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Rifondazione comunista e la crisi degli ostaggi

a proposito di un articolo di Rina Gagliardi su Liberazione

(16 Settembre 2004)

Sotto un titolo che davvero non si presta a interpretazioni (“La giusta politica di Rifondazione”), la compagna Rina Gagliardi ci dispensa su Liberazione del 12 settembre l’interpretazione autentica delle scelte attuate dal partito e da Bertinotti nella drammatica questione delle “due Simone”.

Non è certo una novità, il costume ormai vigente nel partito è che la linea la si detta e la si pratica in tutte le possibili sedi tranne che quelle legittime, e il dibattito interno (sia quello negli organismi dirigenti, sia quello sulle pagine del quotidiano) viene dedicato vuoi a creare un simulacro di democrazia ex post, vuoi a spiegare la linea a quei compagni un po’ tardi di comprendonio che, poveretti, come alunni ripetenti non ce la fanno a stare al passo dell’“innovazione” bertinottiana.

Ci pare necessario provare a dare una diversa lettura di quanto avvenuto, sia riguardo la vicenda del rapimento, sia sul comportamento tenuto dal partito nella circostanza. E l’articolo della compagna Rina, per quanto a nostro avviso criticabile tanto quanto la linea che difende, ha perlomeno il pregio della chiarezza.

Gagliardi ci informa innanzitutto che il mondo è pieno di strumentalizzatori che usano le parole di Bertinotti per i loro poco raccomandabili fini. Costoro sono numerosissimi, e comprendono “professionisti del ceto politico che praticano spesso e volentieri l’arte sciacallesca della strumentalizzazione” (e si citano i Verdi e il Pdci); “star del movimento” (nuova, aspra definizione per i vari D’Erme, Casarini e compagnia, passati in un batter d’occhio dalle stelle alle stalle), i Ds e la stampa progressista del genere di Repubblica, verso la quale, con sprezzo del pericolo (e del ridicolo) la compagna Rina ci invita ad avere “una sana diffidenza”.

Poi, dopo questa lunga sfilata (che occupa un’intera colonna), finalmente si giunge ai “tanti compagni” perplessi. Il messaggio è chiaro: si può essere perplessi, e allora la pena è lieve: leggere dieci volte l’articolo di Rina per chiarirsi le idee; ma chi persiste, finirà per trovarsi nella poco raccomandabile compagnia prima citata e, come vedremo in seguito, anche di peggio.

Si prosegue poi dichiarando che in fondo si tratta di una tempesta in un bicchier d’acqua, e che la vicenda non riveste l’importanza che parrebbe: ed ecco la critica a “un politicismo (…) perfino incomprensibile: in nome del quale un’emergenza drammatica come quella in corso - la vita di queste due persone - dovrebbe essere affrontata in termini politici organici, come se fosse uno dei capitoli clou del nostro programma politico”. Apprezziamo lo sforzo generoso della compagna, ma vorremmo farle notare che questa affermazione, invero temeraria, contrasta frontalmente con quelle del segretario di poche ore precedenti.

“Fausto Bertinotti dice: ‘Fare tutto il possibile per la salvezza delle due Simone’. Anche ritirare i nostri soldati dall’Iraq? No, risponde il segretario di Rifondazione, uno dei leader del movimento pacifista. ‘Teniamo distinta la questione della guerra dal rapimento delle due volontarie. Adesso stiamo parlando di come salvare delle vite umane. Confondere i due piani è solo un pasticcio’.

Il rapimento di Simona Pari e Simona Torretta vi fa mettere da parte la richiesta di ritiro delle truppe italiane?

‘In questi casi c’è un’urgenza temporale e di valori che impone una gerarchia, una scelta. Al primo posto c’è la salvezza delle volontarie. La priorità è trattare, trattare, trattare’.” (La Repubblica, 9 settembre)

In primo luogo, ci pare fortemente criticabile quell’atteggiamento che vede in questo rapimento, o nella vicenda dei reporter francesi, o ancora nell’assassinio di Enzo Baldoni, qualcosa di “diverso” da quanto accade in Iraq quotidianamente. Ma come, si grida scandalizzati: anche i francesi? Anche i pacifisti? Anche un reporter indipendente e schierato contro la guerra? Sì, purtroppo sì: in guerra muoiono anche gli innocenti, anzi soprattutto loro. Anche i “missionari” (le due Simone così sono state definite su Liberazione: missionarie laiche), come sempre è accaduto nei paesi colonizzati, possono finire risucchiati nello scontro. L’idea che le convinzioni personali possano costituire uno scudo è assurda e completamente fuorviante, entrare su questo terreno significa perdere di vista (e far perdere di vista anche a chi ci ascolta) la natura reale della guerra, vivere in un mondo dove invece di capire la natura delle forze in campo, degli interessi che difendono, dei loro programmi, ci si limita ad esortare le coscienze pulite a restare tali. Un messaggio politicamente disarmante, come quello lanciato dopo la strage di Beslan, quando (sempre su Liberazione) si scrive che l’unica alternativa alla barbarie che avanza sarebbe la pace e la volontà di costruirla.

Fosse così, il mondo sarebbe già un paradiso di pace, poiché indubbiamente la stragrande maggioranza dell’umanità non aspira ad altro che a vivere in pace una vita dignitosa. L’alternativa è invece prendere il proprio posto, da comunisti, in prima fila nella lotta gigantesca che oppone e opporrà sempre di più, in tutto il mondo, sfruttatori e sfruttati, oppressori ed oppressi, senza chiudere gli occhi o rifugiarsi in sogni che paiono più religiosi che rivoluzionari.

In questa fitta nebbia, non è un caso che quanto realmente accade in Iraq scompaia completamente dai ragionamenti del partito e del suo gruppo dirigente. Innanzitutto, vorremmo chiedere cosa intendono esattamente Bertinotti, Gagliardi e compagni quando parlano di “terrorismo”? Indubbiamente chi ha rapito le due Simone, o chi ha assassinato Baldoni, sono terroristi animati da un’ideologia reazionaria che in nessun modo possiamo considerare accettabile e che, sia detto tra parentesi, neppure in mille anni potrebbe portare alla liberazione dell’Iraq dall’occupazione.

Si aggiunga che riguardo la vera natura e identità del gruppo (o dei gruppi) responsabili di queste ultime azioni c’è tutt’ora il più fitto mistero, fino al punto che qualcuno comincia a parlare di azioni pilotate dagli Usa o da forze a loro vicine. Senza spingerci a tanto, non possiamo non notare che l’atteggiamento del governo iracheno riguardo al rapimento dei due reporter francesi mostrava una malcelata soddisfazione (riflesso dei sentimenti del padrone di Washington) per il fatto che veniva colpita una nazione che non era intervenuta in Iraq, e certo l’atteggiamento di Baghdad è stato ai limiti dell’ostruzionismo; così come la destra italiana al governo non è parsa disperarsi più di tanto per la sorte di Baldoni.

Oltre ai gruppi fondamentalisti reazionari, in Iraq ci sono anche migliaia o decine di migliaia di persone coinvolte nella resistenza, armata e non, all’occupazione. Resistenza che, non dimentichiamolo, in gran parte si rivolge contro le truppe occupanti e le loro infrastrutture, e che nel solo mese di agosto avrebbe portato a termine, secondo il Corriere della sera, non meno di 2500 attacchi contro le truppe Usa. Tutti terroristi? E se non sono tutti terroristi, ci si potrebbe spiegare dove passano i confini, cosa si ritiene legittimo, accettabile (da un punto di vista politico) e cosa no?

Ma questo a Bertinotti non interessa, per lui la resistenza irachena ha la “erre minuscola”. Poiché il movimento non è come lo vorrebbe lui, poiché al suo interno agiscono anche forze reazionarie, poiché in Iraq avvengono atrocità, allora… bocciata, anche la resistenza irachena. Ci piacerebbe che Bertinotti e i suoi zelanti esegeti rispondessero a questa domanda: considerato che in Palestina agiscono anche gruppi fondamentalisti, considerato che ci sono stati attentati sanguinosi anche contro i civili, che hanno visto morire decine di innocenti, non si dovrebbe considerare la lotta palestinese come una resistenza “con la erre minuscola”? Ma questo non si dice, perché la lotta palestinese è troppo popolare nella sinistra italiana.

Ma, ci dice ancora la compagna Gagliardi, “dobbiamo o no fare tutto quello che è nelle nostre possibilità, dell’azione politica e della diplomazia” per salvare le due Simone e gli altri ostaggi? E quindi era “ovvio partecipare all’incontro col governo, ovvio non condizionare questo tentativo con pregiudiziali politiche o con la ‘immissione’ in questo confronto di parole d’ordine sacrosante - il ritiro immediato delle nostre truppe dall’Iraq - ma non capaci nel contesto di produrre alcun fatto significativo”.

Allora innanzitutto domandiamo: in cosa si sarebbe materializzato questo “tutto il possibile” dopo l’incontro con Berlusconi? Il partito ha promosso e partecipato alle centinaia di manifestazioni di piazza nelle quali si chiedeva la liberazione degli ostaggi. Concretamente, la rimozione delle “pregiudiziali” significa che: non agitiamo o non poniamo come discriminante la richiesta del ritiro delle truppe; che si sospende la critica nei confronti del governo; che si contribuisce a trasmettere l’immagine di un paese unito dietro a Berlusconi. Ancora più importante (anche se di questo si parla meno), togliamo le castagne dal fuoco anche a Fassino, coprendogli il fianco sinistro. Come tutto ciò possa aiutare gli ostaggi a trovare la libertà, è tutt’ora un mistero.

Certo, è possibile che le due Simone siano in mano a un gruppo di banditi che punta ad ottenere un riscatto; in questo caso ben poco ha da dire un partito come il nostro, se non che il governo deve pagare e ottenere il rilascio e dopodiché ritirare le truppe e dimettersi.

Ma se non è così, se i rapitori sono effettivamente un gruppo fondamentalista che ritiene che questo sia un mezzo per ottenere il ritiro delle truppe italiane dall’Iraq, allora l’azione del partito non solo è sbagliata da un punto di vista generale, ma anche rispetto alla specifica questione della liberazione degli ostaggi. Perché l’unica pressione che si può esercitare su un gruppo del genere è fargli percepire il proprio isolamento rispetto al settore che intende influenzare, ossia chi si oppone all’occupazione, qua come laggiù.

Più in generale, va detto che se oggi gruppi di questo genere trovano uno spazio (in realtà relativo, anche se viene amplificato a dismisura dai mezzi di comunicazione) questo avviene anche e in larga misura per le gigantesche responsabilità della sinistra e in particolare dei partiti comunisti su scala internazionale. Fino a quando la parola sinistra indicherà la politica di Fassino e Blair, e la parola comunista indicherà forze come il Partito comunista iracheno, che partecipa al governo collaborazionista, o posizioni come quella espressa ora da Bertinotti, che copre le spalle a Berlusconi e all’Ulivo, ebbene, fino a quando durerà questa situazione sarà sempre possibile per il fondamentalismo pretendere di essere il più intransigente avversario dell’imperialismo, dell’oppressione del popolo iracheno e in generale della nazione araba. E questo, riportando al caso specifico, non migliora ma peggiora le condizioni per la trattativa.

Se in Spagna le masse si fossero attenute alla linea “ovvia” difesa dalla compagna Gagliardi, Aznar sarebbe ancora al suo posto. E vale la pena di ricordare che quando ci fu l’atroce attentato di Madrid, tutta la sinistra spagnola, socialista e comunista, si schierò in un primo momento dietro al governo, fino al punto che quando già il sabato prima delle elezioni c’erano decine di migliaia di persone in piazza sotto le sedi del Partito popolare di Aznar, con manifestazioni tempestose che mettevano sotto accusa la decisione di partecipare all’avventura irachena, ebbene anche in quelle ore i “capi” di Izquierda Unida facevano appello alla calma e a tornare a casa!

La logica della “priorità”, prima la liberazione, poi la lotta per il ritiro delle truppe, non ha alcun senso riguardo la trattativa (che peraltro non conduce Bertinotti, ma i servizi segreti italiani o chi per essi); ma traslata su un piano generale significa: per noi è più importante e urgente sconfiggere il terrorismo che lottare contro l’occupazione; ancora qualche passo e ci ritroveremo a fianco di chi, come Barenghi, dice di preferire i marines a Bagdad piuttosto che un Iraq in mano ai tagliatori di teste. Come se questa fosse la vera alternativa in campo!

Un ultimo breve commento alla chiusura dell’articolo. Scrive la Gagliardi: “Nelle critiche a Bertinotti ho sentito aleggiare - non sempre, non in tutti - una ridondanza dell’ideologia, una spietatezza della politica, un’indifferenza alla tragedia in corso e perfino ai risultati possibili che mi hanno lasciato francamente di sasso. Per la prima volta penso che nel ‘politically correct’, sì, c’è qualcosa di disumano.” Aspettando il prossimo passo, ossia l’accusa a chi critica il segretario di essere talebano o uno sgozzatore mascherato, vorremmo dire a Rina Gagliardi che sì, il “politically correct” non sarà forse disumano, ma è certo un ignobile tentativo di tanta intellettualità “progressista e di sinistra” di coprire le brutture del mondo con un linguaggio educato e di sostituire la lotta contro un sistema disumano con un diluvio di belle parole.

Ma se questa nota finale è un invito a non dimenticarci, anche nella lotta politica, dei nostri sentimenti, la accogliamo in pieno. Sì, siamo animati non solo da una concezione politica che ci spinge a criticare radicalmente l’attuale politica del partito e del segretario, ma anche da un forte e crescente sentimento di indignazione: indignazione per quello che si sta facendo, per come lo si sta facendo, per tutti i signorsì che ad ogni svolta del segretario sono già d’accordo prima ancora di essersi alzati dal letto ed aver letto il giornale, e soprattutto indignazione per quello che si sta facendo a un partito che nonostante tutto continua a chiamarsi comunista e a considerarsi rivoluzionario, e che ogni giorno di più viene spinto in un vero e proprio letamaio politico.

Questo sentimento di indignazione ci animerà anche nell’imminente dibattito congressuale, dove speriamo che si produca nel corpo del partito, fra migliaia di compagni e compagne, quel sussulto indispensabile, senza il quale il futuro del Prc rischia di essere davvero oscuro.

14 settembre 2004

Falcemartello rivista marxista
http://www.marxismo.net

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