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USA, la crisi dei sindacati collusi

(28 Gennaio 2013)

union2paris

Lunedì 28 Gennaio 2013 00:00

Sotto la spinta di molteplici fattori, nel 2012 l’affiliazione dei lavoratori americani ad un’associazione sindacale è crollata ai livelli più bassi da quasi un secolo a questa parte. A mettere in risalto questo dato preoccupante è stato un recente rapporto pubblicato qualche giorno fa dall’ufficio statistiche del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti.

I numeri ufficiali indicano che i lavoratori iscritti ad un sindacato lo scorso anno sono stati appena l’11,3% del totale, vale a dire mezzo punto percentuale in meno rispetto al 2011. Questo ulteriore crollo è stato registrato nonostante l’economia americana nello stesso periodo abbia aggiunto 2,4 milioni di posti di lavoro. Secondo gli economisti della Rutgers University che hanno condotto lo studio, solo nel 1916 il livello di sindacalizzazione negli USA era ad un livello più basso di quello attuale.

Il calo per il 2012 ha riguardato sia il settore privato che, più sorprendentemente, quello pubblico. Nel primo caso, le iscrizioni ad un sindacato sono scese in un anno dal 6,9 al 6,6%, una quota irrisoria se si pensa che negli anni Cinquanta era attorno al 35%. Tra i dipendenti pubblici, invece, si è passati addirittura dal 37% del 2011 al 35,9% dello scorso anno, per un calo totale di iscrizioni pari a 234 mila lavoratori. Complessivamente, i lavoratori americani nel settore privato con una tessera sindacale nel 2012 erano 7 milioni, contro i 7,3 milioni in quello pubblico.

Per quanto riguarda il settore pubblico, una delle ragioni di questo tracollo è da ricercarsi nell’adozione negli ultimi anni di politiche anti-sindacali e, in particolare, delle cosiddette leggi “per il diritto al lavoro” in svariati stati controllati dal Partito Repubblicano. Questi provvedimenti proibiscono la stipulazione di contratti collettivi che prevedano l’iscrizione al sindacato o il pagamento della quota associativa come condizione di impiego.

Simili leggi sono state approvate di fronte ad una forte opposizione popolare e delle associazioni sindacali soprattutto in alcuni stati industriali del Midwest come Michigan, Indiana e Wisconsin, dove il livello di adesione ad una “union” era tra i più elevati del paese. In Wisconsin, così, la quota di lavoratori iscritti al sindacato è scesa del 13% tra il 2011 e il 2012, mentre in Indiana addirittura del 18%.

La situazione delineata dall’ufficio statistiche del Dipartimento del Lavoro è però il risultato anche dei massicci licenziamenti di dipendenti pubblici decisi sia a livello statale che federale da entrambi gli schieramenti politici nell’ambito delle politiche di riduzione della spesa.

Nel privato, inoltre, i nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo periodo sono risultati essere soprattutto nella vendita al dettaglio e nella ristorazione, settori tradizionalmente poco sindacalizzati. Le grandi aziende manifatturiere che hanno investito negli Stati Uniti in questi mesi, invece, hanno spesso prediletto stati dove la presenza dei sindacati risulta trascurabile.

Secondo lo studio del governo USA, gli stati con il livello più basso di sindacalizzazione sono la North Carolina (2,9%) e l’Arkansas (3,2%), mentre quelli con il più alto sono New York (23,2%) e l’Alaska (22,4%). Tra i lavoratori a tempo pieno, poi, quelli iscritti ad un sindacato avevano nel 2012 un salario settimanale medio di 943 dollari contro 742 dollari dei loro colleghi non sindacalizzati.

La ragione principale della crescente crisi delle “union” negli Stati Uniti, come altrove, risiede comunque nella funzione degli stessi sindacati negli ultimi decenni e, in particolare, in questi anni di crisi economica. Da tempo queste associazioni di categoria hanno in sostanza svolto il ruolo di esecutori delle politiche industriali decise dai vertici aziendali, così come di facilitatori degli assalti ai diritti dei dipendenti pubblici da parte del governo federale e delle amministrazioni locali, sia democratiche che repubblicane.

Come ha riassunto in un’intervista al New York Times questa settimana il professore Gary Chaison, esperto di relazioni industriali della Clark University, “i lavoratori dovrebbero guardare maggiormente ai sindacati vista la precarietà dei loro impieghi e la stagnazione delle retribuzioni, ma in realtà non lo fanno”, visto che proprio i sindacati hanno favorito la creazione di queste condizioni di lavoro, diventate ormai permanenti.

Che il declino dei sindacati dipenda principalmente dall’incapacità di questi ultimi di offrire risposte ai lavoratori è confermato anche dal fatto che il calo delle iscrizioni è coinciso con il riesplodere delle tensioni sociali negli Stati Uniti, concretizzatesi con numerosi scioperi e mobilitazioni spontanee in risposta agli attacchi contro diritti acquisiti in decenni di durissime lotte.

Di fronte a queste manifestazioni, come sta accadendo proprio in questi giorni con lo sciopero degli autisti dei mezzi scolastici di New York, i sindacati si sono puntualmente adoperati per isolare le proteste e farle sfociare in azioni inoffensive, finendo così per neutralizzare qualsiasi possibile minaccia alla classe dirigente.

Questo ruolo dei sindacati, che sta portando alla loro virtuale estinzione negli Stati Uniti, è testimoniata e al tempo stesso causata anche dal loro allineamento al Partito Democratico e all’agenda interamente pro-business avanzata da quest’ultimo. Le limitate proteste e gli scioperi orchestrati dai sindacati nel settore pubblico, infatti, sono sempre diretti contro le amministrazioni repubblicane, che spesso mettono in atto legislazioni simili a quelle a guida democratica, assicurando che qualsiasi mobilitazione sfoci esclusivamente in un maggiore impegno a favore del partito di Obama nella successiva tornata elettorale.

Il collaborazionismo dei sindacati americani nella distruzione delle condizioni di vita dei lavoratori è risultata particolarmente evidente in occasione del cosiddetto salvataggio di General Motors nel 2009. In quell’occasione, il ritorno al profitto del gigante dell’auto di Detroit venne garantita dall’intervento del governo di Washington e dalla decisiva collaborazione del principale sindacato del settore automobilistico (United Auto Workers, UAW), il quale in cambio di una consistente quota nella proprietà dell’azienda, che ha permesso ai suoi dirigenti di arricchirsi considerevolmente, ha assicurato l’accettazione del dimezzamento degli stipendi per i nuovi assunti e lo smantellamento di gran parte dei diritti che avevano permesso una vita dignitosa a generazioni di operai.

Michele Paris - Altrenotizie

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