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Errico Malatesta e il programma elettorale della sinistra legalitaria

(15 Febbraio 2013)

Sorprende sapere che questo articolo è stato scritto nel 1897. Probabilmente di Malatesta, uscì anonimo sul numero 2 dell'Agitazione, il 21 marzo del 1897. Sembra scritto oggi contro il programma elettorale della sinistra legalitaria, ad esempio di Ingroia. Invece è stato scritto 115 anni fa! Contro il programma elettorale del Partito Socialista, dal quale storicamente provengo tutte le correnti della sinistra, anche quelle più dure dei comunisti.

Allora si difeneva lo Statuto Albertino, oggi la Costituzione. Oggi come allora il programma delle forze elettoralistiche di sinistra era quello della legalità, della riduzione delle spese militari, dell'imposta progressiva. Un programma che il nostro smonta punto per punto: ogni poliziotto può dirsi socialista se la loro richiesta è semplicemente quella della legalità, affonda Malatesta. Sulla riduzione delle spese militari, Malatesta ricorda che siamo in un sistema capitalistico e se non facciamo la rivoluzione sociale ridurre le spese è qualcosa che rigurda la mera contabilità dello Stato (di cui i proletari si infischiano), anzi magari anche il licenziamento di quelli che lavorano nelle fabbriche del ministero della difesa. Una lezione che dovrebbero tenere a mente anche molti anarchici pacifisti e antimilitaristi di oggi che non sanno far altro che protestare contro le fabbriche di armi! Invece si deve lottre per prenderle in mano noi! Infine sull'imposta progressiva, una pernacchia per i marxisti che nell' '897 ancora stavano nel PSI (e ci sarebbero rimasti per 24 anni!): che fine hanno fatto quelle che Marx chiamava le leggi bronzee dei salari? Non hanno ancora capito che non serve aumentare le tasse ai ricchi, perché poi se le rirprendono contro i salari, ma occorre fare la rivoluzione!

No, caro Errico. Non l'hanno ancora capito. Nemmeno dopo 115 anni. Ancora a rirpoporci la solita polpetta avvelenata del riformismo
.



Il "Partito socialista italiano", che altri chiama il "partito di Milano" ha lanciato il suo appello alla "battaglia delle urne".

Esso dice che scende in campo "per la difesa delle libertà popolari, per la rivendicazione del rispetto della legge (sic), per la conquista di quelle più urgenti giustizie che sono la caparra e la condizione dell'avvenimento del suo ideale"; che al conseguimento di questo ideale "mal si riuscirebbe con moti incomposti di popolazioni denutrite e abbruttite da una vita di schiavi"; e che perciò "mentre propugna la organizzazione e la conquista del potere ad opera del proletariato, presenta, nei programmi minimi, una serie di riforme grauali atte ad elevarne anzitutto le condizioni di vita".

E domanda: l'abbandono dell'Africa e la riduzione delle spese militari; le libertà statutarie; il suffragio universale; la riforma tributaria, e varie leggi sociali.

E sta bene.

Ma, domandiamo noi, perché non chiamarsi semplicemente repubblicani, o, addirittura, opposizione di S. Maestà?

Forse per quell'affermazione teorica che la proprietà collettiva è lo sbocco naturale e necessario della moderna evoluzione economica? Ma se non è che questione di teorie e di desideri lontani, ogni buon proprietario ed ogni delegato di P.S. è pronto a dirsi socialista. Basta che li lasciate fare il loro comodo.

O forse per quella tale conquista dei pubblici poteri ad opera del proletariato? Ma questo non è che la cosiddetta "sovranità popolare". E chi non vuole oggi il "popolo sovrano"? S'intende poi che i veri sovrani sono quelli che salgono sulle spalle del popolo.

Tutte queste riforme che, secondo quei socialisti, gli elettori dovrebbero domandare a mezzo del voto, stanno anche nei programmi borghesi più o meno radicali; e sono già state applicate in varii paesi, senza che per questo il capitalismo sia stato indebolito, e la condizione del popolo migliorata.

Vale la pena di costituire un nuovo partito e intitolarsi socialisti "scientifici" per poi cadere al livello dei democratici borghesi?

Certo, anche restando nel sistema borghese, sono possibili miglioramenti; e vi sono infatti fra i proletari di diversi paesi differenze grandissime di condizioni morali e materiali. E noi abbiamo ogni interesse a che le condizioni del popolo migliorino fin da oggi quanto più è possibile, sia per l'effetto immediato della diminuita sofferenza, sia perché quando si è meglio nutriti, più liberi e più istruiti si ha maggior voglia e maggior forza di emarciparsi completamente. Ma la diversa condizione del popolo non dipende – i socialisti dovrebbero saperlo – dalle libertà scritte negli statuti o dal modo come lo Stato riscuote l'imposta. La differenza dipende dal grado di coscienza a cui si è elevato il popolo, dal massimo di oppressione che esso si dimostra disposto a soffrire, dalla forza di resistenza che oppone alle estorzioni delle classi dominanti. Datemi un popolo dociele, disunito, pauroso ed esso sarà ridotto all'ultima miseria e all'ultima schiavitù, qualunque sieno le leggi. Datemene uno che pretende ad una vita umana; ed esso sarà trattato umanamente…e se per abolire quei mali che il popolo non vuole più sopportare ci vogliono delle leggi liberali, queste leggi le faranno gli stessi borghesi, perché il popolo non si abitui a fare a meno delle leggi.

La questione dunque è nel far capire al popolo quali sono i suoi diritti, organizzarlo ed abituarlo alla resistenza: e questo, non già il correr dietro ad illusorie leggine, dovrebbe essere il lavoro di ogni partito socialista degno del nome.

D'altronde, i socialisti che votano non lo fanno certo colla speranza di vincere in queste, né in molte prossime elezioni. Si tratta, essi dicono, di fare un'affermazione. E allora, perché non affermare il programma pieno e per intero?

E' vero che a sentire il Comitato regionale piemontese, si direbbe che essi si credono alla vigilia di diventare ministri. Quella buona gente proponeva di lottre, in queste elezioni, solo per l'abbandono dell'Africa e per il suffragio universale, perché "in ogni modo sarebbe impossibile di attuare tutto il programma in una sola legislatura"!!! Figuriamoci.

Ma esaminiamo un po' più da vicino il programma dei socialisti "milanesi".

Riduzione delle spese militari "perché vano è lo sforzo delle economie, inché esse non si chiedono agli ordinamenti militari".

Si direbbe che parla la buon'anima del ministro Sella. Fra i tanti argomenti contro il militarismo, i socialisti sono andati a scegliero quello delle economie, che ai proletarii non importano proprio nulla. Se non fosse che quesione di spesa, il militarismo, date le attuali condizioni sociali, sarebbe quasi una benedizione. Mandate a casa una parte dei soldati, riducete il personale delle fabbriche d'armi, degli arsenali marittimi e delle forniture militari, e vi sarà tanta più gente senza lavoro che farà concorrenza a quelli che lavorano e farà abbassare i salari.

O non sanno, questi socialisti, che in sistema capitalistico, agli operai non importa nulla se il lavoro è utile o inutile: l'essenziale è che abbiano lavoro.

Suffragio universale - I socialisti sanno che la società attuale ha a base la lotta di classe, e vogliono, o almeno dovrebbero volere che i proletari diventino coscienti dell'antagonismo che v'è tra il loro interesse e quello dei borghesi. Quale miglior mezo per mettere in luce questo antagonismo che poter dire che le leggi, le quali sono tutte contro il popolo, sono fatte dai signori? Perché favorire nel popolo l'illusione che le leggi le fa lui e che lui può modificarle?

Il suffragio universale è ottimo mezzo d'inganno per quelli che vogliono "l'armonia e la concordia fra le classi sociali", ma non si comprende come possa essere, oggi, reclamato da socialisti, sieno pure autoritari e parlamentaristi.

- Imposta progressiva. O che se ne son fatte delle famose teorie della legge di bronzo dei salarii e della ripercussione delle imposte, che erano altravolta fra i caposaldi della scuola marxista?

Dal fatalismo e dal semplicismo di una volta eccoli caduti nei più anodini espedienti del riformismo borghese. O che Giolitti è membro del partito?



Un'ultima osservazione.

I socialisti parlamentari ripetono ogni momento che i loro deputati non possono tradire perché sono soggetti alla disciplina del partito e semplici esecutori della volontà del partito: ma, o che tutti gli elettori proletarii sono membri del partito?

Il "Partito" ammette od espelle chi gli pare, dà il motto d'ordine in tutte le occasioni, approva o condanna…e noi non vi troviamo nulla da dire, poiché è libero ognuno di non aderire al Partito o di uscirne quando non vi si trova più bene.

Ma i deputati, se pur v'è l'ombra di realtà nella cosiddettà rappresentanza dovrebbero ubbidire agli elettori e non già al Partito.

O si tratta di darci un saggio anticipato della famosa "dittatura del proletariato" che poi sarebbe la dittatura del "Partito" sul popolo, e di alcuni uomini sopra il "Partito"?

Povero socialismo!

Anarchaos

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