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Verso la vittoria

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(6 Ottobre 2012) Enzo Apicella
Domenica 7 ottobre elezioni presidenziali in Venezuela

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    Venezuela, Chávez è morto, ne sentiremo la mancanza

    (6 Marzo 2013)

    chamanc

    La scomparsa di Hugo Chávez farà capire bene quanto ha pesato nell’intero continente la sua personalità complessa e generosa negli ultimi quindici anni. Una parte del suo programma è stato realizzato: i conflitti interni tra gli Stati si sono attenuati, in molti casi si è arrivati a un atteggiamento comune che ha ridotto fortemente la possibilità di intervento degli Stati Uniti, sono sorte organizzazioni continentali che reintegravano Cuba ed escludevano il pericoloso vicino del nord. Chávez ha anche tentato, non sempre con la dovuta prudenza, di stabilire legami al di fuori del continente, con la Cina ma anche l’Iran e la Siria o la Libia di Gheddafi. Ha contribuito a risollevare Cuba da una situazione difficilissima, ma ha anche anticipato un nuovo tipo di relazione tra due nazioni, basato sullo scambio non puramente commerciale di petrolio con le prestazioni di medici, insegnanti, organizzatori sportivi, che Cuba ha in abbondanza, come frutto di lontani investimenti nello sviluppo umano.

    Il suo coraggio non è stato solo fisico e personale, ma anche teorico e politico. Ricordiamoci quanto fosse difficile parlare di socialismo dopo il “crollo dei muri”. Perfino gli zapatisti non ne avevano parlato, e i nuovi movimenti spesso si fermavano a vagheggiare solo un imprecisato altro mondo possibile. Chavez ha osato proporre un “socialismo del XXI secolo”. In parte è rimasto solo un bel progetto, anche se non accantonato come quello di costruire una V Internazionale, Molte differenziazioni sociali sono rimaste, ma le misure che hanno ridotto la povertà assoluta degli strati popolari sono state limitate ma concrete, e per questo oggi moltissimi venezuelani piangono sinceramente l’unico presidente che hanno sentito vicino a loro.

    E grazie a questo Chávez aveva avuto un magnifico risultato in due elezioni, vinte a distanza di pochi mesi. Un successo straordinario che quasi tutti i commentatori italiani invece minimizzano senza pudore ripetendo che rispetto al passato il consenso si era ridotto a solo il 54% senza accorgersi di quanto fosse grottesco dirlo in un paese come il nostro in cui il presidente Monti, presunto “salvatore della patria” ha appena ottenuto un misero 10,56%…

    Il peggioramento della salute del presidente poco dopo il voto aveva creato notevoli incertezze, e la preoccupazione che i problemi potessero venire non tanto dall’esterno della coalizione chavista, quanto dalla rivalità tra i due principali candidati alla successione, il vicepresidente da poco designato, Nicolas Maduro, e il presidente del parlamento, Diosdado Cabello, un uomo contestato da sinistra per l’ostentazione di una ricchezza accumulata con la corruzione, e considerato il principale esponente della “boliburguesia”. Cabello è probabilmente oggi il più potente: è stato bocciato dagli elettori più volte, ma è stato sempre recuperato dal presidente che gli ha assegnato cariche non elettive. Probabilmente, oltre a una vecchia amicizia, la protezione di Chávez si doveva al fatto che Cabello è l’uomo più gradito ai militari, che in larga maggioranza non sono di sinistra, ed anzi sono quelli di sempre, con legami non troppo occulti con i colleghi colombiani e attraverso di loro con gli Stati Uniti. E hanno un grande peso nell’amministrazione statale: sono ex militari la metà dei governatori… Dietro ai due uomini quindi, ci sono due schieramenti sociali diversi, non rivalità personali.

    Ora la scomparsa del comandante Chávez pone problemi delicati non solo nel Venezuela, ma in America Latina, dove egli svolgeva una funzione di grande tessitore di rapporti, che nessuno dei suoi successori venezuelani potrà esercitare con lo stesso prestigio. Sarà difficile che ci riescano Evo Morales o Correa, per il minor peso dei loro paesi. Quanto a Cristina Kirchner, difficilmente potrebbe avere la capacità di costruire la nuova America Latina intorno al suo paese come aveva fatto generosamente Chávez, anche usando le risorse petrolifere a beneficio del progetto. D’altra parte Lula o Dilma avrebbero difficoltà ad essere accettati, per il ruolo subimperialista del Brasile, che hanno spesso difeso a spada tratta anche da legittime rivendicazioni di governi progressisti. E Cuba è troppo avvinta nelle sue contraddizioni irrisolte per poter avere un ruolo continentale come in passato.

    Le ragioni di questa inquietudine per il futuro del processo bolivariano sono però legate al timore che venga meno la collegialità del potere in Venezuela: il gruppo dirigente ristretto è rimasto sostanzialmente immutato, a parte qualche spostamento da un incarico all’altro, ma sempre sostanzialmente grazie al ruolo del líder máximo, e oggi avrebbe bisogno di una pressione dal basso. Il PSUV non ha un vero dibattito interno o una qualche forma di controllo sui dirigenti e sulla loro selezione. In certi casi non serve neppure a sondare gli umori della base, tanto è vero che a volte non riesce a contrastare il forte astensionismo, e raccoglie meno voti di quanti siano sulla carta i suoi iscritti. È evidente che il ruolo di arbitro di Hugo Chávez ha tenuto finora insieme tutti, senza che si siano delineate alla luce del sole le differenze politiche, che possono emergere invece bruscamente dopo la sua scomparsa definitiva. Sono gli inconvenienti di un potere fortemente centralizzato intorno a una persona sola, che non era certo il “dittatore” demonizzato dalla stampa europea e statunitense (in Italia soprattutto da “la Repubblica”), ma non era certo nemmeno soltanto un primus inter pares.

    Ma, come ha detto Guillermo Almeyra, il chavismo andava al di là dell’uomo, era l’ondata imprevista che lo ha liberato dalla prigione dopo il golpe del 2002, e lo ha spinto a radicalizzarsi, erano gli operai che occupavano Sidor e ne chiedevano la nazionalizzazione a Chávez sfidando il ministro del lavoro, sono le masse decisamente antimperialiste che si organizzano negli organi del potere popolare. Il futuro del Venezuela dipenderà da loro, e da come sapranno vigilare rispetto ai tentativi di capovolgere il processo riducendo Chávez a un’icona su una maglietta rossa.

    Antonio Moscato - Sinistra Critica

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