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E adesso? Quando il movimento pensa alla sua autonomia...

volantino diffuso alla manifestazione del 18 settembre

(23 Settembre 2004)

Sabato 18 Settembre: ancora una volta siamo in piazza contro l'occupazione dell'Iraq. Ma il contesto, rispetto ai cortei precedenti, è mutato. Anzitutto per l'inedita ferocia dell'offensiva americana, che porta a bombardamenti che non risparmiano nessuno e di fronte ai quali suona oscena la richiesta di Frattini alla "potenza amica" affinché eviti di uccidere i civili. Le forze statunitensi, a Bagdad come a Falluja, intendono colpire proprio la popolazione. Ciò, nella consapevolezza del fatto che è la grande maggioranza degli iracheni ad opporsi alla loro presenza e non solo - come si usa dire - pochi gruppi armati.

Perciò si dà vita ad un'autentica strategia del terrore, volta a piegare, di carneficina in carneficina, le masse che rifiutano l'attuale dominio coloniale. Dunque abbiamo davanti un quadro drammatico. Un quadro reso ancora più angosciante dall'attesa per la sorte di quattro persone coraggiose rapite il 7 settembre: due pacifiste italiane e due operatori umanitari iracheni. Ora, molte sono le domande che suscita questo episodio. Chi ha effettuato il sequestro? Non vi sono state, finora, rivendicazioni plausibili ed anche l'obiettivo risulta incomprensibile. Un ponte per, l'organismo dove operano le due pacifiste, è stato artefice di una meritoria campagna contro un crimine della comunità internazionale: l'embargo all'Iraq. Si può dunque parlare di una provocazione funzionale agli interessi dell'esecutivo-fantoccio di Allawi? Non si dimentichi che si sta parlando di una situazione magmatica, segnata da sollevazioni popolari, dalla presenza di decine di migliaia di persone in armi, ma anche dallo svolgersi di azioni legate agli interessi di una parte della dinastia saudita, poco interessata all'autodeterminazione irachena ed in lotta con gli States per il controllo delle risorse petrolifere. In un contesto siffatto, non è difficile che ai tanti attori presenti se ne aggiungano di nuovi, dalle intenzionalità poco chiare e magari dai legami sotterranei con il potere costituito. Però al momento queste sono solo ipotesi difficili da provare, ed il caso delle due Simone rimane un inquietante mistero. A partire dal quale, peraltro, paradossalmente, si fa chiarezza su altre questioni.

Si pensi alle dichiarazioni di Bertinotti di pochi giorni fa, volte a mettere fra parentesi la richiesta di ritiro immediato delle truppe per "lasciare lavorare il governo" in favore delle sequestrate. Per quanto il segretario di Rifondazione abbia in parte rettificato quanto da lui stesso affermato, emerge, tuttavia, chiaramente l'approccio del suo partito verso il movimento contro la guerra. Che è visto come una propria risorsa, da far esprimere con forza in alcuni momenti e da rendere meno visibile in altri. Come, ad esempio, in questo, segnato da quelle prove tecniche di accordo con l'Ulivo a cui la vicenda delle due Simone risulta funzionale, diventando una dimostrazione dell'affidabilità di Rifondazione in casi di emergenza nazionale.

Insomma, si riafferma il primato della politica sul sociale, sui movimenti, sulla vita stessa. Per reazione, nel movimento - non prendendo sul serio altre forze politiche (Verdi, PDCI), che hanno criticato Rifondazione solo per strappargli i voti - si comincia a parlare di autonomia dai partiti. Già, l'autonomia. Basta la parola d'ordine del ritiro delle truppe per conquistarla? Evidentemente no, bisogna andare a fondo nella riflessione. Le ormai note dichiarazioni di Bertinotti debbono indurre a riconoscere il carattere spesso blando dell'opposizione alla guerra sin qui svolta. Le spinte dei partiti della sinistra alternativa vi hanno pesato troppo, impedendone la radicalizzazione, limitandone la presa sulla società. Si pensi solo a un fatto: è diffusa tra gli italiani - anche quando criticano Bush- l'idea che i soldati "nostrani" in Mesopotamia si comportino diversamente da quelli statunitensi. Ciò si lega all'operato di Ciampi che, per rilanciare un nuovo amor patrio, ha valorizzato le missioni militari tricolore in giro per il mondo, sempre e comunque di carattere umanitario. Ora, tale discorso, che è servito a mitigare il dissenso popolare verso la guerra, non ha incontrato troppa opposizione. Ci sono stati forse grandi cortei, quando in Aprile le forze italiane hanno massacrato la folla a Nassiriya? No. Si sono svolte grandi iniziative quando si è saputo che tra i soldati italiani è consuetudine sparare anche alle ambulanze? Nemmeno. E tutto ciò è grave, perché dimostra che il movimento nei mesi passati non ha saputo né demistificare la campagna patriottica in atto, né denunciare l'interesse nazionale. Quello, per intenderci, che nello specifico iracheno coincide con la volontà dell'Eni di avere i suoi pozzi. Quello che, sul piano più generale, viene difeso dall'azione di Ciampi. Il quale, insistendo sul valore dei nostri ragazzi, cerca di esaltare il ruolo dell'Italia come promotrice di una partnership euro-americana, in cui un'UE dotata di un proprio esercito conduca operazioni militari con gli States, ne raffreni gli eccessi e si prenda una parte dei bottini di guerra.

Ora, scontrarsi con tali ipotesi e denunciarle con forza, costituisce il primo antidoto all'invasività dei partiti nel movimento, ovvero il principale canale attraverso cui può passare una radicalità che, lungi dal piegarsi ai giochini dei politicanti, esprima le più sincere istanze che si manifestano in piazza e in scelte di vita come quella di Simona Pari e Simona Torretta.

Roma, 18-09-04

Corrispondenze Metropolitane
collettivo di controinformazione e inchiesta

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