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Salvate la Sanità

Salvate la Sanità

(28 Novembre 2012) Enzo Apicella
Secondo Monti il sistema sanitario nazionale è a rischio se non si trovano nuove risorse

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Sanità, i tagli e le favole

(20 Marzo 2013)

ticksan

Mercoledì 20 Marzo 2013 00:00




Ora che finalmente lo spread sembra uscito dalle prime pagine dei giornali, sono i problemi reali a tornare prepotentemente all’attenzione della politica e delle istituzioni. La lista delle urgenze inizia senza dubbio dall’emergenza sanità che alcune regioni del Paese attanaglia in modo particolare. Il Rapporto OASI dell’università Bocconi offre un quadro drammatico con preoccupanti elementi di novità del sistema sanitario nazionale.

A fronte dell’aumento dei ticket, di 5 milioni di tasse locali in più, addizionali Irpef in aumento a iosa per evitare di finire con i bilanci in rosso, i servizi sanitari non hanno comunque tenuto il passo, costringendo sempre più cittadini a rivolgersi al privato, spesso con la beffa di pagare di meno per medesime prestazioni specialistiche.

Il marketing dei centri privati ai tempi della crisi batte il deficit del sistema sanitario nazionale o, per meglio dire, la tolleranza agli sprechi. Perché rimane questo, a detta della Fiaso (la Federazione di ASL e ospedali) il responsabile numero uno del disastro sanità.

La riqualificazione del management sanerebbe molto meglio i conti di quanto non abbiano fatto finora i tagli orizzontali e il cieco rigore finanziario. La direzione giusta, come indicato in sede europea a Dublino da tutti i ministri di sanità d’Europa, è quella di attribuire a questi stessi dicasteri la gestione della loro economia e finanza.

Una scelta che nasce dall’ammissione condivisa, da una filosofia diremmo, secondo la quale investimenti nella ricerca e nella cura non possano finire nel computo del deficit nazionale, tantomeno la cura dei cittadini e la loro assistenza sanitaria che a tutto può servire tranne che a fare cassa e profitto in breve tempo a meno di non voler vedere tutti i malati cronici deceduti.

La rivoluzione necessaria per non far collassare il sistema sanitario nazionale non inizia dai numeri del debito, ma dall’approccio alla cura e da un ripensamento complessivo dei servizi fatto di territorialità, altissima specializzazione ed efficiente prevenzione: l’unica arma scientifica che può ridurre l’impatto economico – sul lungo periodo - della sanità. Quindi da criteri selettivi nella formazione e nel reclutamento del personale, da una migliore integrazione di clinica e assistenza sanitaria, e non da ultimo da trasparenza. Infine rigore. Non quello modaiolo dei grafici della finanza, ma quello delle buone regole e delle tutele.

Quello che deve imporre a tanti medici della vecchia casta di non spartire più a part time l’ospedale con la clinica a sfregio di lasciare gli ambulatori in mano a ricercatori specializzati con contratti fantasma e pochi spiccioli. Di non tenere macchine diagnostiche di ultima generazione imballate perché non si ha modo di formare il personale addetto.

Tutto questo che, soprattutto da Roma in giù, colleziona le sue prove magistrali non è il frutto della povertà, ma di una montagna di denaro sprecata altrove e male, in una parola dell’amministrazione errata. Il responsabile non è la crisi, ma la politica.

La crisi è quella che spinge i privati a fare buon marketing dei propri servizi sanitari. L’incompetenza è quella che spinge sempre di più i cittadini a rinunciare all’ospedale a causa delle infinite attese, a causa di un percorso di assistenza sanitaria che dal medico di base allo specialista arriva a singhiozzi e con scarsa chiarezza, a causa, infine, di una disperazione che sulla vita non accetta le ragioni della borsa, perché il diritto alla salute, in un paese civile, è quel costo altissimo che non importa quanto, ma tutti potranno pagare

Rosa Ana De Santis - Altrenotizie

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