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Nel comunista uomo sociale il ricomporsi di gioia e di dolore

(13 Marzo 2013)


L’Io e la sua Coscienza sono fantasmi borghesi. «È compagno militante comunista rivoluzionario chi ha saputo rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l’arco millenario che lega l’ancestrale uomo tribale, lottatore con le belve, al membro della comunità futura, fraterna nell’armonia gioiosa dell’uomo sociale».

Così è scritto nelle tavole del nostro Partito, sintesi della critica marxista all’idealismo borghese e alla pretesa della prima borghesia rivoluzionaria di esprimere una concezione totale e definitiva del mondo. Le speculazioni della nuova classe resteranno per sempre impigliate nel dualismo tra realtà oggettiva e coscienza soggettiva, tra libertà e necessità, tra individuo, specie e mondo “oggettivo”, esterno al pensiero.

Soltanto il marxismo, fin dal suo sorgere, compirà il balzo, che lo sviluppo materiale della realtà sociale rende ormai possibile, sciogliendo l’enigma: l’unità, di spirito e materia, di pensiero e realtà, va ricercata non nel rapporto tra uomo e natura, ma in quello tra individuo e specie, e sarà il risultato non dell’evoluzione critica del puro pensiero, ma della prassi sociale, dell’azione rivoluzionaria del proletariato che sfocia nella rivoluzione e nel comunismo.

Mentre i borghesi ragionano in nome dell’uomo astratto, categoria in cui la realtà storica delle classi e della classe proletaria non trova posto, Marx nei Manoscritti del 1844 affronta il problema dell’emancipazione dell’umanità partendo dalla prassi, dall’uomo reale, cioè della specie umana:

«Il soggettivismo e l’oggettivismo, lo spiritualismo e il materialismo, l’agire e il sentire, perdono la loro opposizione solo nello stato sociale, e quindi perdono la loro esistenza fatta solo di tale contrapposizione. Lo scioglimento delle opposizioni teoretiche è possibile soltanto in maniera pratica, solo a mezzo dell’energia pratica degli uomini, e questa soluzione non è un compito della conoscenza sola, ma anche un compito reale della vita, che la filosofia non poté sciogliere, proprio perché essa intendeva questo compito soltanto come compito teoretico».

La tesi si potrebbe quindi così scrivere: una sola pratica umana è immediatamente teoria, la rivoluzione.

Il proletariato sviluppando la socializzazione del lavoro – nel mutare la sua forza soggettiva vivente in beni di consumo, materie prime e macchine – predispone la base economica del comunismo. La soggettività proletaria alla fine trionfa sull’oggettività borghese di cui essa è la fonte. Il movimento dell’autoalienazione, la vendita della forza lavoro, si capovolge in quello dell’abolizione dell’alienazione.

La società comunista non è più soltanto una ipotesi scientifica, una astrazione, il teorico programma di un partito, ma l’abbagliante potenza di un necessario rivoluzionamento dell’umanità. Qui il segreto del “rovesciamento della prassi”, scoperto non nella coerenza di un sistema di pensiero o nella volontà di singoli, ma dall’intervento a tempo maturo del partito comunista nel vivo scontro delle classi sociali.

Il marxismo è il prodotto di tutta la storia umana, ma poteva nascere solo grazie alla lotta della classe proletaria. Secondo le parole di Marx nella Guerra civile in Francia, il proletariato «non ha da realizzare ideali, ma da liberare gli elementi della nuova società di cui è gravida la vecchia e cadente società borghese».

Il brano dal quale estraiamo i passaggi seguenti è tratto dalle note scritte da Marx all’opera di James Mill, vero manifesto contro ogni individualismo. La polemica è impostata, hegelianamente, come un dialogo tra i personaggi Io e Tu, perché Marx sulla ipotesi astratta di un rapporto fra persone fonda dialetticamente la costruzione di una critica che, partendo dall’individuale egoismo borghese e mercantile si capovolge nei delineati caratteri della società futura.

«Certamente tu, in quanto uomo, sei in un rapporto umano con il mio prodotto: tu hai bisogno del mio prodotto. Questo dunque esiste per te come oggetto del tuo desiderio e della tua volontà. Ma il tuo bisogno, il tuo desiderio e la tua volontà sono impotenti nei riguardi del mio prodotto».

In una società di proprietari Tu non puoi semplicemente stendere la mano e prendere il prodotto che appetisci ma del quale Io sono proprietario poiché la forma sociale te lo vieta. In altre parole, la forma sociale non riconosce a qualsivoglia essere umano il diritto di consumare la mia produzione, ma lo riconosce solo a me o a chi mi paghi.

«Il tuo bisogno, il tuo interno appetire sono legami che piuttosto ti rendono dipendente da me, perché ti mettono in uno stato di dipendenza dal mio prodotto. Ben lontani dall’essere il mezzo per darti un potere sulla mia produzione, essi sono un mezzo per dare a me un potere su di te».

Nella società mercantile lo scambio, lungi dal rappresentare due libere volontà che si sorridono venendosi incontro, nasconde in realtà due atti di violenza. La mia potenza sul pane che ti toglierà la fame è quella di farti morire, e ti puoi sottrarre solo se disponi del denaro che passi in mio possesso. Questo rapporto tra merci segnato da una algida uguaglianza aritmetica – merce/denaro – diventa rapporto tra uomini, e si disvela rapporto peggiore di quello tra lupi. L’umanità vive nel sistema sociale più insicuro, misero e spietato della storia, nonostante l’enorme grado di sviluppo raggiunto dalle forze produttive.

«Supponiamo di aver prodotto in quanto uomini». Marx fa un balzo nel tempo: quando, estinta nell’uomo l’angustia proprietaria, allorché il prodotto del lavoro ed il lavoro stesso non avranno più come finalità lo scambio mercantile, il lavorare e il produrre avranno fine e gioia in se stessi. Solo allora non ci saranno più categorie intorno a cui arrovellarsi e parole come Libertà e Valore perderanno di senso perché la società senza antagonismi economici non avrà più per soggetto la Persona. Lo storico dialogato tra l’Io e il Tu non troverà scioglimento nell’assoggettamento di uno dei due, e nemmeno nel loro equilibrio o equipollenza in una democrazia mercantile e “popolare” di produttori liberi, vana ideologia piccolo borghese, ma si risolverà nella fusione dei due personaggi, nell’Uomo Sociale del comunismo salito alla pienezza della gioia di una vita fino allora ignota.

Quando supponiamo di produrre “in quanto uomini” – cioè non come oggi, servi o mercanti, per essere pagati – allora «ognuno di noi avrebbe doppiamente affermato nella sua produzione se stesso e gli altri», e nessuno dunque negato se stesso e la sua umanità.

Le “figure”, non più “cittadini”, Io e Tu continuano il loro dialogo, ma è l’Uomo sociale che parla con se stesso. Producendo in quanto uomo «io avrò: 1) materializzata nella mia produzione la mia “individualità”, e la sua “particolarità”, e per questo fatto avrò gioito tanto durante l’attività di una “manifestazione della vita individuale”, che nella contemplazione dell’oggetto prodotto; io avrò provata la gioia individuale e riconosciuta la mia persona e la mia potenzialità nella sua forma materializzata e sensibile, ossia senza dubbio alcuno. 2) Nella tua soddisfazione e godimento per l’uso del mio prodotto io troverò un godimento immediato, tanto per la consapevolezza di avere soddisfatto un bisogno umano col mio lavoro, che per avere materializzata la natura umana e quindi procurato ad un altro essere umano l’oggetto che corrisponde alla sua. 3) Di essere stato per te l’intermediario tra te stesso e la specie umana, e per tal fatto di essere sentito e riconosciuto da te come un complemento del tuo proprio essere come una necessaria parte di te stesso, e dunque sapermi affermato tanto nel tuo pensiero che nel tuo amore. 4) Di aver prodotto nella mia manifestazione di vita individuale la tua manifestazione di vita e di avere dunque affermato e realizzato nella mia attività, direttamente, la mia vera essenza; ossia il mio essere umano e il mio essere sociale».

La vittoria sulla estraniazione dell’uomo vivente ad opera dell’infamia della proprietà privata è così formulata nei Manoscritti: «Il comunismo, positiva abolizione della proprietà privata, e dunque soppressione dell’estraniazione dell’uomo da se stesso, quindi effettiva conquista dell’essenza umana da parte dell’uomo e per l’uomo; e per questo ritorno completo, cosciente, raggiunto attraverso l’intera ricchezza dello sviluppo passato, dell’uomo per sé quale uomo sociale, ossia quale uomo umano».

Segue nel testo la tesi che non vi sarà più motivo di distinguere tra la vita individuale dell’uomo e la sua vita generica, cioè di specie. L’antica favola della coscienza del singolo viene tolta di mezzo: «Con la coscienza di specie l’uomo constata la sua reale vita sociale, e non fa che ripetere la sua esistenza nel suo pensiero; come inversamente l’essere di specie si constata nella coscienza di specie, e nella sua generalità, come essere che pensa, ha esistenza reale».

Matura il superamento della persona singola: «L’uomo, per quanto sia un individuo particolare (...) è tuttavia la totalità, la totalità ideale, la soggettiva esistenza della società che essa stessa pensa e sente (...) Pensiero ed essere sono dunque distinti, ma nello stesso tempo sono unità tra di loro».

Il millenario dilemma se si debba ipotizzare prima la realtà, l’essere, o prima il pensiero, è definitivamente sciolto. La critica radicale di Marx all’imbroglio dualista non risparmia il senso e l’esperienza: che il senso fosse individuale, e non collettivo e sociale, era una illusione determinata dal rapporto storico della proprietà privata. Non esiste l’occhio, l’orecchio dell’individuo, ma l’occhio e l’orecchio della specie. Dopo la soppressione della proprietà privata, nel comunismo, «l’uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale, e quindi come uomo totale. Tutti i rapporti umani che l’uomo ha col mondo, e quindi vedere, udire, odorare, gustare, toccare, pensare, intuire, sentire, volere, agire, amare, in breve tutti gli organi che costituiscono la sua individualità, come gli organi che sono nella loro forma immediatamente organi comuni, sono nel loro oggettivo comportarsi, ovvero nel loro comportarsi verso l’oggetto, l’appropriazione di questo, per la effettualità umana; il loro rapporto con l’oggetto è la constatazione della effettualità umana. Questa manifestazione è tanto multipla quanto le determinazioni e attività umane, l’agire e il patire dell’uomo, perché le sofferenze prese nel senso umano sono un godimento proprio dell’uomo».

Il cammino verso l’uomo comunista non si illude di poter sopprimere il dolore, ma di raggiungere un ricomporsi, una riappropriazione, naturale, umana, di gioia e di dolore.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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