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La grazia di Napolitano

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Imperialismo e sionismo

(14 Dicembre 2012)

La pericolosità della politica d’Israele è fin troppo evidente, come dimostrano le continue stragi compiute direttamente, o tramite alleati o mercenari. La stampa di regime insiste tanto sulle centrali atomiche dell’Iran, che è ancora lontano dal possesso dell’arma nucleare, e sorvola sulle centinaia di atomiche israeliane. Limes ha pubblicato una cartina (1) dove si vede la gittata dei missili iraniani (fino a 2.000 Km) e di quelli israeliani Jericho (fino a 4500 Km). Nel raggio di questi ultimi è compresa tutta l’Europa tranne l’Islanda, l’Africa fino ad Angola e Mozambico, gran parte della Russia, della Cina e dell’Indocina. Potrebbero distruggere Roma, Milano, Londra, Parigi, Berlino, Mosca, Delhi, e addirittura arrivare oltre al lago Bajkal, in Mongolia, a Bangkok. Il che spiega perché molti stati stanno cercando di costruire centrali atomiche. Avere atomiche non vuol dire necessariamente utilizzarle, ma dà, nei confronti di chi ne è privo, un forte strumento di ricatto. Fuori del raggio d’azione dei missili sono, per ora, il continente americano e quella australiano. Fino a quando l’America potrà tollerare che un alleato, spesso riottoso anche con Washington, continui ad aumentare la sua potenza e il suo raggio d’azione? Quanto alla borghesia europea, è troppo vile per affrontare il problema.

Gli USA sono succubi di Israele, come sostengono molti compagni? E’ vero che la presenza nel mondo bancario e finanziario di un gran numero di ebrei potentissimi assicura a Israele molti vantaggi, ma si deve tener conto che l’alta finanza non ha patria. Nel passato, banchieri ebrei finanziarono la reconquista, che abbatté il tollerante regime islamico noto come Andalus, dove gli ebrei erano integrati. La monarchia spagnola li ripagò cacciando ebrei e musulmani, dopo averli espropriati dei loro beni e perseguitando quelli che avevano sperato di salvarsi con una conversione di comodo al cristianesimo, inaugurando uno dei più feroci regimi, basato sul saccheggio dei beni delle minoranze (e in seguito delle colonie), sull’intolleranza religiosa e sulla discriminazione razziale.

In tempi meno lontani, non risulta che i finanzieri ebrei abbiano fatto determinanti azioni di boicottaggio contro l’IBM, che fece per Hitler la schedatura degli ebrei di gran parte d’Europa, o contro quei capitalisti americani che controllavano la Fanta, la Opel e molte altre industrie tedesche in piena epoca nazista. Quindi l’aiuto a Israele ci sarà fino a quando quei banchieri ne avranno vantaggi, ma potrebbero cambiare atteggiamento in qualsiasi momento. Se i capitalisti ebrei fossero per loro natura fondamentalmente diversi dagli altri capitalisti, potremmo pure gettare nei ferrivecchi il marxismo e il materialismo, perché vorrebbe dire che fattori religiosi, di tradizione e di cultura sono più determinanti di quelli economico sociali.

Israele è un paese troppo piccolo per essere economicamente vitale, ha bisogno di ampliare il proprio territorio a spese altrui, e questo rende particolarmente virulento il suo imperialismo. Ha bisogno, inoltre, di continui apporti esterni. Se gli Stati Uniti, a causa della crisi, fossero costretti a ridurre gli aiuti, sorgerebbero forti difficoltà.

Israele non è il cuore del sistema capitalistico, è un laboratorio dove si sperimentano soluzioni politiche e militari estreme, e dove si compie quel lavoro sporco che gli Stati Uniti e le altre potenze d’occidente preferiscono delegare. Ha pure il compito di sperimentare nuove armi sulla pelle di palestinesi e libanesi, senza che il discredito e l’indignazione ricada direttamente su chi queste armi produce, soprattutto gli Stati Uniti, ma anche Francia, Inghilterra e Italia.

Nel passato Israele ebbe la funzione di impedire l’unificazione dei paesi arabi, che poteva realizzarsi intorno all’Egitto di Nasser, di rendere impossibile il consolidamento di regimi laici nazionalisti, favorendo ovunque l’ascesa di correnti confessionali, portando al parossismo lo scontro interreligioso. Sostituì nell’area i decadenti colonialisti inglesi e francesi.

Queste funzioni sono importantissime per la borghesia internazionale, ma non bastano a fare di Israele il cuore del capitalismo. Non è un caso che le più grandi concentrazioni finanziarie si trovino a Wall Street e nella City, non a Tel Aviv.

L’avversario numero uno del movimento operaio resta l’imperialismo statunitense, perché da decenni, e non si sa per quanto tempo ancora, è in grado di intervenire militarmente nei confronti di qualunque rivoluzione. Tale funzione controrivoluzionaria per eccellenza, al tempo di Marx l’aveva la Russia zarista, al tempo di Lenin l’Inghilterra, negli ultimi settant’anni l’hanno gli Stati Uniti. Contro questo mostro imperialistico bisogna dirigere gli sforzi, che si riveleranno inutili se non si riuscirà a coinvolgere l’unica forza che ha la possibilità di vincerlo, il proletariato americano.

Questo non significa sottovalutare il peso dell’imperialismo israeliano, il problema è il taglio politico che occorre dare alla lotta. Qui ci aiuta molto un’osservazione di Trotsky. Stava per cominciare l’avventura etiopica di Mussolini, e Trotsky diede al Segretariato Internazionale questa indicazione: “Dobbiamo mettere in rilievo che questa lotta è diretta non contro il fascismo, ma contro l’imperialismo.” (2) Perché questo richiamo, che può sembrare strano, ha invece una grande importanza per quel periodo, ed è ricco d’insegnamenti anche per noi?

L’imperialismo è un fenomeno comune a tutti i paesi che hanno raggiunto un certo livello di maturità finanziaria, e tocca il punto più alto proprio nei paesi che riescono a mantenere una facciata democratica, in primis gli Stati Uniti. I fascismi si sviluppano soprattutto nei paesi revisionisti, che rivendicano cioè una redistribuzione delle colonie e semicolonie, e quindi sviluppano una certa tendenza a turbare “l’ordine” mondiale. Ciò rende possibile ai vecchi imperialismi di additarli come i responsabili di tutte le guerre, autoproclamandosi nel contempo i difensori della democrazia, dell’ordine, e di presentarsi infine come i liberatori, come antifascisti. E’ ciò che è avvenuto nella seconda guerra mondiale. Parlando quindi di lotta contro l’imperialismo, non si dà alcun alibi all’Inghilterra, alla Francia e agli USA, che vengono indicati come oppressori allo stesso titolo di Germania, Italia e Giappone.

Tornando ai nostri giorni, il modo più efficace di smascherare il sionismo è di metterne in evidenza la natura imperialistica, rivelando quindi il segreto che sta dietro l’enorme bardatura ideologica e religiosa. Il sionismo ha poco a che fare con le antiche tradizioni ebraiche, e ancor meno con le tradizioni rivoluzionarie che si svilupparono tra gli ebrei. Ed è spiegabile, perché la loro condizione di perseguitati acuiva la loro sensibilità politica. La partecipazione al movimento operaio degli ebrei fu così massiccia da creare favole, congetture. Per esempio, la fosca leggenda che la rivoluzione d’Ottobre fosse una congiura ebraica, che non si diffuse solo tra i fascisti, ma anche in ambienti liberali in Gran Bretagna e USA.

Molti dirigenti bolsceviche erano ebrei, e su ciò non mancarono i motti di spirito: “Nei primissimi anni della rivoluzione bolscevica circolava questa storiella ebraica. Durante una riunione del comitato centrale ristretto del partito comunista, Trotskij bisbiglia all'orecchio di Lenin: "Aspettiamo che vada via il goy (Stalin) e poi possiamo pregare, c'è minian (quorum di dieci maschi ebrei adulti necessario per pregare)”.(3)

Una delle conseguenze più gravi dello sviluppo del sionismo è di avere demolito le basi del diffuso internazionalismo ebraico e di avere aggiogato moltissimi ebrei alla politica reazionaria di uno stato sciovinista e guerrafondaio.

Dietro l’apparenza di conflitti religiosi si celano lotte sociali, e, quando i proletari di diverse etnie trovano un’intesa, tutte le borghesie locali e internazionale trovano un accordo per schiacciarli. Un esempio. Quando i profughi palestinesi in Libano, in gran parte poveri in canna, cominciarono a fraternizzare con i proletari libanesi e una parte dell’esercito disertò, la Siria inviò le sue truppe col consenso di USA e Russia, Israele e paesi arabi, per riportare l’ordine.(4) E la Falange, braccio armato della borghesia maronita, ebbe modo di compiere indisturbata una strage terribile a Tell el Zaatar.

Questa, e cento altre esperienze del genere dimostrano che le borghesie del vicino Oriente hanno esaurito da tempo ogni carica antimperialistica e che la liberazione dei popoli, delle masse oppresse e sfruttate, potrà avvenire solo sotto la guida del proletariato e del suo partito.



7 dicembre 2012

Note

1) Limes, n.1 2012, pag 17.

2) “The Italo – Ethiopian conflict”, 17 luglio 1935, Writings of Leon Trotsky, 1935 – 1936.

3) Moni Ovadia, ”Un'Internazionale di uomini buoni”.

4) “In un primo tempo la Siria ha fatto intervenire le truppe della Saika, cioè palestinesi organizzati nell’esercito siriano, ma questi reparti disertano in massa passando dalla parte della guerriglia; ai primi di giugno allora interviene direttamente l’esercito siriano con 13.000 uomini e 800 carri armati; esso sottopone ad uno stretto assedio i quartieri di Beirut in mano alle milizie palestinesi e apre un nuovo fronte nel sud del paese. L’intervento siriano non trova oppositori; è avvenuto con l’approvazione americana ed il consenso israeliano che ha però posto come frontiera insuperabile dalle truppe di Damasco, il fiume Litani; è approvato dalla Russia che vede di buon occhio un rafforzamento della Siria e sta contrattando la vendita di armi alla Giordania e naturalmente è accettato dalla Lega Araba che indice però un vertice per arrivare ad un accordo di "pace". Nell’agosto, dopo un assedio di 52 giorni cade il campo palestinese di Tell El Zaatar; chiamata la popolazione ad abbandonare il campo promettendo la protezione della croce rossa, i falangisti e le milizie di Chamoun (un’altra organizzazione cristiana) iniziano poi il massacro sistematico della popolazione facendo migliaia di vittime.” “Lezione marxista della formazione di stati e delle lotte sociali in medio Oriente: I nuovo “Settembre nero” libanese: La Comune di Tell el Zaatar” "Comunismo" n. 12 - giugno 1983.

Michele Basso

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