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(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
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Via Berlusconi, ma non accontentiamoci di Prodi

(15 Agosto 2004)

Le diverse proposte attorno alla sinistra «alternativa» partono singolarmente da un medesimo presupposto: la collocazione di questa sinistra in una coalizione di governo col centro liberale dell'Ulivo.
A me pare invece che quella collocazione sarebbe del tutto innaturale, e che solo la rottura col centro (maggioranza Ds, Margherita, Sdi, Udeur) potrebbe liberare una prospettiva nuova per i movimenti di lotta di questi anni, evitando loro di ripercorrere sentieri già battuti e già falliti.
La crisi del berlusconismo sospinge oggi i poteri forti verso un nuovo investimento politico: alla ricerca di una soluzione che possa combinare la rappresentanza generale del capitalismo italiano, la stabilità politica, il ritorno alla pace sociale.
Il centro dell'Ulivo è il soggetto attivo di questo nuovo incontro con i poteri forti.
Tutta la prospettiva del «Triciclo» mira a costruire una rappresentanza centrale della borghesia italiana capace di aggregare attorno a sé un blocco sociale maggioritario e di completare la transizione a una seconda repubblica stabilizzata.
E tuttavia questo progetto richiede una condizione decisiva: la disponibilità dell'insieme della sinistra italiana ad integrarsi nell'alternanza liberale.
Perché solo questa disponibilità può offrire al nuovo governo dell'Ulivo una speranza credibile di pace sociale.
E' un caso che tutto il centro ulivista, senza eccezioni, proponga all'insieme delle sinistre un pieno e vincolante coinvolgimento ministeriale ben oltre un accordo elettorale antiberlusconiano? La verità è che il disegno di concertazione ulivista non tollera un'opposizione politica a sinistra.
Ecco allora la domanda, forse un po' bruta, ma centrale: può una sinistra che si vuole «alternativa», o addirittura «comunista» subordinarsi, di fatto, a questo disegno della grande industria e delle banche sotto la direzione del loro garante (Prodi), in cambio di un paio di ministri? L'obiezione secondo cui la funzione della sinistra radicale sarebbe quella di spostare a sinistra l'Ulivo - grazie o al rapporto coi movimenti (Bertinotti), o a un più efficace confronto negoziale (Burgio) o a un proprio cartello (Diliberto) - capovolge la verifica dei fatti.
Dopo tre anni di lotte tutte le ragioni di fondo dei movimenti continuano a trovare il centro dell'Ulivo o totalmente estraneo o, più spesso, dall'altra parte della barricata: sui diritti del lavoro, su pensioni e liberalizzazioni, sulla scuola, sul ritiro delle truppe da Iraq, Balcani e Afganistan.
Questo fatto dipende da un'insufficienza di «confronto» con i liberali o da una loro opposta ragione di classe? Pensiamo all'esperienza del referendum sull'articolo 18: ha unito la grande maggioranza del popolo della sinistra e tutte le forze dei movimenti, ma ha trovato il centro dell'Ulivo dalla parte della Confindustria e di Berlusconi.
E' un caso che la sola prospettiva di un governo col centro abbia totalmente rimosso la rivendicazione dell'estensione dell'art. 18 e che nessuna leadership della sinistra osi anche solo proporlo come punto discriminante di un accordo?

In realtà il perseguimento di un governo con Prodi già oggi costringe la sinistra alla rimozione delle proprie ragioni.
E l'effettiva realizzazione di quel governo la trasformerebbe nell'ammortizzatore politico e sociale dell'alternanza liberale: secondo quella classica divisione di ruoli tra liberalismo e socialdemocrazia che in forme diverse ha attraversato il '900.
Un'altra prospettiva - se solo si volesse - sarebbe necessaria e possibile: l'unità d'azione fra tutte le forze della sinistra politica e sociale (dalla sinistra Ds al Prc, dalla Cgil a tutto il sindacalismo di classe, sino all'insieme delle rappresentanze no global) attorno a un autonomo polo di classe che rompa col centro dell'Ulivo e si assuma le proprie responsabilità di massa.
Rompere col centro significherebbe innanzitutto liberare quella potenzialità di lotta contro Berlusconi che proprio la prospettiva di un accordo con Prodi oggi congela.
Una caduta di Berlusconi sull'onda di una radicale lotta di massa segnerebbe l'intera situazione sociale e politica, muterebbe i rapporti di forza tra le classi, scompaginerebbe la tela dell'alternanza liberale.
L'attuale assenza di indicazioni di lotta gli regala invece tempo e forza.
Ma soprattutto rompere col centro significherebbe liberare il campo per la definizione di un programma anticapitalista che disegni una vera alternativa di società e di potere.
Non c'è alternativa alle classi dirigenti senza un programma generale che partendo dalle rivendicazioni di questi anni metta in discussione i rapporti di proprietà e di potere su cui si regge l'economia capitalistica, la grande impresa, le grandi banche, il loro dominio sulla società.
Perché non aprire su questo un confronto programmatico pubblico fra tutte le forze della sinistra politica e sociale in aperta contrapposizione al progetto liberale di alternanza? Naturalmente i gruppi dirigenti di questa sinistra possono scegliere di continuare a gravitare attorno a Prodi.
Ciò che non possono pretendere è lo scioglimento di un'opposizione di classe e comunista di fronte a un futuro governo liberale dell'Ulivo, e la subordinazione di un'intera stagione di lotte all'alleanza di governo con i suoi avversari.
Perché questa pretesa sarebbe inaccettabile per un ampio settore di avanguardia operaia e giovanile.

Marco Ferrando
Dir. Naz.le Prc, portavoce di Progetto Comunista - Sinistra Prc

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