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(18 Novembre 2008) Enzo Apicella

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Basta sacrifici!

(29 Settembre 2004)

L’opposizione sociale contro il governo Berlusconi

Solo qualche mese fa le forze della reazione sociale e politica erano in forte difficoltà.
La Confindustria era costretta a licenziare il padrone delle ferriere D’Amato per insediare alla presidenza il più aperturista Montezemolo. Il governo di centrodestra di Berlusconi pareva sull’orlo della crisi, incalzato da una articolata opposizione sociale e da un forte movimento popolare che, dai luoghi di lavoro ai territori, aveva saputo costruire grandi mobilitazioni contro la guerra in Iraq e per il ritiro delle truppe italiane da tutti gli scenari bellici; in difesa di essenziali servizi sociali quali la scuola e la sanità e contro le “riforme” di Moratti e Sirchia; per il salario e i diritti come nel caso degli autoferrotranvieri e degli operai di Melfi; per una migliore qualità della vita contro le devastazioni ambientali prodotte a Scanzano, Rapolla e Acerra da depositi di scorie radioattive, elettrodotti, termovalorizzatori; contro la precarietà e la legge 30/2003 e per la garanzia del reddito come nel grande corteo del 1° Maggio a Milano.

La controffensiva di Berlusconi: la controriforma previdenziale

Col sopraggiungere dell’estate invece Berlusconi si è rivitalizzato, ha messo a segno la “manovrina” da 7 miliardi di euro e presentato un DPEF che programma tagli di spesa pesantissimi per ridurre il deficit pubblico e rientrare nei parametri capestro fissati da quella bibbia del capitalismo europeo che è il trattato di Maastricht.
Ha varato la legge delega sulle pensioni, che assesta il colpo di grazia (dopo le tre controriforme pensionistiche del centrosinistra degli anni ’90 operate da Amato, Dini e Prodi) al sistema previdenziale pubblico, senza che CGIL-CISL-UIL, che pure avevano promesso fuoco e fiamme, abbiano mosso un dito, perché -come chiaramente sostengono Rutelli, Prodi e D’Alema- anche per il centrosinistra è inevitabile tagliare la previdenza pubblica, per cui è meglio che il lavoro sporco intanto lo si lasci fare a Berlusconi senza disturbare troppo il manovratore.
Se la controriforma passerà (devono essere ancora varati tutta una serie di decreti attuativi), per andare in pensione ci vorranno 40 anni di contributi a prescindere dall’età o altrimenti 62 anni e almeno 35 di contributi: una vera provocazione per coloro che vedono allontanarsi nel tempo il diritto alla sospirata pensione, una reale catastrofe per i giovani, nella stragrande maggioranza precari, che rischiano veramente di restare senza pensione.

Lo scippo del TFR

Ma l’altro scippo con destrezza è quello del TFR (liquidazione), che sparirà dalle tasche dei lavoratori per finire nei fondi pensione, aperti (gestiti da finanziarie e assicurazioni private) o chiusi (fondi di categoria gestiti da sindacati ed aziende); il TFR passerà ai fondi chiusi secondo il meccanismo riveduto e capovolto del silenzio/assenso (vale a dire che i lavoratori che vorranno restare nella precedente posizione e quindi mantenere la vecchia liquidazione dovranno fare un’esplicita dichiarazione all’azienda e all’INPS e non, come sarebbe stato normale, viceversa). Si tratta del colpo finale sferrato al sistema previdenziale pubblico.
Quindi CGIL-CISL-UIL hanno tutto l’interesse a che quest’oscena “riforma” passi; d’altra parte le loro esigenze finanziarie per mantenere uno stuolo di funzionari e bonzi sindacali sono talmente cresciute che non esitano a firmare contratti (come gli ultimi del commercio e dei dipendenti degli studi professionali), in cui si impone una trattenuta (vera e propria tangente) sui salari dei lavoratori che finisce nei cosiddetti enti bilaterali cogestiti dalla parte padronale e da CGIL-CISL-UIL.

L’insostenibile pesantezza del carovita

Intanto i salari, gli stipendi e le pensioni sono falcidiati da un‘inflazione reale che viaggia abbondantemente oltre l’8-10%: da gennaio ad oggi un pieno di benzina è aumentato dell’11%, i debiti contratti quest’anno dalle famiglie meno abbienti hanno superato di oltre il 20% quelli del 2003, il salario medio di un lavoratore vale oggi 1.384 euro in meno dello scorso anno, con gli stipendi attuali si fa fatica ad arrivare alla quarta settimana del mese.

I frutti della neoconcertazione: la vicenda Alitalia

Settembre ci ha subito regalato un bell’esempio di contrattazione sindacale secondo le regole della neoconcertazione rilanciata e benedetta da Montezemolo: nella “vertenza” Alitalia CGIL-CISL-UIL (con l’avallo dei segretari Epifani, Pezzotta, Angeletti) hanno accettato 3.700 esuberi, l’aumento dell’orario e la diminuzione del salario, il trasferimento di 600 lavoratori da Roma a Milano, la crescita della parte variabile del salario che coprirà tra il 25 ed il 40% della busta paga, la privatizzazione e lo smembramento dell’azienda.

Il trionfo della precarietà

La precarietà dilaga soprattutto tra i giovani, ma ormai aggredisce settori sempre più ampi di lavoratori un tempo definiti sbrigativamente garantiti; la legge 30 (che aveva trovato la strada spianata dal pacchetto Treu votato dal centrosinistra di Prodi) ha “regalato” all’Italia il primato europeo per il numero di tipologie di lavoro, oggi estende il suo campo di applicazione in tutti i nuovi contratti di categoria ed accordi aziendali e territoriali (solo il 3% dei co.co.co. con la nuova legge sono diventati lavoratori dipendenti).

L’attacco al contratto nazionale, allo Statuto dei Lavoratori, al diritto di sciopero

Confindustria, CISL e UIL stanno spingendo per una megatrattativa che ha come obiettivo la cancellazione del contratto nazionale; la CGIL, dopo il rifiuto plateale di luglio di Epifani, si è ridotta a più miti consigli e sarà anche lei della partita.
Evidentemente tutto si può trattare, quando c’è da sottrarre diritti e garanzie ai lavoratori! Ed ecco che il governo prepara un nuovo affondo nell’attacco all’art. 18 e sta mettendo a punto (i confederali ne sono tenuti costantemente al corrente da un’apposita commissione) il cosiddetto nuovo Statuto dei Lavori, il cui vero scopo è cancellare ciò che ancora rimane dello Statuto dei Lavoratori.
In questo scenario fioriscono gli attacchi ai diritti dei lavoratori, a cominciare dal diritto di sciopero: il tribunale di Milano che emana un decreto di condanna con cui intima il pagamento di multe salatissime a 4.200 autoferrotranvieri è solo l’anello terminale di una catena che tende a imprigionare i diritti e soffocare le lotte del mondo del lavoro.

Il rilancio di un nuovo patto sociale

Confindustria, Banca d’Italia, CGIL-CISL-UIL sono concordi nel sottolineare il declino del Paese; la produzione industriale continua a calare, mentre aumentano i processi di deindustrializzazione con relative dismissioni, aumento di cassintegrazione ed esuberi (la Fiat è sempre più a rischio, mentre si consuma il dramma dei lavoratori dell’Alfa Romeo di Arese); le aziende italiane sul mercato internazionale sono scarsamente competitive, la ricerca per l’innovazione di prodotto è al palo; i consumi diminuiscono, il tasso di crescita è sempre vicino allo zero. Per questo chiedono a gran voce un nuovo patto sociale, in cui i lavoratori ancora una volta sono chiamati a sacrificarsi per il rilancio dell’azienda Italia.

La Finanziaria di Berlusconi

In un simile contesto è quasi un gioco da ragazzi per il governo Berlusconi riprendere in mano il pallino e rilanciare con la Finanziaria 2005 da 24 miliardi di euro; una Finanziaria che l’imbonitore di Arcore spudoratamente definisce di sviluppo, senza nuove tasse e senza tagli alla spesa sociale.
In realtà i 24 miliardi della Finanziaria verranno rastrellati attraverso i tetti imposti alla spesa dei ministeri che incideranno pesantemente su scuola, sanità, assistenza e ciò che rimane dello stato sociale; attraverso tagli ai trasferimenti agli enti locali che saranno costretti ad esternalizzare i servizi ed aumentare le varie addizionali IRPEF, ICI, etc; attraverso operazioni di (s)vendita del patrimonio e degli immobili pubblici, molti dei quali lo stato sarà costretto a prendere in affitto dai nuovi proprietari.

I contratti del Pubblico Impiego

Nella Finanziaria ci sarà il tetto ai contratti (già scaduti il 31/12/2003) dei 3.500.000 dipendenti pubblici; poca importanza hanno le punzecchiature all’interno della compagine governativa tra Maroni che ritiene che gli aumenti per i pubblici dipendenti non debbano superare il 2%, mentre Fini/Siniscalco pensano che possano arrivare fino al 3,57%, entrambe queste offerte sono lontane da quanto richiedono formalmente CGIL-CISL-UIL (aumento dell’8%) e soprattutto da quanto (15%) occorrerebbe ai lavoratori per recuperare il potere d’acquisto perso dai loro stipendi ed attestarsi su un tenore di vita dignitoso.
Né mancano voci che evocano lo spettro del blocco totale dei contratti pubblici.

Federalismo e Presidenzialismo

Ma la demolizione dello stato sociale non si arresta con la Finanziaria; contemporaneamente si conclude l’iter parlamentare del federalismo (vera ossessione della Lega, ma cui aveva già contribuito il centrosinistra cambiando il titolo V della Costituzione) che trasferirà alle regioni le competenze su scuola e sanità, distruggendo il carattere nazionale del sistema scolastico e di quello sanitario, aggravando fortemente nel Paese le diseguaglianze sociali e culturali.
Al federalismo liberista e desolidarizzante si affianca l’introduzione del premierato che prefigura una trasformazione in senso autoritario delle istituzioni e dà un colpo letale a quegli ambiti di democrazia garantiti dalla Costituzione del ’48.

Riprendere la lotta, costruire una reale piattaforma sociale antiliberista

L’attacco al mondo del lavoro è dunque generale.
Da questa situazione non se ne esce ripiegando nel proprio particolare in attesa che passi la bufera e sperando in qualche santo in paradiso.
L’unica strada per non essere sconfitti dall’offensiva padronal-governativa è la ripresa della lotta a partire dai singoli posti di lavoro, dai territori, dalle categorie, per costruire un grande e articolato movimento di massa che apra una vertenza generale fondata su una piattaforma sociale largamente condivisa che riaffermi i bisogni, le esigenze, i diritti sacrosanti di tutti/e i/le senza proprietà e senza potere.

No alla Finanziaria di Berlusconi

Se occorrono tanti soldi per contenere il deficit pubblico entro i parametri del trattato di Maastricht (su cui mai i lavoratori e i cittadini sono stati chiamati a pronunciarsi), se li cerchino introducendo una patrimoniale sulle grandi ricchezze, tassando i guadagni di borsa e le transazioni finanziarie, reintroducendo le imposte di successione per i grandi patrimoni, costringendo gli evasori a pagare le tasse.

Salari e stipendi europei

Le buste paga dei lavoratori europei sono, a parità del costo della vita, mediamente inferiori del 20-30% di quelle dei lavoratori tedeschi, inglesi, francesi. Occorre ridurre drasticamente e tendere ad eliminare questo divario.
Nei rinnovi contrattuali rivendichiamo aumenti di 250 € in paga base eguali per tutti/e.

Ripristino della scala mobile

Di fronte al continuo aumento del costo della vita, l’unica valida difesa è battersi per la reintroduzione di un meccanismo automatico di difesa dei salari e delle pensioni dall’inflazione, meccanismo analogo a quello della vecchia scala mobile.

Abrogazione della legge 30 e del pacchetto Treu

Sono questi gli strumenti principali attraverso cui il centrodestra e precedentemente il centrosinistra hanno costruito un gigantesco processo di precarizzazione che hanno ridotto gran parte della forza lavoro a merce da spremere e buttar via.

Garanzia del reddito e tariffazione sociale

Ai disoccupati, precari, pensionati al minimo va garantita l’istituzione/integrazione di un reddito sociale che consenta un’esistenza dignitosa e la fruizione dei servizi sociali essenziali a prezzi politici.

Pensioni pubbliche non elemosine per tutti/e

Lavoriamo per vivere, non viviamo per lavorare. Non più di 35 anni di lavoro; non più di 60 anni di età per la pensione. Mantenimento delle pensioni di anzianità. Ripristino ed estensione del sistema retributivo per tutti/e. Contributi figurativi a carico dei datori di lavoro per i precari per coprire i periodi di disoccupazione.

Difendiamo il TFR

Negli ultimi 4 anni i fondi chiusi (quelli sponsorizzati da CGIL-CISL-UIL) hanno dato un rendimento complessivo del 5,25%, mentre il buon vecchio TFR si è rivalutato del 13,44%.
I fondi aperti sono ancora più pericolosi, se falliscono (clamoroso il caso della Enron), i lavoratori perdono tutto.
Il decreto attuativo sul trasferimento del TFR ai fondi pensione sarà varato entro ottobre 2005, da allora scatteranno i 6 mesi entro i quali bisognerà esprimere la propria contrarietà. Il tempo c’è, ma non sprechiamolo; utilizziamolo per propagandare tra i lavoratori la necessità di organizzare il rifiuto di massa nei confronti dei fondi pensione.

Difendiamo la scuola, la sanità e tutti i servizi pubblici

La scuola, la sanità, l’acqua, l’energia, i trasporti, le telecomunicazioni sono beni pubblici essenziali; dobbiamo impedire la loro mercificazione e privatizzazione. Un grande movimento popolare (già in atto nella scuola contro la “riforma” Moratti) deve battersi per la loro estensione, il loro potenziamento qualitativo, la loro effettiva democratizzazione.
Cancelliamo la controriforma Moratti!

Difendiamo il diritto di sciopero

Con la legge 146/’90 (governo Andreotti) peggiorata dalla legge 83/’2000 (governo D’Alema), il diritto di sciopero nei servizi di pubblica utilità è stato sottoposto ad una serie di limitazioni sempre più pesanti che rischiano addirittura di renderlo impraticabile.
I lavoratori devono riappropriarsi di questo strumento di lotta indispensabile per il miglioramento delle loro condizioni: l’abolizioni di queste norme deve necessariamente entrare nelle prospettive del loro orizzonte di lotta.

Affermiamo la democrazia sindacale

Nei luoghi di lavoro, se non è il padrone a dettare legge da solo, ci pensano CGIL-CISL-UIL e sindacati autonomi di comodo a detenere il monopolio della rappresentanza della forza lavoro, impedendo tramite leggi ed accordi appositi l’esercizio dei diritti sindacali ai Cobas ed ai lavoratori che autonomamente li rivendicano.
Perciò occorre che: 1) tutti i lavoratori e le sigle sindacali possano godere del diritto di assemblea in orario di lavoro; 2) sia cancellata la norma aberrante (accordo del 23/7/’93), per cui nelle elezioni delle RSU nelle aziende private un terzo dei delegati in palio sia preventivamente assegnato a divinis a CGIL-CISL-UIL e sindacati firmatari di contratto; 3) nelle elezioni RSU nei comparti pubblici, che sanciscono la rappresentatività sindacale a livello nazionale, in ogni posto di lavoro i lavoratori possano votare non solo per eleggere i propri delegati, ma anche una lista nazionale in cui sono indicati i sindacati del settore, per concorrere direttamente ad esprimere il grado di rappresentatività nazionale di ciascun sindacato; 4) tutti gli accordi sindacali siano sottoposti al voto dei lavoratori tramite referendum vincolante.

Le elezioni RSU nel Pubblico Impiego Nonostante l’attuale meccanismo truffaldino, la Confederazione Cobas sarà presente nelle elezioni RSU che si terranno in tutti i comparti del Pubblico Impiego (ad eccezione della scuola) a metà novembre, per costruire l’opposizione coerente alle politiche concertative di sottosalario, privatizzazione, mobilità e precarizzazione portate avanti dalle dirigenze aziendali insieme a CGIL-CISL-UIL.
Sarà un’occasione importante per valorizzare e far avanzare gli elementi di questa piattaforma sociale di lotta che deve tendere ad unire milioni di lavoratori e lavoratrici.

Costruire le lotte e lo sciopero generale Di fronte alle politiche liberiste di padroni e governo, all’acquiescenza ad esse del centrosinistra, alla neoconcertazione di CGIL-CISL-UIL, i lavoratori devono costruire un percorso di mobilitazione che riesca a coniugare lotte, vertenze e scioperi, di singoli luoghi di lavoro, territori, categorie, con la necessità della loro estensione e generalizzazione su obiettivi concreti che fanno avanzare i contenuti della piattaforma sociale.
Tempi e modalità vanno calibrate, ma il passaggio dello sciopero generale, che non sia accodamento alle fumisterie di CGIL-CISL-UIL, né pura testimonianza, appare necessario.
Perciò è l’ora di smuovere le acque, rompere la cappa della concertazione, iniziare a intraprendere il percorso della mobilitazione.
Già i Cobas della Scuola hanno accolto la proposta del Coordinamento nazionale in difesa del tempo pieno di una mobilitazione per venerdì 1° ottobre in tutte le piazze d’Italia. Appoggiamo ed allarghiamo la lotta.

La Confederazione Cobas lancia due giornate di assemblee, presidi, mobilitazioni per giovedì 30 settembre e venerdì 1° ottobre contro la Finanziaria, in difesa delle pensioni e dello stato sociale, contro la precarietà, per aumenti salariali eguali per tutti, per difendere la democrazia sindacale e il diritto di sciopero.

CONFEDERAZIONE COBAS
cobas@cobas.it

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