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    Port Said, pescherecci al molo e contrabbando di diesel

    (23 Febbraio 2013)

    forsaidmur

    Le Corniche di Port Said sono la tipica passeggiata d’una città costiera con una concentrazione di ristoranti, caffè, pescherie, hotel. Se quest’ultimi sono rimasti quasi deserti dalla primavera del 2011, com’è accaduto alla gran parte degli alberghi egiziani per il crollo del flusso turistico, le rivendite ittiche fino a un anno fa lavoravano e i pescherecci uscivano in mare. Poi è arrivata la partita maledetta e quella maledizione, dicono gli abitanti, ha invaso il luogo e la sua attività produttiva perché euro, dollari e anche lire egiziane si sono smaterializzati. Città d’impresa con una radicata industria del pescato e della sua trasformazione diretti in Medio Oriente e in Europa, Port Said annovera anche parecchie industrie manifatturiere e d’abbigliamento, competitive per il cotone della zona e il basso costo della manodopera. Su questo puntavano marchi internazionali per avere merce a buon prezzo. Ma con le rivolte le commesse estere, come i turisti, hanno subìto un vero crollo, complici il vuoto di potere e le paure di tanti clienti che non si sentono rassicurati dall’attuale governance. Gli ultimi dati indicano 200 aziende in procinto di chiusura mentre i disoccupati raggiungono quota 50.000, il 9% della popolazione cittadina.

    Percentuale decisamente più bassa rispetto a metropoli come Il Cairo o Alessandria, ma non si deve dimenticare che il ranking occupazionale del porto canale era più che buono ancora alle soglie del 2008 quando l’ombra della recessione iniziava ad azzannare gran parte delle economie mondiali. Port Said non era un Paradiso però la gente poteva lavorare, non aveva l’assillo di non riuscire a pagare affitto e fare la spesa giornaliera, uno spettro che ora affligge gran parte delle famiglie. Una recente nota del ministero del Lavoro ricorda che 30 fabbriche locali hanno bloccato la produzione con una perdita giornaliera di 17 milioni di lire egiziane (circa due milioni di euro). Accanto alla stagnazione, alla paura dello stato d’assedio cronico per motivi di ordine pubblico - comparso con la violenza pilotata e riversata nello stadio del Marsy - che ha definitivamente allontanato i fondi per le imprese, l’ennesimo straniamento proviene da una legge che elimina lo status di porto franco per la città. Quest’ultimo risaliva al 1976 su iniziativa dell’allora presidente Sadat e, consentendo di evitare dazi doganali, per decenni aveva invogliato magnati egiziani e stranieri a investire in loco con piacere e vantaggio.
    L’abolizione della “free zone”, datata 2002, è tutt’ora prorogata ma l’ipotesi dell’entrata del nuovo regime fiscale allontana sempre più i capitali alla stregua dell’aria delle rivolte, della strage di Stato dello stadio, delle violenze del mese scorso contro la sentenza capitale per i tifosi col marchio Green Eagles. E c’è un altro motivo direttamente collegato alla crisi dell’attività ittica e della sua industria alimentare. Lo esplicita la Camera di Commercio: la rarità delle battute in mare aperto è diretta conseguenza della vendita sottobanco del carburante da parte dei pescatori. Il comportamento preoccupa la stessa Associazione di categoria che ha denunciato il fenomeno come un vero contrabbando. I pescatori acquistano il diesel a un prezzo agevolato e da mesi trovano conveniente rivenderne un cospicuo quantitativo, taluni intere scorte, a svantaggio dell’attività primaria. Insomma la crisi destabilizza le logiche professionali riducendo il quotidiano a una somma d’improvvisazioni dall’ottica cortissima. In tanti hanno iniziato a “salvare” la propria condizione personale e familiare abbandonando la stessa finalità di categoria prim’ancora che una visione comunitaria. Il ragionamento è semplice seppure egoistico e in tanti ripetono: se l’establishment sta a guardare perché lo Stato dovrei salvarlo io?

    Secondo taluni sindacalisti e imprenditori le responsabilità prime risiedono proprio nel ceto politico, dal deposto Consiglio delle Forze Armate capace solo di misure securitarie all’attuale esecutivo della Fratellanza campione di promesse, anche economiche, non mantenute e privo di soluzioni. Inoltre, per il malcontento e il braccio di ferro fra islamisti e laici che nell’area del Delta hanno avuto un riverbero di spiccata violenza, blindati e carri sono tornati per le strade al pari dell’era Tantawi. Come per il porto franco le lagnanze riguardano anche la radicata abitudine all’aiuto statale che ha visto diminuire gli incentivi all’esportazione. Un tempo erano pari al 6%, dal luglio 2011 sono passati al 4% e insistenti voci dall’autunno scorso parlano di un ulteriore ritocco in basso. Per ora tutto s’è fermato per la difficile situazione d’ordine pubblico, ma agli abitanti non è rimasto che contare i fori dei proiettili presenti sui muri proprio attorno al mercato del pesce e della prigione assaltata. Con l’incognita su chi abbia sparato. La polizia giura di no e d’aver esclusivamente difeso la caserma, qualche dimostrante che ha aperto il fuoco imbracciava solo fucili da caccia. I magistrati continuano a indagare.

    23 febbraio 2013

    Enrico Campofreda

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