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Psicocomunista

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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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“IL MANIFESTO”:
VIVO? MORTO?
O MORTO VIVENTE?

(12 Gennaio 2013)

Prendiamo atto anche noi, e, se si vuole, con una certa apprensione, delle difficoltà del “Manifesto” a rimanere presente nelle edicole e veicolante tra i “compagni”. Non è certo che lo vorremmo morto in nome delle abissali differenze che ce ne separano. La sua scomparsa costituirebbe in ogni caso una perdita ulteriore per il “nostro campo”. La presenza di una voce anche se solo surrettiziamente “alternativa” all’attuale stato di cose non è cosa di cui ci vorremmo liberare per il suo esaurimento... in perdita. Ma, detto questo, andiamo al nodo.

“Il Manifesto” nacque come costola staccatasi dal vecchio PCI di cui rivendicava appieno l’eredità socialdemocratica “progressiva” (il togliattismo), pretendendo di dargli una “consequenzialità” rivoluzionaria alla luce degli sviluppi del “sessantottismo” (piccolo-borghese), passando, nelle sue fasi iniziali, attraverso l’infatuazione per il maoismo (gabellato come “leninismo della nostra epoca”). Queste fasi si sono andate rapidamente esaurendo, costringendo i “manifestini” ad acconciarsi a limitarsi al ruolo di una supposta estrema sinistra (“rivoluzionaria”, ovviamente) del ed entro il sistema capitalista attuale, entro cui costruire delle propie “casematte” alternative. Da qui il rapido passaggio dal “potere sulla canna del fucile” (“Vietcong vince perché spara”) al potere immaginario da conseguire per via elettorale attraverso delle combine parlamentari capaci di spostare gli assi ferrei del riformismo verso soluzioni (togliattiane) di “democrazia progressiva più avanzata”. L’iniziale lavoro “teorico” di rielaborazione dell’antico ed ormai sputtanato stalinismo, od anche del “pulito” nazional-stalinismo togliattiano, si era già spento con la fine della rivista annessa al quotidiano (cui, per altro, non neghiamo il merito di qualche sforzo di buona volontà nell’opera di “rivisitazione” del passato) e quando, molto più tardi, si cercherà di ritornare ad una seria riflessione collettiva, con la Rivista del Manifesto, questa si troverà già ridotta ad una conventicola di riformisti “di estrema” messi a KO dalla concorrenza “di massa” ex-picista riunita assieme per cambiarsi dei vuoti di analisi e di programma (Bertinotti tra gli altri, rispetto al quale un individuo fatuo come Magri fa già la figura del gigante del pensiero!).

Così, dopo aver fatto una preventiva trafila-gavetta tra le file dello stalinismo (con un Pintor che, in veste di responsabile editoriale, ne sanzionava anche tutte le sconcezze – ovviamente non in veste da criminale, ma da sincero devoto parrocchiale –), dopo aver stazionato a Pechino ai piedi del “grande maestro” Mao, con la stessa compunzione con cui i bigotti clericali acciaccati si genuflettono a Medjugorie in attesa del ”miracolo”, e dopo aver smaltita la propria sbornia sessanta/settantottina in proprio, i nostri “manifestini” si sono consegnati nel tempo ad una tranquilla “ragionevolezza” riformista dichiaratamente espressa. Riformista? Dirlo è troppo. I nostri non si sono peritati di tifare ed inneggiare ad un Clinton, con tanto di manifesto da appendere ad una parete (mentre noi l’avremmo ben altrimenti appeso, il tizio non il manifesto!). Tutto va bene, purché un tantino “più a sinistra” dell’establishement. Da quando, poi, è sceso in campo Berlusconi non c’è stato più freno: di fronte alla schifezza (d’accordo!) di questo “blocco reazionario” l’unica strada apparsa è quella di contrapporre ad essa un’“alternativa” purchessia, sino ad imbarcare nel mucchio, D’Addario e Veroniche a parte, i più squallidi resipiscenti di esso, Fini e Casini compresi, se necessario, e, ove non bastasse, con l’appello agli USA da parte di un inqualificabile Asor Rosa di “tornare” a “liberarci”, anche per mano militare ove possibile.

Con questo non vogliamo assolutamente dire che Il Manifesto si sia scientemente schierato “dall’altra parte”. Le sue pagine hanno continuato a render testimonianza delle lotte in corso da parte degli sfruttati, nazionalmente ed internazionalmente, e noi – in modo assolutamente non settario – rendiamo omaggio a questo sforzo cui varie firme del giornale sono rimaste fedeli, talora con risultati (giornalistici) di tutto rilievo, anche se esso è sostanzialmente affidato a qualche buona firma “eccentrica” lasciata – per il momento – ancora esprimersi liberamente in nome del “pluralismo”. (Ed è questo il motivo residuale per cui giudicheremmo negativa la conclusione di un’esperienza da salvare e dalla quale tuttora attingere degli utili elementi di conoscenza diffusa nel “nostro campo”: compito, però, inscindibile dal superamento del suo carattere, per l’appunto, residuale ed, anche, ingannevole in prospettiva).

Il fatto è che tutto questo si accompagna ad un progressivo e inarrestabile smarrimento delle radici di classe e, specie negli ultimi tempi, fa un tutt’uno con la riduzione del conflitto ad una sorta di “dalla parte degli sfigati”, dei “deboli”, ad un attacco frontale all’idea stessa di una rottura radicale di classe, al ripudio dell’idea stessa dell’assalto rivoluzionario, del potere di classe nella società, e – necessario corollario – al ripudio dell’idea stessa del partito (comunista; gli altri sono legittimati a continuare ad esistere). Il maestro cui rivolgersi per rivestire gli ignudi è diventato Keynes, ed è tutto dire. E, in campo internazionale, s’è ben presa la corsa a schierarsi contro i “diavoli” (russo, cinese, libico e siriano, venezuelano e persino cubano da ultimo) secondo una linea sostanzialmente concorde con quella imperialista occidentale sugli “stati canaglia”. Nessuno riesce ad essere più vendicativo degli amanti delusi; perciò non ci stupisce che un Vendola si faccia uscire dalla bocca sputazzante che “Putin è il diavolo” ed Obama... un buon Cristo.

In vista del futuro non rimane, pertanto, che allestire dei cartelli elettorali ai margini del PD-SEL (anzi: della truffa SEL Il Manifesto si è fatto aperto megafono, arrivando persino a ridicolizzare i poveri Ferrero, “vetero-comunisti”: vero solo il primo aggettivo). Albe tramontate prima del sorgere, arancioni, disobbedienti vari, rivoluzioni civili etc. etc. Storie di “un bambino mai nato”, e per fortuna! C’è a sufficienza di che costringere dei vecchi fondatori del giornale nato illusoriamente, ma convintamene come “comunista”, a prendere il largo.

Impossibile raddrizzare la barra, ma non impossibile che dal serbatoio dei lettori del Manifesto che tuttora si sentono militanti di classe emerga una volontà ed una capacità di girare pagina. Ad essi non diciamo di smettere di compare e leggere il giornale (anche noi lo facciamo, per le utili ragioni sovra esposte), ma di pensare e lavorare ad un’altra impresa da mettere in cantiere. La nostra. Senza diritti di esclusiva da “diritto d’autore”, per quel che ci riguarda, beninteso.

11 gennaio 2013

Nucleo Comunista Internazionalista

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