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La bufala della lapidazione

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(20 Settembre 2010) Enzo Apicella
Il presidente iraniano Ahmadinejad: Sakineh non è mai stata condannata alla lapidazione, il "caso" è una montatura giornalistica del governo USA

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    Egitto, la difficile convivenza

    (8 Dicembre 2012)

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    Mursi resta in bilico fra le centinaia di migliaia che lo sfidano nelle strade e i milioni che potrebbero votarlo. Potrebbero, perché ora dopo ora la scadenza del Referendum sulla Carta Costituzionale s’allontana da quel 15 dicembre ormai Chimera delle speranze islamiche. E’ lo stesso Presidente a ventilarlo quando accetta la proposta dell’opposizione controbattendo che però non ci dovranno essere ricorsi. S’illude. ElBaradei si sente tanto forte da imporre i prossimi passi: solo l’azzeramento di quella bozza e l’annullamento della Dichiarazione del 22 novembre potranno restituire al Capo di Stato una legittimità ampiamente compromessa. L’avvertimento è che da adesso in avanti deve adottare un basso profilo perché la piazza ne sta chiedendo la testa e se verrà salvato dall’opposizione il suo futuro sarà oggettivamente sub judice. Forzare la mano com’è accaduto mercoledì a suon di botte, sassi e qualche fucilata da parte dei Fratelli più duri e puri incrementerebbe solo il pericolo d’uno scontro per bande. Una premessa di guerra civile che nessuno progetta, ma che è un fantasma di casa nel Mashreq.

    Siamo alla resa dei conti fra i due volti d’Egitto, che in verità sono di più perché se ora il fronte laico fa bella mostra d’unità d’intenti fra liberali, sinistra e addirittura giovani movimentisti, è palese che a contrastare l’Islam politico ci sono anche quei feloul che solo sei mesi fa davano a Shafiq oltre 12 milioni di voti. Quanto sta accadendo, dunque, covava sotto la cenere sin dai primi di febbraio 2011, più o meno dalla cosiddetta “battaglia dei cammelli” che segnò l’avvento delle “barbe” in piazza per far cadere il vecchio raìs. Sicuramente gli islamisti sono gli ultimi adepti della Rivoluzione, ma in grado di poterla rivendicare come i giovani della strada. Diversa è la storia dei Moussa ed ElBaradei che nei giorni della prima rabbia s’erano dileguati, temendo le ire di Tahrir che li conosceva come uomini del Mubarak. Corsi e ricorsi. Se oggi Mursi viene additato come un pericoloso autocrate il portavoce del Fronte della Salvezza Nazionale non è propriamente un ribelle senza macchia. Il fregio rivoluzionario che si danno sia la leadership islamica al potere sia l’opposizione calva vive più nella sfera della rispettiva propaganda che nell’effettiva politica di ciascuno.

    Entrando in un nodo vitale del futuro di chi manifesta su fronti contrapposti e anche di chi, in genere per età o per costumi (di donne islamiste in queste ore se non sono viste poche), resta in casa, insomma parlando dell’economia del Paese si scoprirà che le strategie del governo e dell’opposizione hanno lievi sfumature non differenze sostanziali. Quel che si scontra dunque apertamente dopo mesi e mesi di rinvii è l’orientamento di società e soprattutto il timore – presunto o legittimo – che il più grande Paese arabo imbocchi la via teocratica. Questo sostiene chi dipinge Mursi col turbante e afferma che Badie o ancor più Ahmed El-Tayyeb (l’insigne imam di Al-Ahzar) sia il motore delle attuali scelte politiche. La Fratellanza egiziana non nasconde passato e presente, ma noti politologi, che studiano le teorie del suo neoislamismo, la collocano verso modelli liberaleggianti (ed economicamente liberisti) come quello turco e marocchino o forse sperimentatrice del cosiddetto “Stato civile”, dove chi governa ispirandosi all’Islam non pretende d’essere intermediario del volere divino. Un progetto che ha nulla a che fare col confessionalismo iraniano del velayat-e faqih.

    Eppure una parte degli egiziani questo non vuole vederlo e comunque non lo vuole. L’altro Egittto guarda e rifiuta il palese gioco di potere che la Confraternita - come ogni gruppo di pressione, per giunta ideologico e identitario qual è l’Islam politico - sta praticando. La Brotherhood usa ogni occasione per radicarsi nella realtà, ha saputo sfruttare a pieno il trampolino di lancio della “Primavera rivoluzionaria” e sta realizzando quello che attendeva da quasi novant’anni. E’ entrata nei Palazzi dalle porte principali, ha attuato quei ricambi di incarichi che in Occidente si chiamano spoil system, sta accaparrandosi la macchina dell’informazione perché ne conosce la forza. Non solo le tivù nazionali generalmente filogovernative, ma i network privati e molte testate dove la componente laica è storicamente presente. Alcuni noti giornalisti di orientamento diverso hanno evidenziato il pericolo di possibile censura tramite clamorose dimissioni e denunce sindacali. Prova anche a neutralizzare la lobby militare azzerandone gli antichi vertici e ”infiltrandola” con uomini di fiducia, in genere giovani ufficiali generazionalmente più vicini alla nuova ondata dell’Islam politico.

    La Fratellanza è sicuramente una macchina di potere come lo sono altre componenti politiche. Il contrasto coi magistrati per blindare l’Assemblea Costituente ha fatto partorire la follìa del decreto accentratore che ha creato il black out istituzionale e il tam tam contro lo spettro autoritario. La crisi gravissima che ne deriva non è ancora irreparabile. Lo può diventare se i due mondi contrapposti, più gli estremismi (mubarakiano fra i secolaristi, salafita fra gli islamici), non vorranno praticare il compromesso rinunciando ciascuno a qualcosa in favore di quel bene comune che si chiama Egitto.
    8 dicembre 2012

    Enrico Campofreda

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