fino a ieri garantita a suon di manganellate, soprusi, abusi di ogni genere, restrizione della libertà personale. Hadmol non parlava, ma i suoi occhi esprimevano il dolore, l’umiliazione, lo smarrimento di chi ha vissuto l’orrore dell’accoglienza “made in Italy”. Un intervento di tracheotomia gli impediva di parlare, la nostra comunicazione era fatta di sguardi, occhi negli occhi, di lacrime, quelle che sgorgavano dai suoi occhi ogni volta che provavo a fargli qualche domanda, di carezze sul viso di un ragazzo di 19 anni, di cenni di diniego ogni volta che tastavo le sue mani, le sue gambe, chiedendogli se avvertisse la tattilità. Speravo quasi in un miracolo, nonostante la diagnosi dei medici parlasse chiaro: tetraparesi degli arti superiori e inferiori determinata da una frattura vertebro-midollare. Hadmol non ha mai più recuperato l’uso delle braccia e delle gambe. Il mio pensiero va a Said, un migrante marocchino lanciatosi dalla finestra dell’ospedale di Lamezia Terme dove era stato ricoverato in seguito ad un malore avuto nel CIE, suicida per il terrore di dovere tornare nell’inferno della “Malgrado Tutto”. Il mio pensiero ritorna alla notte in cui fui svegliata alle 3 da una telefonata proveniente dal lager di Lamezia Terme, una richiesta disperata di aiuto: un ragazzo aveva ingoiato una lametta e i suoi compagni di cella dopo avere inutilmente esortato gli operatori di turno a intervenire avevano deciso di chiamarmi. Solo dopo tre ore, e solo perché allertata da Cosenza, l’ambulanza giunse nel CIE, il ragazzo, ovviamente, morì dopo tre giorni di agonia agghiacciante. Il mio pensiero ritorna ai tanti, a tutti quei migranti che nel corso di questi anni hanno vissuto l’orrore della detenzione all’interno di questo CIE, all’interno di tutti i CIE presenti sul territorio, solo perché una legge razzista, una delle tante, asserisce che in questo paese si può soggiornare solo se si è in possesso di un contratto di lavoro. Un contratto di lavoro che è in realtà un contratto di schiavitù, di sfruttamento, di mercificazione della manodopera migrante.

Il CIE di Lamezia Terme è stato chiuso. Non è, ovviamente, la giustizia proletaria ad avere trionfato, è solo un provvedimento giudiziario all’interno dello stato capitalista che ha fatto della questione relativa all’immigrazione un business di affari miliardari attraverso politiche di repressione e controllo. Probabilmente nuovi lager sorgeranno nei prossimi anni sul territorio calabrese. Ma, oggi, questa notizia giunge come un riscatto per tutti coloro che ne hanno incessantemente denunciato l’esistenza. Questo provvedimento non restituirà ad Hadmol l’uso delle gambe e delle braccia, non farà tornare in vita Said e tutti i migranti che in questi anni hanno preferito il suicidio alla permanenza nell’inferno “Malgrado Tutto”, non ripagherà le migliaia di vite violentate, abusate, calpestate dagli aguzzini della cooperativa e dai servi dello stato in divisa e manganello. Da domani bisognerà riappropriarsi della lotta contro l’apertura di nuovi campi di concentramento sul territorio calabrese, ma ci piace immaginare che la struttura vuota del CIE “Malgrado Tutto”, resterà in piedi per i posteri, come monumento all’infamia, alla cecità, alla barbarie, alla disumanità, all’arroganza, al razzismo di questi anni.

Mimì - Umanità Nova (n. 32bis anno 92 Ottobre)

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