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(Lotte operaie nella crisi)

Abbandonati i proletari sardi in una lotta solitaria e coraggiosa

(20 Marzo 2013)

A tutte le latitudini, con la crisi economica mondiale, la classe borghese sta sferrando continui attacchi contro la classe operaia, che a sua volta tenta di opporsi a difesa della propria condizione di misera esistenza. Anche in Sardegna non mancano episodi di questa dura lotta contro i licenziamenti seguiti alla fuga dei capitali verso altri lidi più rimunerativi. Alcoa, Euroallumina, Vinilis, Rockwool, etc. sono le fabbriche più colpite in una regione sempre ad economia debole, spesso sostenuta da finanziamenti pubblici statali o regionali, che ultimamente sono venuti a mancare.

La Sardegna si colloca tra le regioni più povere, dopo la Campania, la Basilicata e la Calabria. Gli occupati sardi sono 603 mila: 35 mila lavorano nell’agricoltura, 105 mila nell’industria, 461 mila nei servizi. I salariati sono 438 mila.

Secondo i dati dell’ultimo trimestre 2012, la disoccupazione è salita al 14,6% (Italia 11,2%) dall’11,1% dell’anno precedente. I disoccupati ammontano in numero assoluto a 386.585. In cerca di prima occupazione sono 103 mila (erano 78 mila un anno fa). Per i giovani da 15 al 24 anni la percentuale dei disoccupati è il 42% (Italia 36,5%) mentre nella fascia dai 25 ai 34 anni il 19% (Italia 15%)

Immancabile la reazione di rabbia degli operai a difesa della propria esistenza. Il 13 novembre i “professori” allora al governo si presentarono a Carbonia con l’intento di frenare il malcontento, illustrando un progetto di risanamento con promesse di ingenti investimenti (circa 400 milioni). Ma gli operai non si sono fatti imbonire: a fine mattinata i ministri Passera e Barca si salvano solo scappando in elicottero, rimangono feriti 20 agenti e 2 operai e centinaia di “autorità” bloccate nell’area della ex miniera per non subire la sassaiola.

La maschera dell’opportunismo rotola nella polvere della miniera. Cherchi, ex PCI, ex sindaco di Carbonia, ex parlamentare, ma sempre in carica come traditore sbotta: «Suscita amarezza che un accordo utile e positivo per il Sulcis si sia concluso negli scontri. Enti locali e sindacati hanno invitato il governo nel Sulcis: legittimo non essere d’accordo ma l’ospite [o l’ordine?] è sacro!» (“Unione Sarda” del 14 novembre). Il sindacato di polizia incalza: «inaudita l’azione distruttiva dei lavoratori del Sulcis nei confronti delle forze dell’ordine, lamentiamo la latitanza delle istituzioni. L’attacco contro i poliziotti con sassi e vernice rievoca i momenti bui della nostra repubblica. Non vorremmo che questi atti sfocino oltremodo in azioni ancora più gravi per fare da cassa di risonanza e portare in prima pagina l’esasperazione occupazionale». Un delegato Cisl degli appalti Alcoa: «Siamo i primi a condannare la violenza. Non saremmo mai voluti arrivare a questo tipo di scontro, la situazione è sfuggita di mano. Sappiamo che da questo protocollo di intesa nascerà una nuova possibilità per il Sulcis e questo ci rende felici» (sic!).

Intanto, nei giorni successivi, mentre il governo prepara i piani di intervento, gli stabilimenti sardi dell’Alcoa vengono chiusi, rimangono a casa 500 operai assieme ad altrettanti delle ditte appaltatrici. Questi ultimi, il 7 gennaio occupano la stessa miniera di Serbariu, teatro degli scontri, per rivendicare i 46 milioni promessi come ammortizzatori sociali.

In questa società, basata sul rapporto oppressivo tra Capitale e Lavoro, la lotta rimane una necessità quotidiana come scontro inevitabile tra due classi antagoniste con interessi opposti. È in questa lotta che la classe operaia sperimenta la sue reale condizione subalterna al capitale e ravvisa i suoi nemici: l’opportunismo dei partiti politici sedicenti operai, lo Stato capitalista che si erge con tutta la sua forza contro il proletariato in lotta, i sindacati di regime sostenitori della pace sociale.

Finché perdura e s’impone questa politica opportunista e traditrice la lotta giusta e legittima viene affossata e dispersa in mille rivoli settoriali e aziendali, senza un minimo di collegamento e organizzazione territoriale. Con i moti di Buggerru del 1904 venne proclamato il primo sciopero generale nazionale, quando il sindacato marciava in sintonia con la classe operaia e ne prendeva la direzione mentre oggi si trascina in coda con l’intento di spegnere l’incendio della lotta.

A questa classe operaia il Partito Comunista Internazionale indica la via della lotta di classe, fuori e contro gli attuali sindacati di regime, l’unità di tutte le lotte nel richiedere il lavoro obbligatorio per tutti o il salario pieno ai disoccupati. Questa è la linea che solo un partito rivoluzionario, formatosi e arricchitosi con le lotte operaie di tutti i paesi, sa dare anche proletariato di singole regioni per la difesa di sue particolari condizioni di lavoro, per la sua stessa vita e per la liberazione dal suo stato di schiavitù.

Partito Comunista Internazionale

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