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Un bel di' vedremo

Un bel di' vedremo

(16 Dicembre 2010) Enzo Apicella
In tutta l'Europa cresce la protesta contro il capitalismo della crisi

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(Lotte operaie nella crisi)

Per non disperdere le potenzialità
espresse dal No Monti Day

(4 Novembre 2012)

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La manifestazione del 27 ottobre per il No Monti Day costituisce un indubbio passo in avanti, il cui segno positivo ci auguriamo possa non andare disperso.

Si inizia a reagire alla difficoltà ereditata dalle “proteste antiberlusconiane” svoltesi all’insegna di un’ ampia mobilitazione democratica contro il tiranno attentatore di meravigliose costituzioni nate dalla resistenza, “proteste” che nulla hanno espresso e ancor meno sedimentato quanto a coefficienti per una effettiva ripresa di classe, mentre la più gran parte dei sinceri democratici anti-cavaliere si è ritenuta appagata dal sopraggiungere di Monti, chiudendo la saracinesca alla protesta ulteriore e inchiodando il proletariato ai sacrifici “tecnici” in nome della patria da salvare.

Se la stessa Fiom ha ridimensionato la sua “opposizione” venendo a compromesso con la segreteria Camusso proprio quando il vertice della Cgil ha sancito l’accettazione piena di ogni più duro attacco antioperaio, si comprende perché la piazza italiana sia rimasta di fatto imbrigliata nell’incapacità di reagire a un attacco del capitale fattosi con Monti di molto più audace e aggressivo.

Ora la manifestazione del 27 ottobre (dopo il 31 marzo di Milano) costituisce la prima iniziativa di piazza con una partecipazione significativa di lavoratori veri, la prima reazione di classe contro le politiche dell’esecutivo tecnico.

Non è un dato irrilevante. Le forze borghesi di destra e di “sinistra” a sostegno di Monti discutono magari se la sostanza del montismo non debba essere riproposta per il futuro in altra forma, ma innanzitutto proiettano in modo bipartisan il montismo futuro (valga per rigore capitalistico antiproletario nelle varianti possibili) sul comune risultato di una classe lavoratrice che resti incapace di definire un proprio distinto punto di vista di classe sulla crisi del capitalismo, e quindi di mettere in campo una azione politica di massa e di piazza per opporsi alle politiche antioperaie iniziando a delineare la propria indipendente prospettiva.

C’è da giurare che in vista delle elezioni il tentativo di ingabbiamento e annullamento di qualsivoglia dissonante istanza proletaria procederà ancora più serrato. Ai lavoratori si vorrebbe lasciare, oltre alle proteste a difesa di posti di lavoro cancellati dalla crisi (beninteso, fintanto che si mantengano nell’alveo della disperazione che implora le istituzioni, giammai prendendo la via dell’organizzazione e della risposta di classe), la democratica libertà di votare per un centro-destra o per un centro-sinistra entrambi portatori della “linea Monti” cioè delle necessità impersonali del capitalismo.

Se questo è il quadro, a maggior ragione noi salutiamo con soddisfazione l’ampia e positiva partecipazione al No Monti Day che contro questo quadro reagisce, e diamo merito agli organizzatori per una bella manifestazione che manda all’aria, speriamo non per un giorno soltanto, il disegno dell’ampio fronte pro-Monti che ai lavoratori indica la cabina elettorale come unico strumento di un’azione politica individuale, istituzionale, controllata e imbragata in opzioni apparentemente contrapposte ma di fatto convergenti sulla salvaguardia degli interessi del capitalismo nazionale.

Balza agli occhi di chiunque le abbia frequentate la differenza tra la piazza San Giovanni della “manifestazione per il lavoro” indetta dalla Cgil sabato 20 ottobre (convocata in contraltare al vicino No Monti Day) e la medesima piazza San Giovanni del No Monti Day. Gli scarsi ranghi della prima erano popolati in larga misura di quadri sindacali in veste di supporters e agit-prop della linea Camusso-Pd, comprensiva della messa in scena di una pseudo-critica al governo Monti. Una critica fasulla che sull’altra faccia della medaglia espone il sostanziale via libera garantito all’esecutivo tecnico. La Cgil il 20 ottobre si è guardata bene dal richiamare e organizzare una qualche presenza di massa dei lavoratori, che altrimenti la sua linea bancarottiera verrebbe a contrasto, noi crediamo – e sia pur alle temperature sociali non eccessivamente surriscaldate dell’oggi –, con i problemi, la sofferenza reale, la rabbia – tuttora contenuta – di chi, vivendo del proprio lavoro, non trova nella “sinistra” ufficiale alcuna credibile possibilità di difesa contro un attacco che di giorno in giorno colpisce e minaccia l’insieme del proletariato.

Tal Scudiere della Cgil ha dichiarato sul 20: “abbiamo vinto la scommessa”. Quello stesso Scudiere che abbiamo visto sommerso di fischi e quasi impossibilitato a parlare l’ultima volta che quella piazza si era riempita di una massa vera di lavoratori, quelli della Fiom nello sciopero nazionale di categoria del 9 marzo. Scudiere e l’apparato hanno vinto la scommessa di una piazza presidiata dall’apparato con una ben selezionata partecipazione appena più ampia. Una piazza dove potessero essere facilmente isolati i pochi che intendessero incalzare la Camusso sulla necessità dello sciopero generale e che invece potesse intonare sul ritmo rock di Finardi l’ormai rituale “Fratelli d’Italia” ripetuto in coro da tutto il bonzume convenuto a corte (mentre “a coorte per la patria” e per il capitale ci spediscono i lavoratori...).

A battere le mani alla Camusso, cioè alla auto-bancarotta dei lavoratori in nome della patria da salvare, c’erano poche migliaia di persone (un dato che, però, non ci rassicura affatto su rischi comunque presenti, magari in altra versione, in assenza di un deciso contro-orientamento di classe), mentre il corteo del 27 ottobre è stato percorso da decine di migliaia di lavoratori e di giovani (totalmente assenti il 20), rimasti presenti al comizio finale in una piazza questa sì partecipata e attenta in una mobilitazione vera, non di apparati, sentita, ordinata.

Non sempre il sindacalismo di base è stato in grado di chiamare in campo settori significativi del mondo del lavoro. Il 27 ottobre ci è riuscito, confermando il dato di una discreta massa di lavoratori disposta a convergere sotto le bandiere del sindacalismo di base quando la Cgil decampa da ogni azione in funzione della pace sociale assicurata al centro-sinistra che governa (o che comunque al governo si associa). Dato per noi significativo non sul piano delle contrapposte autoreferenzialità del sindacato tricolore e di quello “conflittuale”, ma su quello (più di fondo) di un unico (potenziale) movimento di classe che cerca nelle diverse situazioni le occasioni e le piazze in cui comunque potersi esprimere.

Anche gli spezzoni politici, piuttosto smagriti e soprattutto disorientati nella piazza del 15 ottobre 2011, il 27 ottobre erano ben più partecipati (con una significativa presenza giovanile) e tonici.

Altra nota positiva è la presenza di un sia pur piccolo spezzone contro l’aggressione occidentale alla Siria.

Per non disperdere questo potenziale è necessario proseguire la discussione sui temi presenti nella piazza del 27 ottobre, dove noi abbiamo visto innanzitutto il disagio vero della nostra classe per l’attacco scatenato dal capitalismo. Una piazza che ha espresso innanzitutto questa sostanza e la volontà di reagire, quand’anche inficiata da parole d’ordine e indirizzi che a nostro avviso non contribuiscono a orientare e organizzare le forze.

Questo abbiamo scritto nel nostro volantone, criticando l’appello che chiama alla lotta contro un governo Monti che opera “sotto dettatura dell’Europa delle banche, della finanza e del governo tedesco”. Nella piazza era pur presente un grosso poster (firmato Sinistra Popolare) di una Merkel in divisa militare, mentre i compagni della Rete dei Comunisti propongono di “rovesciare il tavolo” con il programma di una nuova moneta comune dei paesi cosiddetti Pigs che si stacchino dall’euro (sarebbe questa un’“alternativa internazionalista ed emancipatrice”, mentre il ritorno alla lira sarebbe “reazionario e nazionalista”).

Su questi temi noi abbiamo diffuso il volantone (CONTRO IL GOVERNO MONTI. CONTRO LA SANTA ALLEANZA DEGLI STATI EUROPEI UNITI CONTRO IL PROLETARIATO) – pubblicato nel sito – e nel prosieguo sarà possibile, noi ci auguriamo e a ciò lavoreremo, realizzare un qualche coagulo di forze che inizi a maturare la consapevolezza di quanto siano errati e pericolosi questi indirizzi.

Laddove si rinunciasse a promuovere le potenzialità del 27 ottobre chiarendole, definendole, radicalizzandole in una reale prospettiva di classe, per deviarle invece sul terreno di una piattaforma anti-montiana in quanto anti-tedesca, si disperderebbe quel potenziale in funzione di programmi già assunti e praticati da forze dichiaratamente borghesi (si veda il “no Monti day” anti-tedesco di Berlusconi andato in scena proprio il 27 ottobre).

Vediamo di non rieditare la schizofrenia delle agitazioni antiberlusconiane, quando si sentiva raccontare insieme della totale assenza di lotte (la realtà) e di un “travolgente movimento che già aveva conquistato la maggioranza del paese”. Posto che le proposte anti-tedesche e di “nuove aree monetarie in Europa” vengono presentate come le proposte concrete di chi si misura con la realtà, vediamo di non scambiare il “rovesciamento del tavolo” (quando siamo soltanto alla “prima manifestazione”) con il subitaneo aggregarsi agli anti-tavoli altrui.

Piuttosto che prospettare supposte vie d’uscita a portata di mano “per l’Italia”, già tutte ampiamente considerate dai circoli e dalle forze borghesi cui eventualmente ci si accoderebbe, (come se poi la crisi non incombesse sull’eventuale area monetaria Pigs o sull’Italia tornata alla lira, e non fosse necessario anche in questi scenari attrezzare il fronte di classe contro un attacco che non verrebbe attenuato dalla moneta nazionale prescelta), occorre costruire ben diversamente la capacità dei lavoratori di organizzare la propria forza e capacità di lotta per contrastare credibilmente un attacco che in nessun caso possiamo attenderci che possa cessare o diminuire. Oggi di questo concretamente si tratta, e in difetto di ciò il tavolo resta piantato sugli assi imposti dalla borghesia.

Questa forza si organizza a livello internazionale e la saldatura e unificazione di forze su questo terreno non può avvenire sulla base di programmi nazionali quand’anche coordinati tra loro e allargati a un’area Pigs in Europa e con l’Italia in testa (questo non è “internazionalismo”, semmai il suo rovesciamento). Le lotte dei lavoratori devono conquistarsi la capacità di esprimere contro la virulenza dell’attacco capitalistico i propri indipendenti contenuti di classe, di lanciare segnali che non siano soltanto di generosa resistenza senza una propria prospettiva oppure con la prospettiva di una supposta via d’uscita per il proprio capitalismo nazionale. Solo su queste diverse e contrapposte basi, non sulla futura alleanza tra Stati Pigs, i lavoratori dei diversi paesi potranno iniziare a riconoscersi come reparti alleati di un’unica battaglia contro il capitalismo, contro i propri Stati, contro la santa alleanza capitalistica europea e mondiale. Solo se sapremo contribuire a questi passaggi di unificazione di un vero fronte internazionale di lotta, la nostra lotta inizierà a porsi concretamente sul terreno di un effettivo contrasto allo schiacciasassi capitalistico. E allora avremo cominciato a iscrivere concretamente nella nostra prospettiva l’unico e vero rovesciamento del tavolo che ci compete.

Di questo percorso di complessivo riattrezzaggio noi vediamo alcuni coefficienti e le premesse nella piazza del 27 ottobre e ci disponiamo a valorizzarli per poter superare in avanti i limiti di un generale disorientamento da recuperare sul terreno della necessaria riconquista del programma di classe.

2 novembre 2012

Nucleo Comunista Internazionalista

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