">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Victory

Victory

(8 Ottobre 2012) Enzo Apicella
Sequestrato dalla magistratura il MUOS per violazione delle leggi sull'ambiente.

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

APPUNTAMENTI
(Imperialismo e guerra)

SITI WEB
(Imperialismo e guerra)

La piramide di Morsi

(4 Dicembre 2012)

La base è formata dal potere difficilmente sradicabile dell'esercito, la punta è Morsi che esclude la magistratura. Ai lati una politica estera filo-occidentale.

morsipiramidal

di Sofia Zavagli

Roma, 4 dicembre 2012, Nena News - Le politiche del Medio Oriente possono essere metaforicamente paragonate alla metropolitana di Londra. Un dedalo di linee corre nei bassifondi intrecciando luoghi altrimenti lontani. Da uno stesso punto si muovono molteplici direttive e, pur avendo chiaro in mente lo schema logico tracciato sulla carta, ci si perde. Ecco cos'è il Medio Oriente, una fitta rete di alleanze e divergenze, dove ciò che accade in un punto qualsiasi della regione avrà sicuramente un'influenza significativa in altri; e ciò che sembra definibile ed etichettabile si svuota del suo significato e magari si trasforma nel suo opposto.

Tenendo presenti le sfaccettature di una realtà così ingarbugliata, è necessario tuttavia semplificare e ricorrere a dei modelli esplicativi che permettano di sintetizzare quello che accade qui e ora. Fermiamoci ad osservare, mentre aspettiamo il prossimo treno.

Per spiegare la trama di poteri che ad oggi si intersecano in Egitto è utile ricorrere ad un'altra metafora che non può che essere evocativa nel Paese dei faraoni. Si pensi alla struttura stilizzata di una piramide: una base e due lati che convergono in una punta.

La base è formata da poteri difficilmente sradicabili, in questo caso l'esercito e più precisamente lo SCAF. Il Consiglio Supremo delle Forze Armate assunse le redini del comando all'indomani della caduta di Mubarak nel febbraio 2011 e formalmente ha ceduto il potere al neonato governo della Fratellanza il 30 giugno di quest'anno. Ma così non è stato. Nel lungo e tortuoso tragitto verso la Costituzione, i militari hanno più volte fatto sentire la loro voce.

Prendiamo in esame i seguenti eventi. Due settimane prima delle elezioni presidenziali, lo SCAF emise una dichiarazione costituzionale provvisoria con la quale si attribuiva di fatto i poteri legislativi lasciando pochi poteri al futuro presidente. I nuovi emendamenti aggiunti alla dichiarazione costituzionale del 30 marzo 2011 arrogavano all'esercito poteri straordinari garantendogli una sostanziale influenza nel processo costituzionale.

In particolare, il Consiglio si assumeva il potere di sciogliere l'Assemblea Costituente e nominarne un'altra se la prima avesse fallito nel completare il suo mandato, ovvero non fosse stata in linea con i "principi della rivoluzione" (Articolo 60 B). Inoltre, lo SCAF prendeva il posto dell'Assemblea Nazionale fino all'elezione di un nuovo Parlamento (Articolo 56 B).

La storia si ripete. Adesso è il presidente Morsi ad assumersi prerogative eccezionali, ribaltando la situazione a suo favore in un gioco che, tuttavia, sembra essere a somma zero. Proprio come mesi prima era stato l'esercito ad avocarsi vasti poteri in nome degli ideali rivoluzionari, adesso è il presidente a spingersi laddove nessuno prima era arrivato, in nome degli stessi principi.

Al di là del timore che una tale iniziativa genera, è innegabile il fatto che Morsi abbia sferrato un duro colpo all'establishment militare. Nel fare ciò ha ingaggiato un vero e proprio duello con la magistratura. Nel voler a tutti i costi velocizzare il processo costituzionale - in mano ad una discussa Assemblea Costituente dalla quale si sono recentemente ritirati gli esponenti laici - si è posto al di sopra dei giudici. Certo è che se l'attuale Assemblea Costituente non fosse in mano agli islamisti e lo stesso presidente non fosse un (ex) Fratello Musulmano, questa ferrea presa di posizione, teoricamente temporanea, sarebbe stata accolta con uno stato d'animo meno riottoso.

Tali sviluppi collocano Mohamed Morsi in cima alla nostra piramide. Abbiamo quindi delineato due elementi della struttura: un apparato militare radicato da decenni alla base e impegnato in un gioco di forze, ambiguamente alleato di un presidente le cui mosse acquisiranno significato solo nei prossimi giorni, in particolare dopo la fine dei lavori dell'Assemblea.

I lati che cementano la struttura sono costituiti dalla politica economica e dalla politica estera e di sicurezza. I grandi cambiamenti che dovrà affrontare l'Egitto riguardano più le decisioni in materia di politica economica che culturale. Qual è la strategia dei Fratelli Musulmani per risanare un paese dissestato dove il 25,2 % della popolazione vive sotto la soglia di povertà? Storicamente e per loro stessa formazione la Fratellanza non ha mai avuto una politica economica vera e propria: il sistema assistenzialista di Hasan al-Banna - dove l'eliminazione della povertà è il risultato della giustizia sociale e non dello sviluppo economico - è oggi incarnato da una nuova classe di uomini d'affari, per decenni discriminati e ora liberi di governare.

Secondo l'economista Mohamed el-Dahshan, il futuro economico del Paese non si discosta molto dal passato sotto Mubarak. La nuova élite liberista che si propone di riformare il paese in nome della "giustizia sociale", dovrà rassicurare i cauti investitori negoziando il prestito da 4,8 milioni di dollari con il Fondo Monetario, dichiarando la sua lealtà all'economia di mercato e nel frattempo tentare di sradicare la povertà attraverso pratiche assistenzialiste e solidali che si concretizzano in massicci sovvenzionamenti.

Per concludere il quadro e unire tutte le componenti della piramide dobbiamo rivolgere qualche attenzione alla politica estera dell'Egitto. Sono ormai lontani i tempi del panarabismo durante cui le truppe nasseriane erano rintracciabili in ogni parte del Medio Oriente, incitando e proteggendo i movimenti anti-colonialisti e ingaggiando aperti scontri con Israele. La linea scelta dal presidente Morsi segue la scia di quella di Mubarak, il quale a sua volta perpetuò la decisione di Sadat.

In altre parole gli accordi di Camp David rimangono sacri ed imprescindibili per la sicurezza egiziana. Ciò significa che l'Egitto continuerà ad onorare il Trattato di Pace del 1979 e a promuovere la soluzione a due Stati entro i confini del 1967 in terra di Palestina. Non è certo un caso che sia stato scelto come mediatore per il recente cessate il fuoco tra Israele e Gaza. Non poteva essere né la Giordania, né il Libano né tantomeno la Siria. L'Egitto, malgrado il sostrato islamista, è ben consapevole che l'equilibrio di potere conferito dagli Accordi del 1978 non debba essere intaccato. Come Sadat e Mubarak prima di lui, Morsi ha scelto la via dell'alleanza con gli Stati Uniti. Ma con una grande differenza. Il presidente è il rappresentante del più grande movimento islamista al mondo, le cui ramificazioni non si trovano solo a Gaza ma in ogni parte del globo. Con questa mossa ha dunque garantito ad Obama il tacito consenso dei suoi sostenitori, alleviando per adesso i timori degli Stati Uniti nell'eventualità di un conflitto con l'Iran.

A quasi due anni dalla Rivoluzione, l'esercito, le politiche economiche liberiste, il plenipotenziario presidente e il mantenimento degli equilibri regionali si incastrano nella fitta rete che collega tutta l'Asia Sud-occidentale. Aspettando il prossimo treno.

Nena News

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Paese arabo»

Ultime notizie dell'autore «Nena News»

3134