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Elogio astratto del lavoro, disprezzo e incuria nei confronti dei lavoratori e dei disoccupati

(12 Gennaio 2013)

Da alcuni anni assistiamo a un'indecorosa gara, condotta da ministri e sottosegretari, di solito titolari di cattedre universitarie, che si esercitano nell'insultare e colpevolizzare disoccupati e precari, di volta in volta presentati come bamboccioni, sfigati, scansafatiche. A sentir loro, chi veramente ha voglia di lavorare, trova sempre modo di affermarsi secondo i suoi meriti. Tutte queste acrimoniose sentenze hanno una matrice comune: ministri e tecnici esprimono, in forme piuttosto volgari, un sofisma fondamentale della borghesia, che suona così: "Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza". Formulato così, ha un aspetto molto seducente, e fu persino introdotto nel programma della Socialdemocrazia tedesca a Gotha, suscitando l'ira di Marx ed Engels. (1)

Può sembrare un'apologia del lavoro, come quella, del tutto innocua (per la borghesia) contenuta nella costituzione: la repubblica fondata sul lavoro.

In realtà. il lavoro non è la sola fonte di ricchezza, perché la natura è l'altra componente. Il lavoro può creare valori d'uso solo in rapporto con i mezzi e gli oggetti del lavoro. La maggior parte della popolazione, nella nostra società classista, è priva di proprietà, e quindi può lavorare solo se i proprietari (delle fabbriche, delle terre) glielo consentono e alle loro condizioni. E se non gli consentono di lavorare, non resta che la miseria. Altro che bamboccioni, altro che sfaticati!

La borghesia sostiene che il lavoro è la sola fonte di ricchezza, teorizzando inesistenti condizioni di partenza uguali per tutti, e nasconde il suo vero vantaggio decisivo, la proprietà dei mezzi di produzione. Di qui l'odioso sfottimento del borghese. Sei povero in canna? E' colpa tua, manchi d'iniziativa, hai un approccio sbagliato al lavoro, sei pessimista, devi pensare positivo! Hai un conflitto latente col padre, un buon psicanalista ti risolve tutto. E così via.

Tutti gli argomenti sono impiegati, tranne quello reale, che mancano gli strumenti di lavoro, sia pure quelli più elementari: zappa, sementi e un pezzetto di terra.

Il capitalismo espropria la stragrande maggioranza della popolazione, concede a una parte un regime ergastolano di lavoro, e condanna gli altri alla disoccupazione, a lavori saltuari, alla penuria perpetua. Lo stesso posto di lavoro diventa uno strumento di ricatto. L'elogio astratto del lavoro si accompagna al più osceno spreco delle capacità reali del lavoratore, quasi sempre impegnato in attività che poco o nulla hanno a che fare col la sua formazione e la sua qualifica e con salari da fame, sempre se trova lavoro.

Questi problemi saranno risolti solo con l'espropriazione degli espropriatori, quando, attraverso la proprietà collettiva, ciascuno potrà partecipare al controllo e all'utilizzo dei mezzi di produzione da essere umano, e non da schiavo salariato. L'altra forma storica di controllo dell'uomo sugli strumenti di produzione, quella individuale legata alla piccola proprietà privata, è progressivamente distrutta dal capitalismo e non è possibile restaurarla.

Queste nozioni sono comprese facilmente da operai, impiegati, precari, disoccupati, ma sono inaccessibili ai presuntuosi e arroganti ministri e tecnici.


10 gennaio 2013


Note

1. Karl Marx, "Critica del programma di Gotha, punto 1.

Michele Basso

Fonte

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