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(8 Gennaio 2011) Enzo Apicella
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    LE ELEZIONI SERVONO AI PADRONI
    LE RIVOLUZIONI AGLI OPERAI

    (3 Marzo 2013)

    “Le rivoluzioni servono ai padroni!”, cosi’ recitava e recita la sintesi sloganistica della posizione del movimento rivoluzionario negli ultimi decenni.
    E’ una sintesi, cioè l’espressione stringata di un processo di analisi e verifica reiterata nello spazio e nel tempo capitalistico.
    Necessita, quindi, di una esplicitazione.

    A volte, nel tempo e nello spazio capitalistico, quello che serve ai padroni, “serve”, o può essere convenientemente utilizzato, anche dal proletariato, come nel caso della internazionalizzazione di mercato e della conseguente, attuale, crisi.
    Questo utilizzo non vale per la partecipazione elettorale, nemmeno come “tribuna” di denuncia rivoluzionaria potenzialmente piu’ ascoltabile dalle masse degli attuali nostri minimi strumenti di comunicazione.
    Questo è stato vero e proficuo in altre epoche storiche, dove l’utilizzo parlamentare è durato il tempo strettamente necessario alla rivoluzione, ed al suo tentativo di riproduzione allargata.
    Oggi, a fronte dell’internazionalizzazione capitalista, dei processi di formazione, diffusione e consolidamento del blocco economico continentale come “nuova” forma della competizione pluripolare che “rosicchia” progressivamente le antiche autonomie degli stati nazionali, non si pone il tema della “convenienza” ad una nostra tattica di partecipazione elettorale.

    Una posizione chiara ed univoca di astensione attiva, cioè legata al lavoro alternativo di radicamento sociale dell’organizzazione di classe, risponde anche alla necessità di produrre una visione complessiva altra della nostra politica di classe.
    Una politica di classe che oggi non contempla alcuna “partecipazione democratica”, e che domani vuole cancellarla come forma di comunanza dei soggetti sociali associati.
    Noi siamo per una società senza classi, cioè per una società in cui non ci sia spazio né bisogno di rappresentare diversi interessi coaugulati in lobby e partiti, e della loro espressione parlamentaristica, peraltro, oggi, ridotta a mera esecutrice di decreti legge o di imposizioni e vincoli europei.
    La novità odierna relativa a questo nostro punto di vista maturato da decenni è che, oggi, intercetta non piu’ nicchie iperpoliticiste, ma milioni di donne e uomini che, seppur spesso qualunquisticamente, hanno rotto con fiducie e deleghe mal riposte.
    Ovviamente, l’intervento in questo 25% di astensionismo non è l’unico nostro terreno di lotta e selezione, e nemmeno il piu’ importante, ma è pur sempre un terreno d’intervento cui dedicare attenzione per incidere in quella frazione astensionista che si pone domande e riflessioni nella prospettiva.
    Essere chiari sul fatto che la nostra possibile organizzazione non trova nel parlamento possibilità utili alla trasformazione sociale è un modo per schierarsi nettamente dalla parte della rivoluzione e della società senza classi.
    Essere chiari sul nostro astensionismo attivo è un modo per schierare da subito quanti si avvicinano a noi su posizioni di classe, antagoniste e separate da tutte le altre.
    L’intreccio tra l’intervento nelle lotte di resistenza alla crisi e nell’astensionismo operaio può produrre un passo in avanti nella costruzione dell’organizzazione autonoma di classe.

    Combat

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