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(14 Febbraio 2013)

Da il manifesto

«No blood for oil». Declinato in decine di lingue diverse, questo slogan è risuonato dieci anni fa, il 15 febbraio 2003, nelle piazze di tutto il mondo nella più grande manifestazione globale della storia. 110 milioni di persone, tre milioni solo in Italia, manifestavano contro la guerra all'Iraq evidenziando l'esistenza di un'altra visione del mondo, pacifista ed antiliberista, che sfidava l'ordine di cose esistenti. L'opposizione alla guerra era infatti solo una delle componenti della protesta globale nella quale erano confluiti migliaia di movimenti sociali, sindacali, politici che negli anni precedenti avevano cominciato a costruire un altro punto di vista di fronte alla narrativa della "fine della storia".
Come sono andate le cose è davanti a noi: la guerra in Iraq c'è stata, e per gli iracheni e le irachene non è ancora finita. Ciò, nonostante che l'ultimo Hammer statunitense abbia attraversato la frontiera il 31 dicembre 2011, lasciando un paese in macerie, sociali, politiche e culturali, prima ancora che fisiche. Non è di molta consolazione ricordare che lo avevamo previsto. La contesa per il petrolio è ancora in corso ed è, ancora oggi, elemento centrale della instabilità del paese e pesa come un macigno sulla possibilità di ritorno alla normalità che è ancora lontana.
Bene fa quindi «Un ponte per...», che dedicherà il 2013 ad una riflessione sul decennale della guerra, a cominciare proprio dalla vicenda del petrolio, con un incontro il 15 febbraio alla Facoltà di Studi Orientali di Roma (vedi su unponteper.it).
Non solo la guerra in Iraq c'è stata, ma le successive avventure militari, in Libia prima e in Mali poi, sempre più chiaramente parte di un confronto globale tra, e dentro, un occidente in declino e un oriente in crescita tumultuosa, hanno trovato una sempre più esile opposizione. Anche qui in Italia. Quasi che l'opposizione alla guerra e la difesa del'articolo 11 della Costituzione fosse stata estromessa dalla crisi economica dall'agenda politica della sinistra.
Ma in questo decennio di transizione è successo anche altro: il risveglio sudamericano, troppo sottaciuto perché troppo scomodo, nella provincia europea; la primavera araba, frettolosamente archiviata come conclusa perché sostanzialmente sconosciuta; il movimento #OccupyWallStreet e l'affacciarsi in molti paesi europei di una nuova sinistra antiliberista. Processi - tutti -nei quali si ritrova parte sia della costituency materiale, che dei paradigmi politici, che dieci anni fa avevano animato la protesta mondiale contro la guerra. Dieci anni sono un tempo strano: buono per un compleanno, ma troppo breve per una valutazione storica. La storia ha i tempi lunghi e, forse, quella che il New York Times aveva definito «la seconda potenza globale» non ha ancora perso la partita.
* Un ponte per..

Fabio Alberti - Un ponte per..

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