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il pane e le rose

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Non schiavi di profitti, ma padroni di diritti

(18 Novembre 2012)

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Questa frase, scritta su un lenzuolo portato dai lavoratori di un reparto al presidio sindacale esprime compiutamente il senso della lotta che sta avvenendo, con toni sempre più aspri e drammatici da un più di un anno all’ospedale San Raffaele di Milano che con oltre 3700 dipendenti è uno dei colossi della sanità privata milanese.
La storia è nota: tra affari e malaffari l’ospedale San Raffaele, di proprietà di una fondazione, ha un deficit di circa 1500 milioni.
E’ come se avessero elargito lo stipendio a tutti i 3000 dipendenti del comparto per più di 10 anni senza fare in cambio una sola medicazione. Stabilire dove questi soldi siano finiti è forse lo sta facendo la magistratura. Comprendere il perché le banche, che se compri a rate un armadietto ti indagano su tutto, l'abbiano sovvenzionato per anni senza problemi resta difficile, ma è convinzione di chi scrive che la vecchia amministrazione, per quanto avida, non abbia consumato tutto solo in ostriche e champagne, bananeti e opere faraoniche.
Ma questa è già storia vecchia.
Nella primavera di quest’anno ciò che di vitale c’è della vecchia azienda passa tra evviva, alleluia e reciprochi complimenti di economisti, giuristi, porporati e politici accorsi al capezzale dell’azienda malata, nelle mani di un titolatissimo imprenditore col vincolo dichiarato di salvaguardarne funzione, occupazione e contratti. E’ un uomo che ha già 18 cliniche con circa 9000 dipendenti.
Poco più di due mesi dopo l’annuncio: deficit strutturale, servono licenziamenti. Ma il tempo, è cosa nota nei romanzi, facilita il ripensamento, l’emergere della coscienza ed allora ecco il piano B dell’amministrazione: se i lavoratori (quelli del comparto, non medici e dirigenti) rinunciano a tutta la parte relativa alla contrattazione aziendale (si tratta mediamente di circa 3000 euro annuali) e passano al contratto privato che comporta meno vincoli per l’azienda e maggior orario di lavoro per i dipendenti, i licenziamenti potrebbero non essere necessari.
Al rifiuto dei lavoratori e delle loro organizzazioni di trattare su questi presupposti scatta il piano c dell’azienda: disdetta di tutti i contratti aziendali dal 73 ad oggi, passaggio al contratto nazionale privato ed avvio di procedura per 244 licenziamenti.
Trovo risibile che la nuova amministrazione abbia trovato sorprese nei conteggi e nel bilancio che aveva al momento dell’acquisizione avvenuta tramite concordato in tribunale. Trovo molto più plausibile che abbia acquistato per poco un’azienda in crisi per cattiva gestione (grosso modo 500 milioni di investimento in una azienda con fatturato annuo di 800), al fine di accaparrarsene e gestire gli accreditamenti regionali e valorizzarla abbattendone il costo del lavoro.
Un abbattimento del costo del lavoro che inevitabilmente andrà a ripercuotersi sulla qualità delle prestazioni erogate.
Da un punto di vista padronale è momento propizio per una operazione simile perchè si possono vantare scuse a copertura: azienda che viene da una crisi propria, crisi economica che incide sulla solvenza, tagli governativi sulla spesa pubblica ecc ecc.Che la crisi ci sia potrebbe essere vero, ma è l’uso che se ne fa che fa incazzare. Amplificarla per usarla come clava sul salario dei lavoratori e sulle loro conquiste, per tagliare su posti di lavoro garantiti ( incredibile, ma si chiamano ancora così ) per poi forse sostituirli in futuro con assunzioni più volatili sarebbe inaccettabile.
Ma questa chiaramente è solo una mia ipotesi, non mi è dato sapere cosa passa per la mente di un gruppo manageriale capitanato da un imprenditore che è stato consulente di tre ministri della sanità e tra gli esperti del gruppo che mise a punto la riforma sanitaria in Lombardia: la stessa che riverserà nelle casse delle sue cliniche tra il 2001 ed il 2010 circa 6 miliardi di euro.
Bene hanno fatto i lavoratori a rifiutare una trattativa senza la dovuta informativa. La RSU ha inoltre sempre affermato che è disponibile a trovare soluzioni per fronteggiare eventuali difficoltà economiche, ma che queste debbano essere temporanee, che debbano coinvolgere tutti i lavoratori dell'ospedale ( anche medici e dirigenti ) in maniera progressiva, cioè ogni sacrificio dovrà essere rapportato al reddito e quindi meno gravoso per i redditi più bassi e più incisivo sui redditi più consistenti, che anche la proprietà debba partecipare al riequilibrio economico e principalmente che presenti un piano di rilancio dell'ospedale. L'intenzione dichiarata della RSU è quella di contrastare chi intende trasformare l'ospedale in un salutificio con un'organizzazione del lavoro da schiavitù, ad alta produttività, dove alle residue risorse rimarrebbe poco di umano.
Al momento la trattativa è ferma su queste posizioni contrastanti.
Di concreto oggi ci sono decine di striscioni portati al presidio sindacale dai lavoratori dei vari reparti dell’ospedale. Ci sono tende dove i lavoratori passano la notte per non abbandonare il presidio che sempre di più prende importanza sia pure tra tra contraddizioni come momento di informazione, confronto, e decisione sulle lotte da intraprendere. Ci sono scioperi, assemblee e cortei da organizzare e comunicati da diffondere. Venerdì 9 è arrivato anche un comunicato di medici che solidarizzavano.
Se ci sono periodi in cui la coscienza sociale delle persone evolve lentamente come il sonnecchiare dei vecchi fortunatamente ne arrivano altri in cui tutto si muove velocemente come l’acqua delle cascate.
L’altro giorno tacchi di lavoratrici, abituate a correre nelle corsie dell'ospedale o a prendere i bambini a scuola, calpestavano il terreno fangoso intorno alla recinzione autostradale tagliata da qualcuno probabilmente più avvezzo a trasporatre pazienti che non ad attività antagoniste. Fermi sulla tangenziale di Milano, guardati da agenti di polizia, carabinieri ed automobilisti più incuriositi che esasperati, molti lavoratori urlavano la loro rabbia, cercavano di far capire che la lotta per salario ed occupazione era al tempo stesso una lotta per la qualità e la quantità di servizi sanitari da erogare.
Ancora se in modo incerto sta crescendo la consapevolezza che lo scontro in atto al San Raffaele non è che tra i primi di una lunga serie che coinvolgerà altre strutture sanitarie e che ha già coinvolto altri settori. E' una lotta contro un padronato rapace, ma anche contro chi taglia i servizi e mantiene le spese militari: abbiamo arsenali pieni di armi e non depositi pieni di salute invenduta.
La capacità di generalizzare senza sradicare questa lotta e di coordinarla con altre situazioni sarà il terreno di crescita su cui misurarsi per farla risultare vincente.
Sta passando il momento delle illusioni: molti lavoratori dicono: nessuno, né stampa, né politici, né istituzioni difende i lavoratori, dobbiamo difenderci da soli.
Non so come andrà a finire, ma questo è un buon inizio.

un lavoratore OSR - Umanità Nova (n. 35, anno 92)

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