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Iran e Pakistan a tutto gas

(8 Marzo 2013)

iranpakgas

Venerdì 08 Marzo 2013 00:00








Il perseguimento degli obiettivi strategici degli Stati Uniti in Asia centrale continua a scontrarsi con una serie di ostacoli che sono il risultato degli interessi contrastanti in gioco in un’area del pianeta ricca di risorse energetiche. Nonostante la netta opposizione di Washington, infatti, i governi di uno stato alleato - il Pakistan - e di un arcinemico - l’Iran - hanno fatto passi avanti significativi negli ultimi giorni verso una possibile partnership strategica che si intreccia con l’espansione dell’influenza cinese nella regione.

Il rimettersi in moto della collaborazione tra Iran e Pakistan è coinciso a fine febbraio con la visita di due giorni a Teheran del presidente pakistano, Asif Ali Zardari, dove assieme alla guida suprema della Repubblica Islamica, ayatollah Ali Khamenei, ha evidenziato l’importanza dei progetti energetici tra i due paesi confinanti. La questione delle violenze subite quotidianamente dalla minoranza Hazara di fede sciita in Pakistan, al contrario di quanto si attendevano molti analisti, è sembrata finire in secondo piano, con Teheran che ha evitato di puntare il dito contro il governo di Islamabad per non aver saputo evitare i più recenti sanguinosi attentati ad opera di estremisti sunniti che hanno fatto decine di morti.

Khamenei, da parte sua, ha invece affermato che “solo la Repubblica Islamica possiede risorse energetiche sicure nella regione” e che il suo governo è preparato a soddisfare le esigenze del Pakistan in questo ambito. Zardari, a sua volta, ha fatto riferimento alle pressioni fatte dalle potenze regionali e internazionali sul suo governo per impedire un avvicinamento a Teheran, respingendo con forza questi tentativi e rivendicando l’adozione di politiche che, nella piena sovranità del suo paese, possano far fronte efficacemente ai problemi del Pakistan.

Nel concreto, il summit di Teheran è servito a lanciare definitivamente il cosiddetto “gasdotto della pace” che dovrebbe collegare l’Iran e il Pakistan per trasportare verso quest’ultimo paese più di 20 milioni di metri cubi di gas naturale al giorno per alleviare le carenze energetiche che lo affliggono cronicamente. Secondo i resoconti della stampa locale, a Teheran Zardari ha per la prima volta espresso pubblicamente il proprio sostegno per questo progetto attorno al quale le trattative proseguono da almeno due decenni.

L’ostacolo principale alla realizzazione del gasdotto, oltre ai problemi finanziari di Islamabad e all’instabilità della regione che dovrebbe attraversare, è rappresentato proprio dalla contrarietà ripetutamente espressa dagli Stati Uniti. Washington ha ribadito la propria posizione più recentemente alla fine di gennaio, quando il governo pakistano ha dato l’approvazione finale alla costruzione del gasdotto sul proprio territorio dopo che l’Iran ha assicurato la propria assistenza tecnica e finanziaria.

La sezione iraniana del gasdotto è già stata completata, mentre quella pakistana dovrebbe vedere l’inizio ufficiale dei lavori nel corso di una cerimonia prevista per l’11 marzo prossimo. Il costo totale dell’opera in territorio pakistano sarà di circa 1,5 miliardi di dollari e Teheran ha offerto un prestito agevolato pari a 500 milioni, da erogare se Islamabad non cederà alle pressioni americane.

Lo scorso mese di febbraio, in una conferenza stampa a Washington, la portavoce del Dipartimento di Stato, Victoria Nuland, aveva nuovamente avvertito il Pakistan “ad evitare attività proibite dalle sanzioni dell’ONU oppure sanzionabili” secondo la legge USA. Pur mostrando comprensione per i “significativi” bisogni energetici del Pakistan, la Nuland aveva aggiunto che “esistono altre soluzioni a lungo termine che a nostro parere avrebbero maggiore potenzialità di successo” e, perciò, Islamabad non dovrebbe “spendere le proprie scarse risorse in progetti” come il gasdotto proveniente dall’Iran.

Quest’ultimo progetto, va ricordato, avrebbe dovuto inizialmente estendersi fino all’India ma il governo di Nuova Delhi ha alla fine rinunciato proprio in seguito alle pressioni statunitensi e in cambio della firma di uno speciale accordo sul nucleare con l’amministrazione Bush nel 2005.

Se il Pakistan ha deciso di rivolgersi alla Repubblica Islamica contro il parere di Washington alla luce soprattutto della crisi energetica domestica con cui deve fare i conti, anche l’Iran ha un enorme interesse nel progetto, visto il danno causato alla sua economia dalle sanzioni internazionali, nonché il limitatissimo sbocco verso i mercati esteri che trovano finora le proprie ingenti riserve di gas naturale. Tanto più che un altro progetto di gasdotto che avrebbe dovuto attraversare l’Iraq e la Siria per raggiungere il Mediterraneo sembra essere definitivamente naufragato con l’aggravarsi del conflitto in corso in quest’ultimo paese.

Parallelamente al “gasdotto della pace”, i primi giorni di marzo hanno visto poi la promozione di un altro progetto congiunto tra Pakistan e Iran, questa volta per la costruzione di un oleodotto e di una raffineria nei pressi di una città portuale pakistana di grande importanza strategica.

La firma di quest’ultimo accordo dovrebbe giungere sempre il prossimo 11 marzo ed è il risultato della recente visita a Islamabad del ministro del Petrolio iraniano, Rostam Ghasemi. Il complesso industriale destinato alla raffinazione di 400 mila barili di petrolio al giorno costerà 4 miliardi di dollari. L’aspetto strategicamente più significativo è però la località in cui la raffineria dovrebbe sorgere, cioè Gwadar, dove il 18 febbraio scorso una compagnia pubblica cinese ha assunto ufficialmente il controllo dei lavori per lo sviluppo delle infrastrutture portuali.

Gwadar si trova nella provincia meridionale pakistana del Belucistan ed è affacciata sul Mare Arabico, a poco più di 300 chilometri dallo Stretto di Hormuz, all’imbocco del Golfo Persico, da cui transitano le principali rotte petrolifere provenienti dal Medio Oriente e dirette verso l’Asia centrale ed orientale. Come ha scritto un recente editoriale del quotidiano pakistano The Express Tribune, il nuovo progetto iraniano, con buona pace degli Stati Uniti, potrebbe dare un impulso decisivo alla ripresa delle operazioni, interrotte qualche anno fa, per costruire un’altra raffineria a Gwadar da parte di Pechino e di un oleodotto per collegare questa città alla Cina occidentale.

L’arrivo dei cinesi a Gwadar va visto nell’ottica della diversificazione delle rotte di approvvigionamento energetico cercata da Pechino nell’ambito dell’intensificarsi della rivalità con Washington. Una via di terra come quella offerta da un oleodotto che colleghi Gwadar al territorio cinese - così come un progetto simile allo studio in Myanmar - consentirebbe infatti di evitare almeno in parte lo Stretto di Malacca a sud-est, dove la massiccia presenza delle forze navali degli Stati Uniti e di quelle dei loro alleati nella regione potrebbe interrompere, in caso di crisi, le rotte di mare che lo attraversano.

Per quanto riguarda la raffineria iraniana, essa sarà completata tramite una joint venture con la compagnia petrolifera pakistana PSO e a sua volta rimpiazzerà un progetto fermo dal 2007 e fino ad allora portato avanti dagli Emirati Arabi Uniti. Questi ultimi, impegnati con l’azienda petrolifera di stato IPIC, avevano sospesi i lavori a causa della precaria situazione del Belucistan, dove è attivo un movimento separatista che, secondo le autorità pakistane, sarebbe sostenuto da India e Stati Uniti.

La sicurezza in Belucistan, assieme alle già ricordate pressioni statunitensi su Islamabad, è uno dei motivi principali anche della riluttanza cinese ad avviare finora lo sviluppo del porto di Gwadar e, allo stesso modo, rimane una minaccia sia sui progetti siglati in queste settimane tra Iran e Pakistan sia sulla nascita di una già non semplice partnership strategica tra i due paesi vicini.

Al di là dell’eventuale riuscita dei piani energetici che dovrebbero avvicinare ulteriormente un complicato alleato degli Stati Uniti, come il Pakistan, a due loro rivali strategici, come la Cina e l’Iran, quel che sembra emergere dal fermento diplomatico di Teheran, Islamabad e Pechino è la conferma del rimescolamento degli equilibri in atto nella delicatissima regione centro-asiatica sullo sfondo della corsa alle sue risorse energetiche e del relativo disimpegno americano dall’Afghanistan alla fine del 2014.

Un’evoluzione il cui esito è ancora tutto da verificare e che si intreccia con le tradizionali rivalità (tra India e Pakistan e tra India e Cina) ed alleanze (tra Cina e Pakistan) che caratterizzano i rapporti tra i principali attori nella regione, rispettivamente aggravate o rafforzate dalle trame messe in atto da Washington fin dall’occupazione afgana del 2001, decisa precisamente per rafforzare la presenza americana in quest’area cruciale del pianeta.

Michele Paris - Altrenotizie

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