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Ventiquattro ore senza di noi

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Immigrati. Una figura emblematica: Sher Khan

(24 Gennaio 2013)

Dal giornale "Alternativa di Classe", anno I, n. I

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Come sanno coloro che hanno seguito le lotte degli immigrati a Roma, il pakistano Sher Khan (il cui vero nome era Mohammed Muzaffar Alì), ne è stato un iniziatore, a partire dall’occupazione dell’ex pastificio Pantanella, sulla Via Casilina, avvenuta nei primi anni ’90. Fino alla morte, avvenuta del dicembre del 2009, egli si è adoperato contro le ingiustizie, subendo peraltro gravi soprusi da parte dello Stato italiano
(come la reclusione nel CIE di Ponte Galeria).
Per questo, nella capitale, c’è chi vuole mantenerne vivo il ricordo. Si tratta di collettivi, come Rossa Gioventù (Combat) – di cui fa parte il compagno che abbiamo intervistato – e di singoli che hanno avuto modo di conoscerlo.
Noi riteniamo che questo sforzo vada sostenuto. Del resto, lo si evince anche da questa conversazione, parlare di Sher Khan può significare anche confrontarsi, registrandone le evoluzioni, con vent’anni e passa di protagonismo degli immigrati.


Per motivi generazionali, tu non hai potuto seguire direttamente l’occupazione della Pantanella. Dunque, quando hai avuto modo di conoscere Sher Khan?
Circa quindici anni fa, durante le lotte degli immigrati di Piazza Vittorio. Abitando in quella zona mi sono subito rapportato a quella esperienza conflittuale. Poi, lui era in contatto con miei amici, anche perché era una persona che familiarizzava con chiunque: lo conoscevano un po’ tutti, dall’anziano all’adolescente come me, in quegli anni.

In quel periodo militavi nell’organizzazione giovanile La Scintilla?
In verità era una fase ancora precedente. Poi, dopo, come compagne e compagni della Scintilla abbiamo cercato, sulla base delle nostre piccole forze, di sostenere la lotta degli immigrati, che all’Esquilino aveva uno dei suoi maggiori teatri cittadini. In questo sforzo, avevamo come punto di riferimento proprio Sher Khan perché ne avvertivamo la radicalità: parlava una lingua diversa da quella degli immigrati che erano organicamente legati alla Cgil o alle realtà dell’associazionismo di sinistra. Ciò, a noi che eravamo giovani piuttosto arrabbiati, piacque molto. Così abbiamo fatto questo percorso insieme che, per quanto mi riguarda, è arrivato sino alla fine dei suoi giorni.

Quindi tu hai seguito e sostenuto le lotte degli immigrati a Roma da quindici anni a questa parte…
Diciamo che ho cercato di dare il mio modesto contributo…

Ad ogni modo, oggi la lotta degli immigrati sta vivendo una fase molto diversa. In questo contesto, secondo te, che valore può avere ricordare e rivendicare la figura di Sher Khan?
E’ vero, la situazione è cambiata. Ad esempio, da qualche anno a questa parte gli immigrati li troviamo sempre più protagonisti di lotte nel mondo del lavoro. E’ ormai celeberrimo l’esempio del conflitto nei poli della logistica, un’esperienza partita in Lombardia ed in Emilia, che nelle ultime settimane anche a Roma – a partire dall’hub della SDA Courier Express (Gruppo Poste Italiane) - sta muovendo dei passi iniziali ma già significativi. Dunque, non c’è più solo la battaglia per il permesso di soggiorno e per quei diritti basilari che un immigrato deve conquistare in un paese straniero. Queste nuove esperienze conflittuali sono particolarmente importanti in una situazione segnata da una crisi economica che sta dispiegando ormai pienamente i suoi effetti, sugli immigrati come sui nativi. In un quadro siffatto, la figura di Sher Khan può servire come esempio, non solo per la sua radicalità, ma anche per la sua determinazione, ossia per la capacità di praticare un obiettivo rivendicativo in modo coerente, senza cedimenti, né discontinuità.

Volendo essere precisi, si deve dire che negli ultimi anni le tradizionali mobilitazioni degli immigrati, nella capitale, sono state meno incisive che in passato e che i citati nuovi episodi conflittuali sembrano aprire scenari inediti…
Concordo. Lo indica con chiarezza, lo stesso contesto di Piazza Vittorio, da tempo meno animato che nella seconda metà degli anni ’90.
Però, in verità, se le lotte per il permesso di soggiorno o, poniamo, per la cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia hanno avuto un impatto meno forte che in un passato recente, va anche detto che, nel complesso, gli immigrati sono stati comunque attivi. Ad esempio, la loro presenza è stata molto significativa nelle occupazioni condotte dai movimenti per il diritto all’abitare. Si tratta di lotte condotte assieme a segmenti del proletariato italiano e questo è importante. Tuttavia è innegabile che, nei quartieri più fortemente connotati in senso multietnico, è un po’ mancata la vivacità che c’era prima. Però adesso che, come si diceva, il protagonismo degli immigrati comincia a manifestarsi nei luoghi di lavoro, si aprono nuove possibilità. La prospettiva – che abbiamo sempre richiamato nei nostri slogan – dell’unità tra proletari a prescindere dalla nazionalità, risulta meno lontana. E diventa più facile che si ritorni collettivamente su ciò che ha fatto Sher Khan, riconoscendo quanto sia stato un precursore dei conflitti odierni.

Bene, a questo punto è il caso di soffermarsi sulle tappe del percorso cui avete dato vita, volto non solo a commemorare Sher Khan ma anche, in ultima analisi, a restituirne l’esempio a chi lotta oggi…
Intanto va detto che ogni anno, nel mese di dicembre, ricordiamo Sher Khan nell’angolo che oramai porta il suo nome .Va però riconosciuto che quest’anno eravamo pochi, forse perché iniziative del genere, se isolate, se risolte in un solo pomeriggio, possono risultare, seppur doverose, riduttive. Perciò, pochi giorno dopo ci siamo riconvocati in un’assemblea a Tor Pignattara (altro quartiere simbolo della lotta degli immigrati a Roma), svoltasi nella Sala Consiliare del Municipio. In questo incontro si è deciso di dare veramente corso a ciò di cui si parla dal dicembre del 2009, ossia di mettere una targa lì dove Sher Khan è morto. Questa cosa sinora non è stata fatta per mancanze di quella parte del movimento romano che maggiormente si è dialettizzato con la lotta degli immigrati. Ma ora si è deciso di seguire la vicenda con costanza, provando in prima battuta a rivolgerci alle istituzioni. Dunque, seguiremo l’iter burocratico del caso e faremo la parte dei bravi ragazzi.
Dopodiché, se il Comune non risponde positivamente alle nostre richieste, ci attiviamo noi e denunciamo questa scelta da parte dell’amministrazione locale. A Roma, del resto, non sono poche le targhe commemorative apposte autonomamente dai compagni, che spesso le hanno dovute difendere con i denti. Va poi detto che lo stesso Sher Khan non è che impazzisse per le istituzioni. Ovviamente, ci si rapportava, com’era normale che fosse per chi portava avanti la lotta per ottenere il permesso di soggiorno. Però il suo atteggiamento istintivo (e non solo) era di contrapposizione rispetto alle diverse articolazioni dello Stato, si trattasse della polizia o di qualche assessorato. Vorrei ricordare la sua critica tagliente nei confronti della pagliacciata dei “consiglieri aggiunti”, che a Roma sono stati introdotti durante il regno veltroniano, con l’idea di farne dei rappresentanti istituzionali degli immigrati.


Roma, 4 gennaio 2012

A cura de Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma

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