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«A Genova fu tortura si introduca il reato»

(26 Gennaio 2013)

La realtà piomba inaspettata nel cerimoniale ingessato dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, una platea che per usare le parole del segretario dei Radicali italiani Mario Staderini è formata per «il 90% da uomini e forse altrettanto da anziani». È l'ultima occasione offerta alla Guardasigilli Paola Severino per esibire l'apprezzamento dell'«assetto internazionale» riguardo «le cose che abbiamo fatto». Ma fortunatamente c'è il Primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, che senza girarci attorno ricorda cosa invece non è mai stato fatto, a cominciare dall'introduzione del reato di tortura per fatti sanguinosi come quelli del G8 di Genova: «Ce lo chiede non solo la Corte europea dei diritti umani, ma anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, l'Onu, e i principi ricavabili dalla nostra Costituzione».
Nonostante la ratifica della convenzioni internazionale, il reato ancora non c'è, ricorda Lupo, «mentre le fattispecie penali applicabili sono lontane dal corrispondere alle condotte di particolare gravità riconducibili alla nozione di tortura e non assicurano nel concreto, considerati anche i termini di prescrizione, effettività della risposta sanzionatoria». Come è accaduta per Genova dove «pur riconoscendosi l'assoluta gravità» delle violenze della polizia, «si è ritenuto che alla intervenuta prescrizione dei reati non potesse porre rimedio neppure la proposizione di una questione di costituzionalità» ritenuta inapplicabile in modo retroattivo. Ecco, si può partire da qui per parlare concretamente della «peste giudiziaria» che sta infettando pure le corti europee. Una strada obbligata, se si vuole «contribuire alla costruzione di un sistema di giustizia europeo» che, ricorda Lupo, è ormai un compito ineludibile per chi «ha responsabilità pubbliche e non può rimanere inerte».

Ovviamente quasi tutti i presenti hanno espresso «profonda amarezza e sconforto per la perdurante drammaticità della situazione carceraria». «Drammatico» l'esubero di 18.661 detenuti rispetto ai posti letto, come ricorda Lupo, che per il terzo anno consecutivo dedica la relazione introduttiva al problema «strutturale» che è valso all'Italia la condanna della Corte europea dei diritti umani. «Inaccettabile che - aggiunge Severino - all'inizio di questo mese 24.124 detenuti su 65.789, pari a circa il 36% della popolazione carceraria, siano ancora in attesa di giudizio e, tra essi, ben 12.594 attendano il giudizio di primo grado». Inaccettabile ma inevitabile, se il codice penale contiene 35 mila fattispecie di reato e a ogni tornata elettorale se ne aggiungono altre. Se ci sono oltre 5 milioni di processi civili pendenti (calati del 4,5% dopo l'introduzione della mediazione obbligatoria), e altrettanti nel penale. Se occorrono mediamente 900 giorni per un processo di appello e vanno in prescrizione 128 mila procedimenti all'anno. Se nel 2012 sono 81 mila i ricorsi penali pervenuti davanti alla Corte di Cassazione, che peraltro ha la carenza di magistrati (il 24% in meno di consiglieri) più alta tra tutti gli uffici giudiziari italiani.

Ma se l'analisi è corretta, «le proposte sono insufficienti», critica l'Unione delle camere penali: «La verità è che occorre più coraggio e assunzione di responsabilità, anche perché in prigione gli imputati non ci finiscono certo per opera dello spirito santo. È un non senso denunciare l'indegnità delle carceri senza immaginare, assieme alle future riforme, iniziative immediate ed efficaci, come amnistia e indulto».

Eleonora Martini - il manifesto

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