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(8 Gennaio 2013)

beithanoun

7 gennaio 2013

Sono sempre stato convinto che le canzoncine e le filastrocche che i bambini e le bambine sono costretti ad imparare ed a recitare meriterebbero una denuncia all’UNICEF, perché, secondo me, questa tradizione barbarica viola almeno una mezza dozzina di articoli della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Solo il sadismo di menti malate può concepire l’idea di costringere un bambino a comportarsi come un pappagallo ed a ripetere meccanicamente strofette perlopiù prive di senso. Allora, perché mi sono emozionato di fronte ai bambini palestinesi che hanno accolto la nostra delegazione cantando e recitando poesie di benvenuto?


Beit Hanoun è una località della Striscia di Gaza molto vicina al confine con Israele, o meglio con i territori palestinesi occupati dalle milizie sioniste nel 1948, con conseguente deportazione della popolazione verso la piccola fascia costiera, che verrà a sua volta occupata nel 1967, insieme alla West Bank ed a Gerusalemme est.La vita a Beit Hanoun è dura, perché la vicinanza al confine la rende continuamente esposta alle incursioni ed ai bombardamenti israeliani. L’edificio scolastico che visitiamo nella mattinata del 30 dicembre porta i segni dell’ultimo assalto israeliano, avvenuto poco più di un mese prima. Essendo l’edificio più alto della zona, è stato occupato dai soldati israeliani, che lo hanno usato come punto di osservazione e come base per i cecchini: sui parapetti del terrazzo sono stati appena riparati con il cemento i buchi che i militari vi avevano aperto a mo’ di feritoie, per poter sparare in tutta sicurezza contro le strade e le case vicine.

Le aule sono piccole e sovraffollate, lo spazio per il gioco e la ricreazione molto ridotto. Tuttavia, l’insieme comunica un’atmosfera di serenità che raramente ho respirato nelle nostre scuole. Le pareti delle classi e degli spazi comuni sono decorate con immagini dei personaggi amati dai bambini di tutto il mondo e da quadri – alcuni dei quali veramente bellissimi – che raffigurano artisticamente vari aspetti della resistenza palestinese.


Nel limitato spazio all’aperto, sono stati collocati altalene ed altri giochi. Il grande numero di alunni costringe a fare i doppi turni, con alcune classi che frequentano la mattina ed altre il pomeriggio. Con una differenza fondamentale rispetto ad altre scuole di Gaza: in queste scuole, la turnazione segue un criterio di genere, nel senso che la mattina vanno a scuola i maschi ed il pomeriggio le femmine. Nella scuola di Beit Hanoun – come nelle altre quattro gestite nella Striscia dall’associazione “Ghassan Kanafani” – invece, le classi sono miste e bambine e bambini imparano a stare insieme senza differenze sin da piccoli. E questa non è la sola diversità che caratterizza il lavoro educativo degli operatori dell’associazione “Ghassan Kanafani”.


La policy dell’associazione si basa sulla lotta contro “l’arretramento dei valori democratici e di progresso tra la popolazione di Gaza e tra i giovani in modo particolare”, dopo aver indicato come cause della sofferenza del popolo palestinese di Gaza “la continua aggressione israeliana, l’assedio e la chiusura, l’aumento della povertà e della disoccupazione, le divisioni interne palestinesi”. Io mi sento di aggiungere che la pervasività dell’islamizzazione nella Striscia sta diventando una concausa di questa sofferenza. Mi è capitato di vedere alcune immagini di un liceo e del Conservatorio di Gaza, visitati dalla delegazione francese della missione “Benvenuti in Palestina” (che ha seguito un percorso diverso dal nostro), e mi ha colpito il fatto che non ci fosse nemmeno una ragazza fra gli studenti. Questo, come altri segnali, ci ha confermato come la battaglia – culturale, prima ancora che politica – condotta dall’associazionismo e dalla sinistra palestinese sia un elemento fondamentale per il futuro della Palestina, e non solo della Palestina. Non voglio, in questa sede, avventurarmi in un’analisi politica complessiva, ma voglio dire che l’arretramento avvertito dall’associazione “Ghassan Kanafani” si percepisce a colpo d’occhio, come, peraltro, si avverte l’insofferenza di gran parte della popolazione di Gaza verso questa situazione. L’innegabile successo della prima manifestazione di Fatah a Gaza dopo molti anni va letto in quest’ottica, piuttosto che come un sostegno alla politica di quel partito.

Allora, la scelta della sinistra palestinese, rappresentata sul piano politico dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, di investire sul futuro e di lavorare per e con le giovani generazioni, si rivela una scelta di carattere strategico, una scelta che il nostro Antonio Gramsci avrebbe applaudito, e infatti è proprio a Gramsci che i militanti del Fronte fanno spesso ed esplicitamente riferimento. Nell’immediato, la battaglia per l’egemonia culturale sulla società palestinese vede largamente in vantaggio Hamas e la sua rete di organizzazioni assistenziali, caritatevoli ed anche finanziarie (il movimento islamico, similmente ai Fratelli Musulmani in Egitto e altrove, gestisce una quantità di attività imprenditoriali e commerciali). Si tratta, però, di un’egemonia molto più fragile di quanto possa apparire, come testimoniano, da un lato, la forza dell’opposizione laica in Egitto e, dall’altra, il crescente successo delle iniziative della sinistra palestinese a Gaza, roccaforte dell’Islam politico. Fra queste iniziative di successo, quelle dell’associazione “Ghassan Kanafani” rivestono un valore particolare, in virtù della loro proiezione verso il futuro: ad oggi, sono più di 1.000 le bambine ed i bambini della Striscia di Gaza che frequentano le strutture dell’associazione, nonostante le molte difficoltà, prima fra tutte la scarsità di risorse economiche. Come tutte le organizzazioni vicine al Fronte Popolare ed alla sinistra, l’associazione rifiuta ogni contributo da Stati ed organizzazioni, anche non governative, complici dell’occupazione israeliana; il finanziamento delle attività è dunque basato sulla solidarietà della società civile palestinese e di organismi esteri compatibili con le finalità dell’associazione.

Ora mi sembra chiaro il motivo della mia emozione di fronte alle bambine ed ai bambini di Beit Hanoun. Vedendoli, e vedendo le compagne ed i compagni che lavorano con loro, ho sentito che in quella scuola si sta costruendo il futuro del popolo palestinese: un futuro rivoluzionario, di liberazione dall’occupazione, dall’ineguaglianza e dall’oscurantismo. Un futuro che noi possiamo aiutare ad essere sempre più prossimo.

Germano Monti

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