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(15 Dicembre 2012)
Sabato 15 Dicembre 2012 00:00
La conclusione della III Corte d’Assise sulla morte del giovane Stefano Cucchi, come ormai rimbalza su tutte le testate ed emittenti, ha stabilito che il decesso fu determinato dalla “grave carenza di cibo e liquidi”. Colpevoli quindi i medici dell’ospedale romano Pertini. Il prossimo mercoledì, a fronte di questa superperizia giunta al termine, si celebrerà l’udienza del processo in corso.
Gli imputati non erano solo medici e infermieri, ma anche tre agenti della Polizia penitenziaria. Le percosse, ben evidenti sul volto di Cucchi il giorno del suo processo per direttissima, rimangono un dettaglio per le indagini, forse una specie di annesso ininfluente al caso di un ragazzo fermato per spaccio di droga che è rimasto ben scolpito nella sola memoria della famiglia. Pare non sia stato possibile decifrare se i segni di frattura, invece, rilevati con gli esami medici del caso, fossero legati a traumi pregressi o a quelle stesse violenze subite. Secondo l’Istituto Labanof di Milano, sarebbero compatibili con entrambi i casi.
Quasi duecento pagine di perizia per parlare di sindrome di inanizione e assolvere gli agenti. Il 22 ottobre 2009 Cucchi non sarebbe morto se i medici lo avessero, nei giorni precedenti, monitorato e trattato adeguatamente, ricorrendo a tutti i mezzi possibili di persuasione. Forse la convocazione di un familiare o almeno dell’operatore cui Stefano aveva indirizzato la sua missiva avrebbe potuto aiutarlo a lasciarsi curare?
Non ha perso tempo il senatore Giovanardi, che ai tempi dei fatti era a capo del Dipartimento Antidroga della Presidenza del Consiglio, a dichiarare di aver avuto ragione ai tempi delle foto che ritraevano il corpo di Stefano quando, suscitando scandalo, aveva sostenuto che la vicenda Cucchi era la prova agghiacciante della fine cui porta la droga. Il tentativo subdolo di spostare l’attenzione sulla droga e sulla dipendenza per non parlare di quanto accaduto in cella prima e in ospedale poi era sembrato a tutti eccessivo anche per un Paese come questo, che le uniformi spesso le ha difese ben oltre il limite della legalità.
Secondo la famiglia Cucchi, se pure è vero che l’abbandono terapeutico di Stefano ha certamente procurato la morte, la perizia può essere esaustiva sul solo piano medico, ma non sulla verità dell’accaduto. Perché infatti Stefano Cucchi è finito al Pertini? Nei giorni precedenti all’arresto Stefano era un ragazzo che stava bene, come riferiscono familiari e testimoni. Come tante foto hanno mostrato.
Se Stefano non fosse stato selvaggiamente picchiato (e i lividi sul suo volto fracassato già morto nulla hanno a che vedere con la malnutrizione) non sarebbe arrivato su un lettino d’ospedale. E certe percosse, per rispondere a Giovanardi, non uccidono solo i drogati o gli ex drogati, ma chiunque.
La droga, 6 medici e 3 infermieri ad oggi sembrano essere gli unici assassini. Un comodo alibi perché lo Stato non sia formalmente più sul banco degli imputati. La polizia, infatti, scompare dalle responsabilità oggettive e persino da ogni ipotesi di concausa. Gli ematomi, la schiena spezzata, come si vede dalle foto e dalle testimonianze dei familiari, possono davvero essere segni di violenza di chissà quale anno indietro?
La famiglia di Stefano è scoraggiata: la sorella Ilaria, che più si è esposta in tv, dice che “questa perizia è una conquista, ma è piena di incongruenze” e il rischio di scivolare lontani dalla verità è altissimo. Come se l’orrore dell’ultimo ritratto di Stefano Cucchi non avesse già detto il nome di tutti i carnefici. Se solo si avesse il coraggio e l’onore di pronunciarlo.
Rosa Ana De Santis - Altrenotizie
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