">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Capitale e lavoro    (Visualizza la Mappa del sito )

Carpe Diem

Carpe diem

(29 Giugno 2011) Enzo Apicella
Il governo Berlusconi studia una manovra economica da 47 miliardi, che dovrà essere realizzata ... dal prossimo governo

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Capitale e lavoro)

No al contratto bidone del commercio!

(22 Settembre 2004)

La notte del 2 luglio scorso è stata firmata l’ipotesi di accordo per i rinnovi dei CCNL della distribuzione cooperativa (Coop, Conad, ecc.) e del Terziario (tutte le altre aziende private del settore). Un accordo che interessa oltre 1 milione e 500 mila addetti, che sul fronte salariale fa perdere potere d’acquisto ai lavoratori, mentre sul versante normativo introduce ulteriore precarietà e flessibilità in un settore dove ce n’è già troppa. Un vero e proprio contratto bidone, che va fermamente respinto nelle consultazioni che ci saranno tra i lavoratori a settembre.

Diminuisce il potere d’acquisto dei salari

Sul salario la piattaforma originaria elaborata unitariamente dai sindacati confederali, non solo rivendicava il pieno recupero dell’inflazione pregressa, ma si puntava al rafforzamento del potere d’acquisto attraverso la redistibuzione di quote di produttività, in un settore che ha registrato significativi incrementi di profitto in questi anni. Erano richiesti 107 euro di aumento a regime per il primo biennio economico (2003-2004); una cifra per altro modesta e rivista al ribasso in fase di compromesso unitario tra le tre confederazioni. Invece, l’ipotesi di accordo prevede solo 72 euro e non a regime, ma diluiti nel tempo: 35 euro a luglio e 37 euro a dicembre. Inoltre, senza alcun mandato da parte dei lavoratori, si è andati a stabilire gli aumenti anche per il secondo biennio, che invece andavano decisi nel rinnovo contrattuale del biennio economico; 53 euro per tutto il biennio 2005-2006, anch’essi diluiti nel lungo periodo: 23 euro a luglio 2005 e 30 euro nel settembre 2006… quando ormai sta quasi per scadere il contratto! Se Cgil, Cisl e Uil stanno discutendo di allungare da due a tre o quattro la durata dei contratti nazionali, nel commercio è già un dato di fatto.
Stessa fregatura per quanto riguarda l’una-tantum che doveva andare a coprire i 18 mesi di ritardo contrattuale: in base alla richiesta di aumento di 107 euro ci dovevano spettare oltre 2.000 euro di arretrati… invece si è andati a firmare per una misera una-tantum di 400 euro, per altro, non si capisce perché, scorporata pure in due trances: 250 a luglio, 150 a gennaio 2005.
Facciamo notare, inoltre, a chi sta pensando che effettivamente si tratta di aumenti miseri, che tutte queste cifre sono commisurate ad un addetto con contratto full-time al 4° livello, già assunto prima del gennaio 2003; la maggioranza degli addetti del settore non ha questi requisiti, a partire dal fatto che la maggioranza dei lavoratori è assunta con contratti part-time. Ciò vuol dire che i più si troveranno in busta paga cifre ancora più ridicole di quelle ufficiali...
Aumenti così ridicoli non solo non vanno a recuperare l’inflazione reale, determinando un'ulteriore diminuzione del potere d'acquisto dei salari, non solo non si parla neanche di andare a recuperare parte della produttività delle aziende, ma si fa fare un passo indietro all’insieme della classe lavoratrice. Firmare un contratto che prevede nei fatti la quadriennalizzazione del contratto, rappresenta un ulteriore passo indietro rispetto ai già pessimi accordi degli anni novanta, che avevano abolito la scala mobile per adeguare i salari non all’inflazione reale ma a quella programmata dal governo.

Aumenta la precarietà

L’obiettivo che si poneva la piattaforma unitaria era di riconfermare pienamente le normative del CCNL del 1999 in materia di diritti e di mercato del lavoro, con una riduzione delle già esistenti precarietà. L’ipotesi di contratto, invece, va esattamente nella direzione opposta.
Viene raddoppiato il tetto di utilizzo di contratti a termine che passa dal 10% del precedente contratto al 20%, con l’aggravante di utilizzo del lavoro interinale fino al 15%; il totale delle due tipologie di lavoro precario passa da un tetto del 23% del vecchio contratto al 28%. Per le aziende della distribuzione cooperativa il tetto massimo aumenta fino al 25%. Come se non bastasse, dal calcolo di questa percentuale saranno esclusi i lavoratori assunti utilizzando le nuove tipologie di lavori a termine: contratti di inserimento, apprendistato, a progetto… Altro che riduzione delle già esistenti precarietà!
Inoltre, ed è la cosa peggiore, si accetta che per i punti vendita di nuova apertura, nel primo anno di attività, anche tutto il personale potrà essere assunto con contratto a termine! Dopo, la deroga andrà “contrattata”. Sappiamo bene cosa vuol dire “nuove aperture”: turni massacranti, dove l’azienda fa quello che vuole, cambiando gli orari come le pare e piace e rendendo la vita dei lavoratori un inferno. Se tutti sono assunti con contratti precari, l’azienda per tutto un periodo avrà mano libera di disfarsi di tutti quei lavoratori che per qualche ragione non vorranno continuare a chinare sempre la testa di fronte all’arroganza dell’azienda. Non c’è che dire: un vero e proprio regalo alle aziende, servito su un piatto d’argento.
Con un contratto del genere le aziende potranno arrivare a percentuali incredibili di utilizzo di lavoratori precari. E’ gravissimo che in una realtà che già adesso vede i lavoratori divisi tra loro da una miriade di contratti differenti, al cui interno esistono ulteriori differenziazioni (part-time assunti a 30 ore, 24, 19, 16, ci sono persino quelli assunti a 8 ore!), è gravissimo aggiungere ulteriore precarietà. Vogliono rendere la norma avere unità produttive con la maggioranza di lavoratori precari, divisi da situazioni contrattuali diverse, perennemente ricattabili.
Nel nostro settore è evidente come il sindacato fatichi solo ad entrare in molte realtà lavorative, proprio a causa del clima di ricatto che le aziende riescono ad imporre con la precarietà. Aggiungerne ancora vuol dire indebolire l’insieme della classe lavoratrice, rendendo più arduo il compito di quegli attivisti e delegati sindacali che tra mille difficoltà si battono quotidianamente per i diritti dei lavoratori.

Colpiti i lavoratori part-time

Viene cancellato il tetto sul lavoro supplementare, che prima era di un massimo di 120 ore annue. Vengono, invece, recepite le norme della legge Biagi, che consentono di applicare ai contratti la clausola flessibile (spostamento della fascia oraria lavorativa) e la clausola elastica (aumento fino al 30% della prestazione lavorativa originaria). L’adesione alle clausole elastiche e flessibili è volontaria, ci chiediamo, però, se nella pratica il lavoratore sarà veramente libero di scegliere… Il tutto con un onere minimo per l’azienda di solo 1,5% in più sulla retribuzione (oltre alla normale maggiorazione del lavoro supplementare) e un avviso di solo 48 ore (in teoria).
E’ questo il cavillo che, senza nominarlo, introduce nel commercio il famigerato “lavoro a chiamata” (job on call), previsto dalla legge Biagi. Accettare queste clausole vuol dire permettere alle aziende un uso indiscriminato dei lavoratori part-time nei momenti dell’anno con maggior carico di lavoro, con i tempi di vita dei lavoratori completamente appiattiti alle esigenze aziendali.

Peggiorata la normativa sull’apprendistato

Nei fatti l’apprendistato andrà a sostituire quelli che prima erano i contratti formazione lavoro (di massimo due anni). Viene estesa l’applicabilità del contratto di apprendista a praticamente tutte le mansioni (dal 5° fino al 2° livello), interessando tutta la fascia di età tra i 17 e i 29 anni. Viene elevata la durata dell’apprendistato da 3 anni del vecchio contratto a 4 anni, con un numero complessivo di apprendisti che può arrivare fino al 100% rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato in un'azienda!
Cosa cambia con l’apprendistato? Facciamo un esempio concreto: fino a oggi quando una cassiera viene assunta ha il 5° livello e dopo 18 mesi passa al 4° e ci rimane. L’ipotesi di contratto dà la possibilità di assumere la cassiera come apprendista: sarà inquadrata al 6° livello per i primi due anni, al 5° livello per i successivi altri due, e solo dopo 4 anni potrà ricevere la retribuzione per la quale ha compiuto l’apprendistato (il 4° livello). Pur facendo lo stesso identico lavoro di una sua collega, l’apprendista percepirà per 4 anni uno stipendio inferiore.
Un contratto che, come è facile capire, non serve a formare come vogliono far credere le aziende, ma serve semplicemente a rendere i lavoratori più ricattabili, risparmiando sulla loro retribuzione.
E’ scandaloso che alcuni dirigenti sindacali si siano messi a sbandierare questo peggioramento sull’apprendistato come una vittoria, perché la legge Biagi ne prevedeva una durata di addirittura 6 anni! La verità nuda e cruda e che si peggiora l’esistente e, cosa più grave di tutte, senza neanche aver mai veramente ingaggiato una lotta con la controparte.

Una conduzione della trattativa vergognosa

I risultati raggiunti con quest'ipotesi di contratto, sono penosi sia dal punto di vista salariale, sia riguardo il versante normativo. Tra l’altro non si dice nulla sul lavoro domenicale, non contrastando nei fatti il ricorso sempre più frequente a contratti individuali d’assunzione contenenti la clausola del lavoro domenicale obbligatorio. E si potrebbe continuare ancora…
Un tale bidone, non poteva che essere il risultato obbligato di una conduzione della trattativa che ha del vergognoso. Si è aspettato esattamente un anno prima di proclamare il primo sciopero: il 20 dicembre 2003, solo 4 ore di sciopero, inefficaci in un settore dove regna la massima flessibilità sugli orari, ed escludendo dallo sciopero tutto il settore della distribuzione cooperativa. Si è artificiosamente diviso il fronte di lotta, tenendo a casa proprio il settore tradizionalmente più sindacalizzato, illudendo i lavoratori che le cooperative erano diverse. I fatti hanno dimostrato quanto fossero diverse: hanno firmato un contratto che è la sostanziale fotocopia del settore privato, letteralmente un minuto dopo la firma di Confcommercio! Inoltre, si è perso tempo prezioso convocando solo il 26 marzo lo sciopero di 4 ore di tutto il commercio, agganciate alle 4 ore di sciopero proclamate dal sindacato contro la riforma sulle pensioni… Fare uno sciopero di tutta la giornata solo per il contratto era troppo rivoluzionario? Poi la grande farsa finale con ben due scioperi nazionali disdetti all’ultimo momento nell’arco di 15 giorni. Il 19 giugno, dove si era arrivati a prenotare oltre 10mila posti su treni e pullman per Roma, per quella che doveva essere la prima manifestazione nazionale nella storia della categoria; una disdetta arrivata a due giorni dallo sciopero, incomprensibile, che ha lasciato i lavoratori sconcertati. Infine, l’ipotesi di accordo firmata in extremis la notte del 2 luglio giusto in tempo per far saltare gli scioperi indetti proprio il 2 e 3 luglio.
Questi fatti dimostrano come c’è stata una precisa volontà dei dirigenti sindacali di porre fine ad ogni costo ad una vertenza che se fosse continuata avrebbe potuto portare ad una generalizzazione del conflitto. Troppo abituati alla comoda prassi burocratica della concertazione, hanno fatto di tutto per evitare ogni seria iniziativa di lotta, di tutto pur di lasciar fuori i veri protagonisti del rinnovo contrattuale: il milione e mezzo di lavoratori del settore. Hanno preferito firmare un contratto scandaloso, pur di evitare in ogni modo la lotta. E’ evidente che c’è una parte del sindacato che è completamente integrata nella logica di questo sistema, che bada solo ai propri interessi di apparato burocratico e non difende gli interessi dei lavoratori; questo proprio in un periodo dove la crisi e la barbarie del sistema capitalista imporrebbero una politica radicalmente diversa.

Solo la lotta paga

Nelle vertenze i tempi e le forme di lotta hanno una grande importanza. Convocare scioperi di 4 ore, a distanza di mesi uno dall’altro, non serve a niente. Ancora peggio è convocare manifestazioni e scioperi… e poi rimangiarseli all’ultimo momento: così è pure dannoso, si fa perdere credibilità a tutto il sindacato, si scredita il lavoro di tanti attivisti onesti che ci credevano.
Proprio l’esperienza recente, di lotte come quella degli autoferrotranvieri o quella degli operai di Melfi, dimostra una cosa: l’unico modo per ottenere risultati è fare male alla controparte. In queste lotte abbiamo visto il passaggio da forme di protesta puramente dimostrative, a metodi di lotta incisivi, che hanno messo realmente il difficoltà la controparte, costringendola a cedere. Scioperi improvvisi per più giorni consecutivi, picchetti, la ricerca dell’appoggio attivo di settori della popolazione. Scioperi veri e compatti in grado di colpire i padroni nell’unica cosa che hanno veramente a cuore: i profitti. Altro che scioperi finti revocati all’ultimo momento…
Per fare questo, per ottenere risultati, è necessario costruire una direzione all’altezza, capace di dimostrare la stessa determinazione che gli autoferrotranvieri e gli operai di Melfi hanno messo in campo nei mesi scorsi nelle loro vertenze.

No al contratto bidone del commercio!
Per un sindacato che difenda realmente i lavoratori!


Non possiamo accettare che l’ennesima svendita sulla pelle dei lavoratori, passi senza farci sentire. Dobbiamo opporci a questo contratto bidone, pretendere che in tutti i luoghi di lavoro si tengano consultazioni democratiche, chiedere un vero e proprio referendum vincolante, adoperandoci per far votare no a questa ipotesi di contratto. Una prevalenza di no, aprirebbe la possibilità di riprendere in mano la trattativa; comunque sia, un numero il più alto possibile di contrari all’accordo avrebbe un valore che va ben oltre le vicende di questo contratto. La rabbia e l’opposizione, che si è già manifestata da parte di Rsu e singoli lavoratori riguardo alla conduzione di questa trattativa e che ha portato il 19 giugno ben 200 delegati del settore ad autoconvocarsi a Milano contro la decisione di disdire lo sciopero nazionale, può essere un inizio. Non si tratta solo di opporsi ad un contratto che è un attacco spudorato ai diritti e alla dignità dei lavoratori; si tratta di iniziare un cammino, di iniziare a coordinarci dal basso, per costruire una vera sinistra sindacale, che rompa una volta per tutte con la fallimentare politica della concertazione, che smetta di subordinarsi alle compatibilità del sistema. Una vera opposizione che trovi la sua base d’appoggio fondamentale nei delegati che quotidianamente si battono sul proprio posto di lavoro. Un’opposizione che punti ad essere un’alternativa all’attuale gruppo dirigente, che si batta per riappropriarsi del sindacato. Un sindacato che vogliamo finalmente combattivo, impegnato unicamente sul terreno della difesa intransigente degli interessi di classe dei lavoratori.

16 settembre 2004

La nostra voce - lavoratori e delegati per un sindacato democratico e combattivo

23622