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(17 Novembre 2012) Enzo Apicella

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Il Referendum che infiamma l’Egitto

(5 Dicembre 2012)

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Oppositori di Mursi ancora in strada. Dalla tarda mattinata di ieri sino a sera davanti al palazzo presidenziale di Heliopolis, quartiere coloniale a 20 chilometri da Tahrir, con cartelli sistemati sul filo spinato che le Forze dell’Ordine hanno collocato attorno all’edificio del potere. Quel potere “abusato e autoritario” dicono in migliaia non appartiene più a Mursi, loro vogliono che lasci e vada via. Passano le ore. Gli slogan e quel verbo “irhal” (vattene) ripetuto ossessivamente aumentano. Seguono tentativi di superare la zona blindata che vengono respinti con lanci di lacrimogeni. C’è una reazione, ci sono feriti ma non la guerriglia come nella due giorni di Mohmmoud Street. ElBaradei del Partito Costituzionale e Sabbahi della Corrente Popolare non si son fatti vedere, ufficialmente perché stanchi dal tour de force di manifestazioni. Invece i loro sostenitori dicono sia una misura precauzionale dopo che s’è diffusa la notizia secondo cui sarebbero anch’essi accusati di “spionaggio”. Insieme ad Amr Moussa che avrebbe incontrato l’ex ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni per discutere d’incrementare la contestazione all’attuale leadership egiziana. Fantapolitica, accuse a orologeria? In attesa di conferme o smentite la tensione si mantiene altissima.

Il 15 dicembre è indetto il Referendum popolare di approvazione o bocciatura della Carta costituzionale stilata con un’incredibile accelerazione dei membri dell’Assemblea dopo la contestata Dichiarazione presidenziale. Una parte della magistratura e talune loro associazioni come il ‘Club dei giudici’ divulgano l’astensione dal lavoro di controllo e supervisione sulla regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio. Il Consiglio Supremo Giudiziario ha annunciato che dislocherà i giudici nei seggi ma i sostenitori del boicottaggio ritengono che il Consiglio non possa obbligare singole toghe che vivono una “crisi di coscienza”. Tecnicamente servono fra gli otto e novemila magistrati per avallare le operazioni, senza di loro il voto non può ritenersi valido. Il capo della Corte di Appello del Cairo Shalash ha dichiarato che la situazione è senza precedenti. Già nell’attuale fine settimana - l’8 dicembre - otto milioni di egiziani residenti all’estero possono esprimersi nelle urne predisposte nei consolati, com’era accaduto per le consultazioni politiche e presidenziali. Però c’è chi solleva dubbi sull’organizzazione in quanto le sedi diplomatiche non sarebbero pronte.

Una voce cairota ascoltata in queste ore ci riporta alcuni flash orali sentiti nel sit-in permanente di Tahrir. Un uomo con un megafono ripete “Mursi ho votato per te perché difendessi la nostra libertà, non tradire la promessa” e una donna sicuramente madre di famiglia “Il cibo diventa ogni giorno più caro”, mentre un adolescente grida “Mursi ha preso denaro dai sauditi ma lo sviluppo non si vede. La mia famiglia non può più mandarmi a scuola perché i costi sono cresciuti”. Fra i disegni e i cartelloni che i movimentisti innalzano ci sono anche i volti di martiri simbolo della Fratellanza, come l’imam di Al-Ahzar Emad Effat ucciso un anno fa con un colpo d’arma da fuoco in pieno petto mentre manifestava contro Tantawi assieme all’ala giovanile della Confraternita che ha sempre partecipato agli scontri di piazza. Nell’attrito fra il fronte laico e quello islamico sembrerebbe un’anomalia. Eppure ciò che è mancato nei mesi scorsi all’ala rivoluzionaria laica è stata l’organizzazione e la conseguente rappresentanza elettorale che gli islamisti si sono ben giocata a proprio favore e che è stata appannaggio anche di vecchi volti della politica egiziana. Non solo i feloul ElBaradei e Moussa, ma lo stesso nasseriano Sabbahi pronto a riproporre formule che poco fanno presa sulle masse diseredate. Non è un caso che in questa fase di profonda spaccatura del Paese alcune componenti che dovrebbero essere vicine alle posizioni della sinistra si ritrovano ad appoggiare il Presidente.

Accade al maggiore Sindacato operaio favorevole al Referendum popolare. Vengono insomma allo scoperto antiche carenze d’una sinistra che ha da tempo perso terreno fra molti lavoratori e non solo fra i diseredati assistiti dalla carità della Confraternita. E’ vero che l’attuale establishment islamico egiziano accanto all’interclassismo sembra perseguire una politica economica nient’affatto mutata rispetto al passato, quella linea delle aperture ai finanziamenti occidentali foriera d’ingerenze. Ma è anche vero che smarcamenti rivolti a Turchia, Iran, Russia, oltre che ai soliti sauditi, siano stati presenti nelle mosse estere di Mursi. Nell’attuale crisi, soprattutto se precipiterà, occorrerà rivolgere lo sguardo al Convitato di pietra: la lobby militare che nel Paese diviso su due fronti si sta tenendo in disparte. Alcuni osservatori sostengono perché la Fratellanza l’ha già neutralizzata coi suoi uomini. Un po’ come per l’informazione interna, secondo quanto denuncia il Sindacato dei Giornalisti. Invece altri smentiscono: cambiare la mentalità di almeno tre generazioni di egiziani che hanno vissuto grazie all’Esercito e alla sua filiera affaristica pare ce ne voglia. Perciò, se l’aria s’arroventa, che ruolo avranno le Forze Armate?
5 dicembre 2012

Enrico Campofreda

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