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L’alternativa? Un’altra volta

(24 Gennaio 2013)

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Finalmente le liste dei candidati per le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio sono state presentate.
Inutile commentare le fibrillazioni del centrodestra berlusconiano, alle prese con una nuova versione del noto dilemma morettiano per cui “Cosentino fa più danni se viene o se sta in disparte?” e con le rese dei conti delle varie consorterie (nella Lega Nord come nel neonato gruppo post-fascista dei Fratelli d’Italia).
Poco interessante anche guardare al personale politico delle liste Monti, diviso tra un vasto riciclaggio di vecchi democristiani e ambiziosi “innovatori” a cui viene fornito il Kit del montiano doc.
Il Pd tutto sommato riesce a fare una figura migliore, con un discreto rispetto dei risultati delle primarie per i candidati, che porteranno ad un forte rinnovamento dei suoi deputati e senatori – senza per questo alcun rischio sulla fedeltà alla linea data rappresentata da un Bersani sempre più vicino alle posizioni di Monti.
Un po’ meno rispetto per le primarie viene dalle scelte di Sel, che avendo meno posti a disposizione, deve comunque garantire candidati di partito, in particolare quelli che in questi anni hanno sostenuto senza critiche il ruolo del capo (con gli altri i conti sono stati fatti nell’ultimo anno) e del suo stato maggiore, vecchio o giovane che sia.

Le liste di Sel sono anche un buon esempio di come si utilizzi nella peggior maniera la cosiddetta “società civile”: si pescano un po’ di candidate/i indipendenti, autorevoli e spesso competenti in diversi campi, per metterli al servizio di una politica complessiva basata sull’accordo politico e programmatico con il PD, accordo che nega tutto quanto questi candidati rappresenterebbero: è il caso, solo per fare un esempio, di Giulio Marcon, pacifista che dovrà affiancare i peggiori guerrafondai del Pd come Roberta Pinotti; o di Giorgio Airaudo della Fiom, che già dichiara che non voterà un’eventuale fiducia a Monti, mentre il suo leader già prospetta possibili accordi sulle “riforme costituzionali”.
Siamo ancora fermi alle esperienze negative di Rifondazione: candidati pescati dalla società civile per fare da specchietto per le allodole, senza che questi rappresentino una rottura con i metodi consueti di cooptazione del ceto politico e quindi senza rotture sul piano della logica della “rappresentanza”.

Purtroppo a questo pessimo andazzo non si è sottratta nemmeno la lista di “Rivoluzione Civile”, che ha costruito le sue liste sulla base di due criteri: un accordo blindato dai vertici tra i partiti (Prc, Pdci, Verdi, Idv – con quest’ultima grande protagonista) e anche qui la scelta verticistica di “rappresentanti della società civile” graditi a Ingroia e soci.
E così assistiamo a bocciature clamorose, una su tutte quella di Nicoletta Dosio, attivista No Tav con la tessera del Prc, sacrificata dal suo stesso partito sull’altare della garanzia di posti per esponenti di partito.
Allo stesso tempo si promuovono personaggi come Li Gotti (nell’immagine il suo manifesto per le elezioni 2008) o Giardullo, che con la sinistra e l’alternativa non hanno proprio nulla a che vedere. Ma anche personaggi come Flavio Lotti, immarcescibile leader della “Tavola della pace” che in questi anni ha sempre retto il gioco al Pd e i suoi sodali (mirabile al proposito la sua marcia “per la pace” Perugia-Assisi del ’99, quando invitò il bombardiere D’Alema per “ricucire lo strappo” della guerra alla Jugoslavia…) e nelle varie elezioni passate ha cercato di farsi candidare da chiunque glielo proponesse.

Esemplare per la sua capacità di arrampicarsi sugli specchi il commento del segretario del Prc di Torino, Ezio Locatelli che scrive a questo proposito “quello che non bisogna perdere di vista, pure a fronte delle traversie nella definizione delle candidature, è il motivo fondamentale per cui abbiamo contribuito alla nascita della coalizione “Rivoluzione civile”, la necessità di tener aperto uno spazio politico a sinistra in un momento in cui tutti gli spazi rischiano di chiudersi”, che tradotto dal politichese significa: “l’unica cosa che conta è garantirsi qualche posto in Parlamento. Ci dispiace per compagni come Dosio o Agnoletto, ma Montecitorio val bene qualche sacrificio”…..
Non ci convince nemmeno la tardiva “denuncia” di Vittorio Agnoletto, che giustamente stigmatizza il “veto” nei suoi confronti, ma non prova nemmeno a avanzare una qualche autocritica, essendo stato tra quelli che hanno gestito fin dall’inizio i passaggi che da “Cambiare si può” hanno portato all’espropriazione di ogni istanza di base reggendo il gioco a chi, come il Prc, fingeva di guardare alla base per blindare gli accordi di vertice. In fondo l’esclusione di Agnoletto porta la responsabilità maggiore tra i suoi “amici” che non tra i suoi “nemici”.

Peccato. In molte e molti (le liste, va detto, non rispettano assolutamente un minimo criterio di genere) avevamo sperato che – anche se con tempi stretti – potesse prendere vita un processo davvero nuovo, che non mettesse in discussione i “partiti” in quanto tali, ma le loro pratiche concrete e la realtà della loro distanza da ogni ipotesi alternativa e valorizzasse i movimenti sociali e le lotte che si sono espresse in questi anni (dal NoTav agli studenti, dal Movimento per l’acqua pubblica ad altre esperienze di resistenza alle politiche di austerità di lavoratrici e lavoratori).
Dal 1° dicembre le assemblee di “Cambiare si può” avevano davvero fatto pensare che si potesse cambiare. Invece ha vinto il ceto politico consueto, non quindi genericamente i “partiti”, ma una pratica deleteria di essere “partito”, pronta ancora una volta a espropriare qualsiasi possibilità di partecipazione dal basso e di democrazia reale.
E l’alternativa? Sarà per un’altra volta….

Piero Maestri - Sinistra Critica

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