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Dopo la elezione di Obama

(10 Novembre 2012)

dplelezobamsorini


09 Novembre 2012 20:14
La rielezione di Obama alla presidenza Usa induce – in prima battuta – le seguenti, parziali considerazioni:

-Le elezioni negli Stati Uniti sono sicuramente il processo elettorale più mediatizzato che esista al mondo e sono accompagnate nei nostri Paesi da una persistente campagna ideologica che presenta gli USA come una delle democrazie più avanzate al mondo. Ciò si sta verificando puntualmente anche in Italia, proprio nel momento in cui è in atto nel nostro Paese una campagna qualunquista e obbiettivamente reazionaria contro il finanziamento pubblico dei partiti che disinvoltamente dimentica che la campagna elettorale americana, fondata su finanziamenti esclusivamente privati, è costata stavolta la cifra record di 6 miliardi di dollari (circa 10 mila miliardi di vecchie lire...). Per cui solo dei miliardari (o amici dei miliardari...) possono aspirare a concorrere all'elezione.

E dove il sistema politico ed elettorale (che alcuni vorrebbero introdurre anche in Italia: e siamo sulla buona strada...) è scientificamente programmato per mantenere intatto il potere delle classi dominanti e, nel caso degli Usa, per eternizzare il potere dei due grandi centri politici: il partito democratico e il partito repubblicano.

Essi competono, è vero, a volte anche ferocemente, su questo o quell'aspetto della politica contingente, ma dentro una dinamica di alternanza che infine converge nel sostegno bipartizan e concertativo ai capisaldi del sistema. Lo si è visto anche in questo caso nel discorso di commiato del perdente Romney, il candidato ultrareazionario del partito repubblicano (di cui certo nessun democratico al mondo si augurava la vittoria), che ha subito assicurato ad Obama la sua collaborazione leale e costruttiva nell'interesse della nazione (tanto più che i repubblicani mantengono alla Camera una solida maggioranza, in grado di condizionare pesantemente le scelte del presidente). Il che prevedibilmente collocherà più a destra la politica del secondo mandato di Obama rispetto al primo.

Lo si è visto del resto nei primi 4 anni della presidenza Obama, che pure era stata accolta – illusoriamente - da settori ampi del mondo progressista americano e internazionale come portatrice di un'autentica svolta progressiva (speranze e illusioni che si sono clamorosamente infrante – sono solo alcuni esempi – con la guerra di aggressione alla Libia, l'incipiente accerchiamento militare della Cina, le ingerenze militari in Siria (una guerra non dichiarata), le minacce di guerra aperta alla Siria e all'Iran, l'aumento sostanzioso delle spese militari (che solo negli ultimi 6 mesi sono cresciute del 13% e hanno “contribuito” al 50% della crescita del PIL..), o nell'incapacità (o impossibilità, o non volontà) di porre alcuni limiti seri allo strapotere del capitale finanziario negli affari interni e internazionali, che rimane una delle cause più profonde della crisi mondiale.

Non è certo un caso se la rielezione di Obama è avvenuta (con uno scarto minimo del 2%), più che sull'onda di speranze ed emozioni paragonabili a quelle del 2008, in buona parte per il timore che i settori più deboli della popolazione hanno avvertito nei confronti del'aggressività razzista e fascistoide degli oppositori di Obama, rispetto a quelle timide misure di protezione sociale (scampoli di un welfare ai minimi termini) che Obama aveva introdotto ad esempio in campo sanitario. Tanto è vero che Obama – che pure ha condotto una campagna elettorale con una retorica assai più moderata che nel 2008, ha avuto il voto contrario del 60% dei bianchi degli USA (sedotti dalla campagna ultrareazionaria della leadership repubblicana) ed è riuscito a evitare per un soffio la sconfitta grazie al consenso di una parte significativa dell'elettorato femminile (preoccupato tra l'altro, dell'ondata anti-abortista) e al 93% degli afro-americani, del 70% degli ispanici e del 73% degli asiatici. Il che dà la misura di quanto, complessivamente, la società americana si sia spostata a destra.

-In una situazione aggravata da una crisi economica mondiale del sistema capitalistico che ha basi strutturali, Obama si troverà ad affrontare una situazione interna segnata da una crisi profonda, con un debito pubblico interno salito a livelli astronomici; e un debito estero che è il più grande del mondo, una disoccupazione crescente che in termini reali può essere valutata attorno al 13-14%, una economia stagnante.

La situazione potrebbe aggravarsi e precipitare già nel primo semestre del prossimo anno, a fronte del cosiddetto “precipizio fiscale”, quando la prospettiva (su cui Obama sembra oggi convergere con i repubblicani) di un taglio drastico della spesa pubblica (non di quella militare...), potrebbe delineare un quadro di vera e proprio recessione economica nella più grande potenza imperialista del mondo, oltre che enormi sacrifici per la parte più povera del paese.

-Sul piano internazionale (escluso il governo israeliano che vedeva in Romney un più solido sostenitore della guerra all'Iran), la rielezione di Obama sembra essere stata accolta con un certo sollievo, sia pure per le motivazioni più diverse, dai governanti degli altri paesi:

-bene accolta in Italia dal tandem Monti-Napolitano (autentica direzione politica del Paese) che con Obama ha concordato direttamente e personalmente in questo anno le scelte principali riguardanti l'Italia;

-bene accolta dai dirigenti dei principali governi della Ue, che vedono in Obama un sostenitore dell'euro e della stabilità economica e politica dell'Ue, nel quadro di un forte asse euro-atlantico imperniato sulla Nato, rispetto a un Romney più isolazionista, meno attento ai destini dell'Ue, più rivolto al confronto in atto nell'area del Pacifico;

-considerata il male minore da Russia e Cina (e più in generale dall'area dei Brics e affini) anche per una maggiore disponibilità alla concertazione in sede Onu, pur nella contrapposizione, rispetto a un più marcato uilateralismo, ieri di Bush, oggi ripreso da Romney.

Rispetto alla Russia Romney annunciava una dura escalation contrappositiva, giungendo a definire la Russia di Putin come un “nemico geo-politico”. E rispetto alla Cina prospettava un indurimento e misure “più efficaci” rispetto alla contrapposizione già messa in atto da Obama, che ha già annunciato di voler concentrare nell'Asia Orientale i due terzi del potenziale militare aereo navale degli Stati Uniti e oltre mezzo milione di uomini.

Il mondo teme che il declino economico e politico della principale potenza imperialista possa indurre le sue componenti più reazionarie e oltranziste a risolvere la contraddizione ricorrendo in modo organico alla schiacciante superiorità militare che gli Usa conservano sul resto del mondo; ed a tentare di uscire per quella via dalla propria crisi economica e a recuperare così, “manu militari”, la propria leadership planetaria.

Non è un timore infondato. Il perseguimento organico di quella linea potrebbe portare il mondo sull'orlo di un nuovo conflitto globale.

Fausto Sorini, segreteria nazionale, responsabile dipartimento esteri Pdci

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