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Addio compagne

Addio compagne

(23 Febbraio 2010) Enzo Apicella
Il logo della campagna di tesseramento del prc 2010 è una scarpa col tacco a spillo

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    Rifondazione comunista e la lista Ingroia

    (14 Gennaio 2013)

    La verità va detta, senza veli né ipocrisie. L’adesione di Rifondazione comunista alla lista Ingroia costituisce un atto che prefigura una svendita politica peggiore di quella messa in campo nel 2008 con la lista Arcobaleno e poi sconfitta nel congresso di Chianciano.

    Non solo si liquida il simbolo cancellandolo, ma si traccia per il Prc un futuro nel quale solo con manovre mimetiche sarà possibile garantirsi una esistenza. Ma l’esistenza di cosa? Di una rappresentanza istituzionale, che si sovrappone al gruppo dirigente che a sua volta si sovrappone al partito.


    Il programma di Ingroia

    Dopo lungo lavoro e con la partecipazione diretta della segreteria nazionale del Prc, la lista Ingroia ha partorito il proprio programma ufficiale.

    L’orizzonte massimo sul piano economico sono “investimenti in ricerca e sviluppo, politiche industriali che innovino l’apparato produttivo e la riconversione ecologica dell’economia”. Una patrimoniale e il reddito minimo per i disoccupati sono proposte giuste ma non sono un programma economico, neppure abbozzato.

    Nulla si dice sulle crisi industriali, per aumentare i salari si propone solo la detassazione, per creare occupazione si propongono gli sgravi fiscali alle imprese che investono, fanno ricerca e assumono.

    Si dice no alla privatizzazione dei beni comuni, ma non si dice nulla su come rovesciare il gigantesco processo di privatizzazione che da vent’anni ha arricchito padroni italiani e stranieri e distrutto interi settori produttivi.

    Nulla sulla scuola pubblica, se non l’affermazione del suo “valore universale”, nulla sui finanziamenti alle scuole private e sui processi di autonomia e privatizzazione di fatto, nonché sui tagli che stanno mettendo in ginocchio scuole e università.

    Il punto più avanzato riguarda il ripristino dell’articolo 18 e la richiesta di una legge sulla democrazia e la rappresentanza nei luoghi di lavoro; sono gli unici due punti chiaramente legati a una battaglia di classe.

    L’idea dell’intervento dello Stato in economia non è visibile neppure tra le righe, nazionalizzazioni è una parola sconosciuta. La concezione economica di chi ha scritto questa pagina è inesistente: ci sono alcune idee di tipo riformista appiccicate su una base ideologica sostanzialmente liberale.

    Politica estera: non si riesce neppure a rivendicare esplicitamente il ritiro delle missioni italiane in Afghanistan, Libano, ecc., se non con un riferimento circonlocutorio all’art. 11 della Costituzione.

    Sulla questione morale si ricalcano in forma attenuata le classiche proposte grilline (doppi mandati, incandidabilità, ecc.). Che corruzione politica e dominio di classe abbiano una relazione tra loro è evidentemente un pensiero inafferrabile.

    Sull’Europa ci si dichiara contrari al Fiscal compact, cosa giusta ma che di per sé non significa molto. Si propone di rinegoziare il debito? O si propone di disconoscerlo unilateralmente? E sull’insieme delle politiche economiche (che non sono solo quelle di bilancio, ma anche quelle sul lavoro, le privatizzazioni, le liberalizzazioni, l’immigrazione, gli attacchi alle pensioni e allo stato sociale…) con le quali l’Unione europea ha guidato vent’anni di controriforme sociali, cosa si pensa? Nulla, anzi peggio: la “riforma democratica delle istituzioni europee”. Niente che il Pd non possa sottoscrivere.

    Definire queste idee sparse un programma, o anche solo una traccia di programma, è un’enormità.


    Una proposta liquidatoria

    In nome di questo programma il gruppo dirigente del Prc ha deciso di cancellare la propria presenza sul piano elettorale, e con essa qualsiasi ipotesi di una lista di sinistra che fosse chiaramente riconducibile alla classe lavoratrice, alle sue condizioni, alle sue necessità, alle sue battaglie, e a una prospettiva di lotta contro questo sistema.

    Il simbolo riassume questo abbandono. Un partito comunista, una forza di classe, che decide di entrare a far parte di una lista girotondina-progressista.

    Ci si risponde che le elezioni non sono tutto, che dobbiamo provare a eleggere qualche parlamentare per condurre la nostra battaglia in condizioni di maggior forza, che anche in Europa i partiti comunisti si presentano in coalizioni come Syriza, Izquierda unida o il Front de gauche… chiacchiere. Senza idealizzare nessuna di queste forze, va detto che esse sono chiaramente identificate come forze della sinistra, nelle quali i partiti comunisti (o il Synaspismos nel caso della Grecia) sono la componente centrale, hanno relazioni con la classe, con le strutture sindacali e non a caso sono state tutte sospinte, almeno elettoralmente, dall’onda ascendente degli scioperi e delle lotte di massa. Che questo sia il ritratto della lista Ingroia è un’idea come minimo molto audace, che dovrebbe essere verificata alla prova dei fatti.

    Peraltro, lo diciamo a futura memoria, nessuna di quelle forze è immune dalle contraddizioni e dagli errori che hanno condotto il Prc a questa vigilia drammatica.

    La campagna elettorale viene impostata da Ingroia prevalentemente in concorrenza con il Movimento 5 stelle, con tanto di “campagna acquisti” nella squadra avversaria (si veda la candidatura di Favia in Emilia Romagna). Si cerca il “nome” celebre, alcuni rispettabili, altri meno, ma insomma è una campagna in piena sintonia con lo “spirito dei tempi”. Peccato che non sia il nostro.

    Siamo stati accusati come minoranza di volere per il Prc una “morte onorevole”, ossia una corsa elettorale solitaria destinata inevitabilmente a non superare lo sbarramento del 4 per cento. Naturalmente è quel genere di argomento per il quale manca e mancherà sempre la controprova, ma va capito il ragionamento che lo sorregge. Il punto fondamentale è che si nega l’idea che si possa contrastare il centrosinistra, l’appello al voto utile, ecc. sulla base di una chiara politica di classe e quindi di una altrettanto chiara identità di sinistra.

    È questo il nocciolo profondo del nostro disaccordo col segretario Ferrero. Se anche la lista Ingroia supererà il quorum, permettendoci di mandare tre o quattro compagni in Parlamento, si tratterà non di una battaglia vinta, ma di una resa al trasformismo, alla manovra senza princìpi, a una concezione profondamente subalterna che non potrà che riverberarsi anche sull’azione del partito nella fase successiva.

    Questa lista oggi è elettoralmente contrapposta al Pd, ma non per questo sarà immune dal risucchio verso il centrosinistra. Non a caso Vendola sta bene attento a tenere aperta la comunicazione ben sapendo che sul piano parlamentare sarà prevalente e con le acque agitate che si preparano dopo le elezioni, può puntare a egemonizzare anche l’area “arancione”. Certo, Ferrero promette battaglia a morte e non mettiamo in dubbio la sua sincerità. Solo che per fare le battaglie si devono preparare le condizioni. Se non sei politicamente riconoscibile, se non esiste l’assunzione di responsabilità e quindi la credibilità e la costruzione di un autentico rapporto di direzione politica, queste condizioni non esisteranno mai.

    Con questa scelta si legittima una mentalità minoritaria (questa sì!) per la quale Rifondazione comunista oramai può vivere solo nella misura in cui trovi un “contenitore”, quale che sia, che ne permetta l’esistenza sul piano elettorale. Il partito politicamente è ammutolito. Si farà una campagna elettorale non per aggregare anche sul piano elettorale quegli elementi di resistenza che abbiamo visto nelle lotte di questi anni, ma per convincere l’elettorato del partito a travasarsi in questo contenitore. Si pone la militanza in una condizione di spettatrice, che incoraggia chi è in campo, ma che non può rendersi protagonista della battaglia contro Monti, Berlusconi e Bersani (e Grillo).

    È una scelta che abbiamo contrastato e che è passata, nel gruppo dirigente del Prc, non per convinzione, non per strategia, non per analisi superiori, ma per disperazione.

    Non ci sottraiamo, per il rapporto di lealtà che ci lega alla militanza del partito, dal condividere anche questa battaglia. Ma diciamo con altrettanta chiarezza e lealtà che se non ci sarà una forte e profonda reazione contro lo spirito di rinuncia, contro lo scetticismo e la sfiducia nella nostra classe che hanno ormai conquistato la gran parte del gruppo dirigente, questo partito non avrà più nulla da dare alla lotta contro questo sistema. Ci sommiamo al voto per la lista Ingroia, ma allo stesso tempo facciamo un appello agli attivisti di sinistra affinché a partire dal 25 febbraio si lavori alla costruzione di un partito di classe che veda i comunisti impegnati in prima fila nella lotta per la trasformazione della società.

    Claudio Bellotti (Direzione nazionale Prc)

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