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L'Iran propone, gli USA sanzionano

(12 Febbraio 2013)

khamusaltr

Martedì 12 Febbraio 2013 00:00

La settimana appena conclusa ha fatto registrare una serie di importanti annunci relativi alle trattative sulla questione del nucleare iraniano e alla possibile apertura di un qualche colloquio tra Washington e Teheran. Gli incerti passi avanti prospettati dalla stampa internazionale, tuttavia, sembrano essere contraddetti dall’atteggiamento sempre più intimidatorio degli Stati Uniti e dei loro alleati occidentali, tanto che a chiudere la porta a qualsiasi negoziato diretto per il prossimo futuro è stato alla fine il leader supremo della Repubblica Islamica in prima persona, l’ayatollah Ali Khamenei.

Un grande risalto era stato dato dai giornali americani una decina di giorni fa alla cosiddetta offerta di dialogo diretto avanzata dal vice-presidente, Joe Biden, nel corso dell’annuale Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera, alla quale era presente anche il ministro degli Esteri iraniano, Ali Akbar Salehi. Tuttavia, non solo la proposta di Biden era giunta con i consueti ammonimenti al regime di Teheran per piegarsi al volere americano, ma le vere intenzioni degli USA sono state chiarite solo pochi giorni più tardi, quando il Dipartimento del Tesoro ha annunciato l’adozione di nuove pesanti sanzioni contro entità e organismi iraniani che non hanno praticamente nulla a che vedere con il discusso programma nucleare.

I più recenti provvedimenti prendono di mira infatti l’autorità delle telecomunicazioni IRIB e il suo direttore, Ezzatollah Zarghami, due agenzie che secondo le autorità di Washington gestiscono il traffico internet in Iran bloccando l’accesso ai siti web sgraditi al governo e le Industrie Elettroniche dell’Iran, un’azienda statale che produce, sempre secondo il Tesoro USA, apparecchiature destinate al monitoraggio e all’intercettazione delle comunicazioni elettroniche nel paese.

Per il sottosegretario al Tesoro, David Cohen, queste sanzioni colpiscono entità responsabili dell’abuso dei diritti umani, “in particolare negando al popolo iraniano le basilari libertà di espressione e di assemblea”. Singolarmente, l’implementazione di queste nuove misure è giunta più o meno in concomitanza con la pubblicazione negli Stati Uniti di un documento riservato del Dipartimento di Giustizia che stabilisce le basi pseudo-legali per assegnare al presidente l’autorità incontestata di assassinare cittadini americani sospettati di terrorismo ovunque nel mondo, facendo carta straccia della Costituzione e dei fondamentali diritti individuali in essa contenuti.

Inoltre, gli scrupoli democratici che avrebbero spinto l’amministrazione Obama ad adottare le nuove sanzioni si scontrano sia con la pratica ormai ultra-decennale da parte del governo americano, nell’ambito della “guerra al terrore”, di intercettare le comunicazioni dei propri cittadini senza passare attraverso un tribunale, sia con il sostegno incondizionato garantito da Washington a regimi dittatoriali e repressivi nel mondo arabo, a cominciare dall’Arabia Saudita, come è noto il principale rivale di Teheran nella regione.

Le persone e gli enti così colpiti dalle sanzioni, in ogni caso, si vedranno confiscati tutti gli eventuali beni di cui dispongono in territorio statunitense e chiunque intratterrà rapporti con essi verrà escluso dal sistema finanziario americano.

In aggiunta ai provvedimenti annunciati mercoledì scorso, il Dipartimento del Tesoro ha anche ricordato l’entrata in vigore ufficiale di sanzioni adottate in precedenza e che avranno un impatto devastante sull’economia iraniana, dal momento che renderanno pressoché impossibile trasferire in patria i proventi derivanti dall’export petrolifero. Il denaro corrisposto per le vendite di petrolio iraniano dovranno cioè rimanere su un conto del paese acquirente e l’Iran lo potrà utilizzare solo per acquistare in questo stesso paese beni da importare.

Con simili premesse, è dunque facile prevedere quale sarà l’esito del nuovo round di negoziati sul nucleare tra la Repubblica Islamica e i cosiddetti P5+1 (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), previsto per il 25 febbraio ad Almaty, in Kazakistan.

Oltretutto, indiscrezioni di vari diplomatici occidentali nei giorni scorsi hanno lasciato intendere che la proposta che i P5+1 metteranno sul tavolo tra due settimane sarà sostanzialmente identica a quella dei precedenti incontri e che non ha fatto muovere alcun passo verso un possibile accordo. Gli Stati Uniti e i loro alleati intendono cioè imporre all’Iran, tra l’altro, lo stop all’arricchimento dell’uranio al 20% e l’invio in un paese terzo di quello già arricchito perché venga trasformato in combustibile per i propri reattori, così da non poter essere utilizzato a scopi militari.

Inoltre, Teheran dovrebbe garantire accesso illimitato agli ispettori internazionali ad un sito militare dove, secondo più che dubbi rapporti di intelligence occidentali, sarebbero stati condotti in passato esperimenti su armi nucleari. In cambio, l’Iran riceverebbe contropartite insignificanti, come la fornitura di parti di ricambio per la propria flotta aerea e, solo se verranno soddisfatte le imposizioni dei P5+1, un graduale allentamento delle sanzioni meno gravose.

In questo scenario, l’ayatollah Khamenei ha alla fine riportato con i piedi per terra quanti si erano illusi di assistere ad un possibile cambio di prospettiva dell’amministrazione Obama dopo le elezioni del novembre scorso. Nella giornata di giovedì, infatti, la guida suprema della Rivoluzione ha pubblicamente affermato che “l’Iran non intende negoziare sotto pressione”, visto che “gli Stati Uniti tengono un’arma puntata contro di noi e pretendono che noi parliamo con loro”. “La nazione iraniana”, ha poi concluso Khamenei, “non si farà intimidire da simili azioni”.

La stessa posizione di Khamenei è stata ribadita lunedì anche dal capo delle Forze Armate iraniane, generale Hassan Firouzabadi. Quest’ultimo, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa semi-ufficiale Fars, ha sottolineato che “l’offerta di dialogo degli Stati Uniti in contemporanea con l’intensificarsi delle sanzioni è una contraddizione” e dimostra “la mancanza di sincerità” da parte di Washington.

La questione del nucleare e dei rapporti con gli Stati Uniti si è però inevitabilmente innestata sullo scontro politico interno in Iran tra le fazioni di potere che fanno capo a Mahmoud Ahmadinejad e allo stesso Khamenei, complicando la situazione, tanto che il presidente domenica scorsa ha invece ribadito la sua disponibilità ad aprire un dialogo diretto con Washington se cesseranno le pressioni sul suo paese.

Intervenendo nel corso di una cerimonia per festeggiare l’anniversario della rivoluzione del 1979, Ahmadinejad ha comunque fatto ricorso alla stessa immagine utilizzata qualche giorno prima da Khamenei, invitando gli Stati Uniti a togliere la loro “arma dal volto degli iraniani” se desiderano realmente avviare un negoziato bilaterale.

In ogni caso, per il momento entrambe le parti sembrano intenzionate a prendere tempo in attesa dell’esito delle elezioni presidenziali in Iran del giugno prossimo. Al di là dell’inevitabile atteggiamento inflessibile adottato pubblicamente dalle autorità di Teheran, infatti, come ha scritto domenica la Reuters, l’Iran ha ripreso la conversione di modeste quantità di uranio ad alto livello di arricchimento in combustibile per i reattori nucleari, riducendo così la quantità di materiale teoricamente utilizzabile per costruire un’arma atomica.

Questo piccolo segnale distensivo proveniente dalla Repubblica Islamica è stato confermato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), la quale a fine febbraio dovrebbe inoltre rendere noto il proprio rapporto sullo stato dell’attività nucleare iraniana.

Come dimostrano le nuove sanzioni, però, le settimane che precederanno le presidenziali in Iran saranno utilizzate con ogni probabilità dagli Stati Uniti per aumentare ulteriormente le pressioni su Teheran e cercare di destabilizzare un sistema già attraversato da gravi tensioni in vista del voto. Washington, d’altra parte, utilizza da tempo i negoziati con i P5+1 per lanciare ultimatum inaccettabili alla Repubblica Islamica, al preciso scopo di suscitare inevitabili reazioni negative e giustificare ulteriori minacce, compresa quella di una possibile aggressione militare.

A questo scopo, infatti, i preparativi per un eventuale conflitto sono apparsi evidenti nel fine settimana scorso, quando ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, gli USA hanno organizzato un’esercitazione militare con una trentina di altri paesi, ufficialmente per impedire il transito di “armi di distruzione di massa” nel Golfo Persico.

Infine, il Comando Centrale americano - responsabile delle operazioni militari in Medio Oriente - ha annunciato qualche giorno fa una nuova esercitazione multinazionale nelle stesse acque per il mese di maggio, con lo scopo di addestrare la propria marina e quella di altri venti paesi alleati per neutralizzare qualsiasi tentativo di chiusura dello Stretto di Hormuz, da cui transita circa un quinto della produzione petrolifera globale. Un’azione, quest’ultima, più volte minacciata dall’Iran come ritorsione per un eventuale attacco degli Stati Uniti o di Israele.

Michele Paris - Altrenotizie

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