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Grazie Londra

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(27 Marzo 2011) Enzo Apicella
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(Lotte operaie nella crisi)

L'unione internazionale della classe lavoratrice è possibile solo con la lotta di classe!

14 Novembre - Volantino del PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

(16 Novembre 2012)

Oggi i lavoratori di Spagna, Portogallo, Grecia e Italia sono in sciopero generale. A fronte della crisi mondiale dell'economia capitalistica; della concorrenza che il capitalismo scatena fra i lavoratori di tutti i paesi spingendo al ribasso salari, condizioni di vita e di lavoro, spostando le fabbriche dove maggiori sono i profitti; degli attacchi dei governi di ogni colore e di tutti i paesi contro la classe lavoratrice; del risorgente nazionalismo con cui, in ogni paese, la classe dominante mette i lavoratori gli uni contro agli altri:

È NECESSARIO COSTRUIRE UN MOVIMENTO DI LOTTA INTERNAZIONALE DELLA CLASSE LAVORATRICE !

Ma i sindacati concertativi, che pure vi hanno aderito, non intendono certo acconsentire ad un movimento di lotta internazionale della classe operaia.

In Italia, la CGIL, mentre aderisce a questo sciopero “europeo”, isola ogni lotta entro i confini aziendali, impedendo che dalla gragnuola di chiusure, licenziamenti e messe in cassa integrazione nasca un movimento di lotta generale della classe lavoratrice. Ogni lotta è ridotta ad una vertenza: una questione “privata” di quei dipendenti di quella azienda. Ogni crisi aziendale è affrontata con strumenti che rinchiudono i lavoratori entro i confini dell'azienda: contratti di solidarietà (riduzione dell'orario con riduzione del salario: cioè solidarietà col padrone!), ricerca di nuovi acquirenti dell'azienda, accettazione delle riduzioni del personale se ammorbidite da accompagnamenti alla pensione o ricollocazioni.

L'unione delle lotte dei lavoratori, nazionale e internazionale, può e deve essere costruita solo perseguendo obiettivi che unifichino davvero tutta la classe lavoratrice:
– riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario;
– difesa intransigente del salario, con aumenti maggiori per le categorie peggio pagate;
– salario per i lavoratori licenziati, a carico del Capitale, ossia di banche e imprese, attraverso il suo Stato.

La “lotta per il lavoro”, senza queste rivendicazioni, non difende i lavoratori perché:
– conduce i lavoratori a cedere ad ogni ricatto (come ad es. a Pomigliano) pur di non perdere “il posto”;
– divide i lavoratori occupati da quelli disoccupati, spingendo chi ancora è occupato a lavorare più intensamente e a lungo, a discapito di chi è disoccupato;
– rinchiude la questione del lavoro entro i confini aziendali, non offrendo soluzioni ai lavoratori delle aziende che falliscono e ai disoccupati;
– può essere facilmente utilizzata per mettere contro i lavoratori in sciopero coloro i quali, per debolezza, non aderiscono allo sciopero e “vogliono lavorare”, come avvenuto in questi giorni all'IKEA di Piacenza.

Un movimento generale di lotta dei lavoratori richiede un vero SINDACATO DI CLASSE, cioè una organizzazione disposta a dirigere la lotta coi i metodi della lotta di classe:
– scioperi a oltranza, senza preavviso e che minaccino di estendersi al di sopra delle aziende e delle categorie: ciò che più teme il padronato non è il danno economico di una lotta, anche forte, chiusa entro una singola azienda, ma la possibilità che essa scateni una lotta generale dei lavoratori con un danno economico generale per tutta la borghesia;
– picchettaggi, per impedire l'ingresso al lavoro di merci e crumiri;
– privilegiare l'organizzazione territoriale dei lavoratori rispetto a quella aziendale come nelle originali “Camere del lavoro”: il riunirsi dei lavoratori in quanto tali e non in quanto dipendenti di una data azienda o categoria, aiuta a tessere quei legami materiali ed ideali necessari a costruire una vera e fattiva solidarietà ed unità della classe, unendo occupati e disoccupati, lavoratori delle piccole e delle grandi aziende;
– il Sindacato di classe deve ambire e propagandare incessantemente la necessità di organizzare la massima mobilitazione della classe proletaria: lo sciopero generale a oltranza.

Oggi il SINDACATO DI CLASSE non può che rinascere FUORI E CONTRO I SINDACATI DI REGIME (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), che hanno tutti definitivamente rigettato i fini e i metodi della lotta di classe.

La lotta sindacale è indispensabile ai lavoratori per difendersi dagli effetti del capitalismo e della sua crisi ma non può da sola eliminare le cause del peggioramento delle condizioni di vita. Queste non risiedono in una “cattiva politica”, negli “sprechi” o nella “corruzione”. La crisi colpisce tutti i paesi del mondo: da Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, a quelli considerati meglio gestiti e con meno "corruzione" come Germania, Francia, USA, Giappone... fino all'Islanda!

Se alcuni paesi, oggi, pagano più duramente la crisi rispetto ad altri è perché, questi ultimi, si difendono a spese di quelli più deboli. Ma con l'avanzare della crisi è l'intero capitalismo mondiale che crollerà e tutti i paesi precipiteranno nelle condizioni della Grecia, e peggio. Per i lavoratori porsi sul piano della concorrenza capitalistica, facendosi carico dell'efficienza dell'economia nazionale, abbracciando un nazionalismo economico che è solo il preambolo di quello politico e militare, non ha alcun senso, significa solo sacrificarsi per gli interessi del Capitale, della borghesia.

La crisi attuale non è un fenomeno passeggero ma storico: è la crisi generale di questo modo di produzione, il capitalismo.

A generarla non sono stati una “cattiva politica”, gli “sprechi” o la “corruzione”. La crisi non è frutto di una “cattiva” gestione dell’economia capitalistica che, con una politica “giusta” e “onesta”, sarebbe in grado di garantire benessere e progresso anche alla classe lavoratrice

L’economia capitalistica è destinata inevitabilmente a cadere e sprofondare nella sua crisi generale a causa delle sue ineliminabilicontraddizioni interne.

Le vere cause della crisi sono la sovrapproduzione e il calo del saggio del profitto. La crescita – invocata da un estremo all’altro dello schieramento politico borghese quale “bene comune” a tutte le classi – non è altro che la crescita del Capitale. Oltre un certo limite è impossibile: perché sono state prodotte troppe merci e perché il margine di profitto diviene troppo esiguo. Le fasi economiche di forte crescita sono solo la premessa della crisi generale. Richiedere “investimenti per far ripartire la crescita” non ha alcun senso.

Quella attuale non è la prima crisi generale del capitalismo: l’ultima fu la Grande Depressione del 1929. La politica keynesiana – oggi invocata da tutta la sinistra borghese, moderata e “radicale”, in contrapposizione alla cosiddetta austerity – fu allora praticata indifferentemente da tutti i regimi – democratici, nazisti e fascisti – e non risolse affatto la crisi. A permettere il cosiddetto boom economico degli anni ’50 e ’60 fu solo la Seconda Guerra mondiale. Questo il prezzo da pagare per il ritorno alla crescita capitalistica!

Non esiste una soluzione economica alla crisi del capitalismo. Esistono solo le opposte soluzioni politiche delle due classi di questa società.La soluzione borghese è una nuova guerra mondiale per distruggere le merci in eccesso, prima fra tutte la merce forza-lavoro, e sottomettere al massimo sfruttamento i lavoratori in un nuovo folle ciclo di accumulazione. La soluzione proletaria è la Rivoluzione: per sottrarre il potere alla classe dominante e imporre le sole riforme rivoluzionarie in grado di far superare alla classe lavoratrice e a tutta l’umanità questo modo di produzione sempre più antistorico e inumano.

Non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di riscoprire e impugnare l’originale programma comunista rivoluzionario, liberandolo dalle macerie dell’ultima e peggiore ondata opportunistica, quella dello stalinismo e dei suoi eredi odierni, che ha mistificato e nascosto agli occhi dei lavoratori di tutto il mondo il significato e il senso del Comunismo, spacciando per esso il capitalismo di Stato russo, cinese, cubano, ecc.

I punti fondamentali del programma comunista sono:
– abolizione del lavoro salariato, con la conseguente estinzione del suo opposto, il Capitale, e quindi del denaro, e la distribuzione gratuita dei beni e dei servizi;
– obbligo sociale del lavoro, con la scomparsa della disoccupazione;
– drastica riduzione dell’orario di lavoro a poche ore giornaliere;
– regolazione della produzione secondo parametri fisici riferiti ai bisogni umani e non più secondo gli interessi mercantili e aziendali;
– soppressione di interi settori di attività prettamente capitalistiche e parassitarie: da quelle legate alla contabilità monetaria e alla finanza, a quelle, ad es., pubblicitarie, con la conseguente liberazione di enormi energie per scopi realmente utili. La realizzazione di questo programma sociale rivoluzionario è possibile, non perché esso sia stato ben congegnato “a tavolino” ma perché è il capitalismo stesso che ne ha creato le basi materiali: la ricerca obbligata del profitto ha sviluppato la forza produttiva del lavoro a tal punto da rendere possibile la soddisfazione di tutti i bisogni umani con poche ore medie giornaliere di lavoro. Questo a patto di liberare il lavoro dalle leggi economiche capitalistiche che costringono un numero sempre minore di lavoratori a lavorare sempre più intensamente e a lungo, a fronte del crescere smisurato dei disoccupati, e immiseriscono il proletariato non per carenza di beni bensì per averne prodotti troppi!

Oggi la grave alternativa che la storia impone è fra Guerra e Rivoluzione . A decidere sarà la classe operaia mondiale: per non sottomettersi alla guerra dovrà rovesciare il capitalismo. Coloro che predicano temporanei sacrifici dei lavoratori per il “bene del paese” – che altro non è che il bene del Capitale – stanno già spingendo il proletariato sulla strada del suo completo sacrificio in una nuova guerra imperialista.

Il ricatto è semplice: dal capitale dipende l’esistenza dei lavoratori, ogni sacrificio è legittimo perché non esiste alternativa, o Capitalismo o morte! La classe lavoratrice ha invece in mano tutti gli strumenti per vivere senza il Capitale in una società superiore!

Per incamminarsi già da oggi su questa strada i lavoratori devono difendere i propri interessi economici di classe, intransigentemente: senza farsi alcun carico della salvezza dell’economia nazionale che altro non è che la salvezza del capitalismo!

Questo è possibile solo impugnando le storiche rivendicazioni del movimento operaio, le sole in grado di difendere il salario di tutti i lavoratori, unendoli veramente:
- forti aumenti salariali, maggiori per le categorie peggio pagate;
- drastica riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario;
- salario pieno ai lavoratori licenziati.

Questi obiettivi sono perseguibili solo da un movimento generale della classe, che coinvolga anche i sempre più numerosi lavoratori disoccupati, con scioperi sempre più estesi e duraturi, fino ad arrivare allo sciopero generale a oltranza.

Per questo è necessaria una organizzazione generale dei lavoratori, un vero sindacato di classe, che abbia, fra le altre caratteristiche, quella di privilegiare l’organizzazione territoriale dei lavoratori rispetto a quella aziendale e di categoria, per unire occupati e disoccupati, lavoratori delle piccole aziende con quelli delle grandi, come nella gloriosa tradizione delle originarie Camere del lavoro.

Il SINDACATO DI CLASSE oggi non può rinascere che FUORI E CONTRO I SINDACATI DI REGIME (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), definitivamente votati alla difesa dell’economia nazionale. I sindacati di base possono rappresentare un passo in questa direzione solo a patto di superare le loro divisioni divenendo una vera alternativa per i lavoratori. Questo obiettivo non può che essere imposto dalla loro base, contro le attuali dirigenze che da trentanni non sono state in grado di raggiungerlo.

La lotta intransigente in difesa del salario condurrà il proletariato verso la Rivoluzione contro un capitalismo sempre meno in grado di sfamare i suoi schiavi salariati.

Lungo questa strada i lavoratori incontreranno non solo la resistenza della classe dominante ma anche quella, più insidiosa, dei falsi partiti operai, che prospettano loro sempre falsi obiettivi intermedi utili solo ad allontanarli dalla Rivoluzione. Rivendicazioni “alternative”, quali l’“annullamento del debito”, la “nazionalizzazione” di banche e imprese, l’uscita dall’Unione Europea, non sono obiettivi della classe lavoratrice ma alternative per la classe dominante, tant’è che nel passato provvedimenti analoghi sono stati adottati indifferentemente da governi borghesi, sia democratici sia fascisti. I “nuovi modelli di sviluppo” sono solo la riproposizione delle vecchie illusioni di un capitalismo diverso.

Il Partito Comunista Internazionale è la continuità della Sinistra Comunista italiana, la sola corrente che ha potuto trarre dall’ultima sconfitta rivoluzionaria, culminata con lo stalinismo, le lezioni per la riscossa futura. È perciò il solo che possa condurre vittoriosamente i lavoratori al superamento rivoluzionario del capitalismo. Per questo grandioso quanto vitale compito vi chiama alla milizia nelle proprie file.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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