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(20 Novembre 2012)
Martedì 20 Novembre 2012 00:00
Il bilancio delle vittime civili nella striscia di Gaza ha continuato ad aumentare nel fine settimana e nella giornata di lunedì in seguito all’intensificarsi della campagna militare scatenata mercoledì scorso da Israele. Negli ultimi giorni il bilancio complessivo è salito a quasi un centinaio di palestinesi assassinati, in buona parte bambini, vittime di oltre mille bombardamenti lanciati dall’aviazione e dalla marina israeliane. Nonostante l’appello di Tel Aviv all’autodifesa contro i razzi di Hamas, l’escalation di violenze è da attribuire unicamente al governo di Netanyahu e a criminali calcoli politici in vista delle elezioni generali di gennaio nonché, soprattutto, di un possibile spiraglio diplomatico apertosi in Medio Oriente dopo la rielezione di Barack Obama alla Casa Bianca.
Il nuovo massacro in corso a Gaza viene come al solito aggravato dalle condizioni in cui Israele costringe a vivere i suoi 1,7 milioni di abitanti, così che gli ospedali, dotati di scarso materiale per trattare i feriti, sono stati rapidamente sopraffatti dal numero di pazienti ricevuti, mentre la popolazione civile è in parte già a corto di acqua, cibo ed energia elettrica per parecchie ore al giorno.
I media di tutto il mondo stanno mostrando in questi giorni le stragi compiute dai bombardamenti israeliani, tra cui il più grave finora ha quasi sterminato l’intera famiglia di un commerciante nella mattinata di domenica. A morire sotto le macerie dell’abitazione a due piani di Gaza City sono state una sorella, due figlie, una nuora e quattro nipoti tra due e sei anni di Jamal Dalu, così come due vicini - un 18enne e la nonna - colpiti dalla violenza dell’esplosione.
Nel commentare il bombardamento, il portavoce dell’esercito israeliano, Yoav Mordechai, ha affermato che, per quanto lo riguarda, ciò che conta è la sicurezza dei cittadini dello stato ebraico e che il blitz aveva come bersaglio un membro di Hamas, Mohamed Dalu, responsabile del lancio di decine di missili in territorio di israeliano, tutti con ogni probabilità senza conseguenze significative, vista anche la propagandata efficienza del sistema difensivo “Iron Dome”.
Per giustificare le operazioni contro obiettivi civili, Israele sostiene che Hamas utilizza donne e bambini come scudi umani, anche se in realtà ciò significa che gli esponenti del movimento islamista, quando vengono colpiti dalle bombe di Tel Aviv, si trovano nelle proprie abitazioni con i loro familiari, i quali diventano inevitabilmente “danni collaterali” del presunto diritto all’autodifesa israeliana. Quanto poi ai razzi che verrebbero stoccati in aree densamente popolate e in edifici civili, non sembra che di questo materiale bellico sia stata trovata traccia, ad esempio, nell’edificio bombardato domenica e che ospitava gli uffici dei media locali e i corrispondenti di molte testate internazionali, come Fox News, Al-Arabiya, Sky News e CBS.
Nella notte e nella prima mattinata di lunedì, secondo Tel Aviv, da Gaza non ci sono stati lanci di missili, anche se le forze armate israeliane hanno comunque bombardato circa 80 siti nella striscia, facendo più di dieci vittime e decine di feriti. Nelle ore successive di lunedì il bilancio è salito a una trentina di morti, mentre è ripresa anche la ritorsione da Gaza, ma i razzi approdati entro i confini di Israele non hanno causato danni significativi.
L’assalto in corso contro Gaza, come previsto, ancora una volta ha trovato il sostanziale appoggio europeo e americano, come dimostra il fatto che, nonostante le divergenze tra Obama e Netanyahu, l’inquilino della Casa Bianca, nel corso di una visita in Tailandia, pur lanciando un vuoto appello per fermare l’escalation di violenze in corso, ha ribadito l’appoggio del suo paese al governo di Israele e al suo diritto all’autodifesa.
I missili lanciati da Gaza, in realtà, sono la risposta di Hamas e di vari gruppi islamisti all’aggressione israeliana e, sia pure diretti per la prima volta da due decenni contro Tel Aviv e non lontano da Gerusalemme, sono in gran parte inefficaci e provocano conseguenze nemmeno lontanamente paragonabili a quelle sofferte dalla popolazione palestinese. Ad oggi, le vittime israeliane sarebbero 3 e circa 80 i feriti.
Ciò che più conta, però, è che Israele, per stessa ammissione del suo governo, ha dato il via alla cosiddetta operazione “Pilastro della Difesa” quando la settimana scorsa era quasi del tutto cessato il lancio di razzi da Gaza. A innescare il conflitto è stato soprattutto l’assassinio mirato del leader militare di Hamas, Ahmed al-Jaabari, colpito il 14 novembre da un missile israeliano che ha di fatto spezzato una fragile tregua negoziata in precedenza.
L’irresponsabilità e il cinismo del governo Netanyahu sono emerse dai resoconti giornalistici apparsi in seguito alla morte di Jaabari. Quest’ultimo è stato infatti eliminato poche ore dopo aver ricevuto una bozza di tregua permanente tra Hamas e Israele negoziata dall’Egitto. Jaabari, inoltre, come ha scritto il quotidiano israeliano Haaretz era una sorta di “subappaltatore della sicurezza di Israele nella striscia di Gaza” e, ad esempio, dopo l’operazione “Piombo Fuso” del 2008-2009 si era adoperato per limitare il lancio di razzi da parte delle formazioni jihadiste che operano all’ombra di Hamas.
In sostanza, Israele ha rotto deliberatamente una tregua più o meno stabilmente in vigore, definendo poi la successiva reazione di Hamas come l’atto di aggressione originario che ha scatenato l’inferno su Gaza. Molti commentatori hanno anche ricordato le svariate provocazioni messe in atto da Tel Aviv nei confronti dei palestinesi fin dai primi di novembre, in concomitanza con il voto negli Stati Uniti, per cercare la reazione di Hamas e iniziare un’offensiva già preparata a tavolino.
Le manovre di questi giorni, in ogni caso, potrebbero essere solo l’inizio di un’operazione su vasta scala che comprende una possibile invasione di terra. Dell’altro giorno è l’annuncio della messa in allerta di ben 75 mila riservisti dell’esercito, un numero che appare tanto più consistente se paragonato ai 10 mila richiamati in occasione dell’operazione “Piombo Fuso” che uccise circa 1.400 palestinesi, quasi tutti civili.
Nel frattempo, continua senza sosta l’attività diplomatica con il governo egiziano in prima linea per negoziare un cessate il fuoco. Al Cairo è giunto anche il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, assieme, secondo una notizia diffusa dai media israeliani ma smentita da Netanyahu, ad una delegazione israeliana. Le difficoltà nel trovare una soluzione alla crisi dipendono anche dall’irrigidimento di Hamas che, forte del sostegno raccolto nel mondo arabo sunnita dopo la rottura nei mesi scorsi con Damasco, ha alzato la posta chiedendo, tra l’altro, la fine dell’embargo israeliano su Gaza per acconsentire ad una tregua.
I sostenitori di Hamas coinvolti negli sforzi per fermare le violenze sono anche Turchia e Qatar, i quali nonostante la loro sudditanza verso Washington non sembrano però avere alcuna influenza sull’amministrazione Obama quando si tratta di contenere Israele. Per l’Egitto del presidente islamista Mursi, invece, il prolungamento della crisi a Gaza costituisce un grave motivo di imbarazzo.
Il governo guidato dai Fratelli Musulmani, di cui Hamas è una costola, si trova a dover fronteggiare, da un lato, forti pressioni popolari per rompere ogni legame con Israele e, dall’altro, un esercito e un servizio segreto che vedono con sospetto Hamas, così come la necessità di rispettare il trattato di pace con Tel Aviv del 1978, condizione imposta dagli Stati Uniti per continuare a erogare gli ingenti aiuti economici destinati al Cairo.
La già ricordata cronologia degli eventi che hanno portato all’intensificarsi delle operazioni su Gaza suggerisce dunque che Tel Aviv stia nuovamente ricorrendo a pratiche criminali per sviare l’attenzione della popolazione israeliana dai problemi interni - povertà in aumento, disuguaglianze sociali tra le più marcate tra i paesi avanzati - facendo appello al militarismo e all’unità del paese contro una presunta minaccia esistenziale. Anche se il Likud di Netanyahu appare nettamente favorito per le elezioni di gennaio, le tensioni sociali in Israele hanno più volte superato il livello di guardia negli ultimi mesi, quando decine di migliaia di manifestanti sono scesi nelle piazze per protestare contro le politiche del governo di estrema destra.
Le operazioni a Gaza hanno anche a che fare con l’Iran e le minacce di un’aggressione unilaterale contro la Repubblica Islamica. Il massacro di civili palestinesi potrebbe perciò essere stato deciso sia per testare le reazioni della comunità internazionale, a cominciare dagli Stati Uniti agli albori del secondo mandato di Obama, e le capacità miliari di Israele in vista di una guerra contro l’Iran, sia soprattutto per far naufragare sul nascere le timide aperture della Casa Bianca per trovare una soluzione diplomatica alla crisi fabbricata attorno al programma nucleare di Teheran.
Al di là delle ragioni della guerra, in ogni caso, ciò che appare evidente in questi giorni è la continua totale impunità garantita ad Israele nel perpetrare un vero e proprio massacro contro una popolazione pressoché inerme come quella palestinese di Gaza. Tutto questo dopo le condanne internazionali e le accuse rivolte a Tel Aviv di avere commesso crimini contro l’umanità tra il 2008 e il 2009 in un’operazione il cui agghiacciante bilancio, grazie alla complicità degli Stati Uniti e dei governi europei, potrebbe essere ben presto eguagliato.
Michele Paris - Altrenotizie
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