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(11 Ottobre 2012) Enzo Apicella

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Diego Giachetti e i dilemmi di Trotsky

(16 Dicembre 2012)

Viviamo in tempi difficili. La militanza controcorrente è particolarmente faticosa, soprattutto se le speranze di una pur piccola inversione di tendenza vengono periodicamente deluse, e riducono ulteriormente le forze che resistono e non rinunciano alla lotta, tra cui spesso prevalgono ideologie spacciate per nuove e inrealtà vecchissime e regressive. Si capisce come a volte ci si identifichi con alcune straordinarie figure del movimento operaio che nel corso del Novecento hanno conosciuto la sconfitta e prima di essa la solitudine.

Penso a Rosa Luxemburg, che si sentiva meglio con le cinciallegre che con i compagni, e al lungo angosciato isolamento di Gramsci, perseguitato dal fascismo e messo al bando dal suo stesso partito.

Penso a Guevara, incompreso nella sua Cuba a mano a mano che egli cominciava a scorgere gli effetti della riproduzione nell’isola delle sovrastrutture del “socialismo” sovietico, dogmatico e autoritario, e poi lasciato solo – senza contatti, senza rifornimenti - in una selva inospitale.

Sullo stesso piano si colloca Lev Trotskij, che era stato la figura più eminente della rivoluzione del 1905 a Pietroburgo, l’organizzatore e combattente in prima linea dell’Armata Rossa nei primi anni dopo la rivoluzione, e che tuttavia considerava fondamentali soprattutto gli anni in cui, con un gruppo sempre più ristretto di compagni, teneva alta la memoria del proletariato, utilizzando magistralmente il metodo marxista per interpretare una realtà nuova e difficile.

Li ho spesso ricordati insieme, ai miei studenti e ai giovani compagni, soprattutto perché avevano in comune sia il principio che la verità è rivoluzionaria, presto dimenticato dal movimento operaio sia socialdemocratico sia stalinista, e perché non avevano esitato a dare la vita per essere coerenti con le loro convinzioni. Guevara, aveva lasciato Cuba per aiutarla a non rimanere sola e schiacciata dal rapporto con l’URSS; Rosa non aveva per un solo istante pensato di accettare di entrare nel governo provvisorio nato nel corso della rivoluzione del novembre 1918, in cui avrebbe inevitabilmente fornito una copertura rivoluzionaria ai socialdemocratici maggioritari, legati ormai indissolubilmente all’imperialismo tedesco.

Gramsci ha accettato di tacere il suo dissenso, dopo che Togliatti aveva approfittato del suo imprigionamento per cancellare ogni traccia della sua lungimirante critica allo stalinismo in ascesa, ma non ha voluto piegarsi all’esaltazione dell’esistente, e per questo è stato lasciato morire senza che si tentasse di salvarlo con uno scambio di prigionieri con l’URSS. È stato santificato dopo la morte, ma stravolgendone il pensiero e dimenticando la grande elaborazione del biennio rosso, per contrapporre a essa estrapolazioni e forzature dai Quaderni, che sono preziosi per lo storico, ma inevitabilmente reticenti e allusivi, per aggirare la censura carceraria, nei pochi accenni politici.

E quale solitudine maggiore di quella degli ultimi anni di Trotskij? Braccato a livello planetario, e poi rinchiuso in una specie di autocarcerazione nella casa fortezza di Coyoacán, mentre migliaia di pennivendoli vomitavano calunnie infami e spudorate nei suoi confronti… Basta pensare che gli echi di quelle calunnie sono rimbalzati assurdamente fino ai nostri giorni, perfino all’interno della nuova sinistra italiana. Eppure continua ad essere vivo e attuale. Capisco perché Diego Giachetti lo abbia rivisitato proprio ora, e si sia confrontato con le sue ultime riflessioni amarissime, che ne rivelano tutta l’eccezionale statura intellettuale e morale.

In un momento anche peggiore di quello che stiamo vivendo, Trotskij si domandava se non fosse il caso di «porre la questione della revisione della nostra attuale concezione e delle forze motrici della nostra epoca, […] rivedere la prospettiva storica mondiale per i prossimi decenni, e forse per i prossimi secoli». Ma il suo ottimismo di fondo non venne meno, scrive Giachetti, ma “si stemperò solo un po’, assumendo la forma di pessimismo immediato e a breve termine, che non inficiava però il suo ottimismo nel lungo periodo”…

Il saggio di Diego Giachetti è nei Materiali per l’autoformazione, con il titolo: Giachetti. I dilemmi di Trotsky

14/12/12

Antonio Moscato

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