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(22 Ottobre 2012) Enzo Apicella

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"Cimitero dei feti”: tra strumentalizzazioni ed eccessi

(23 Marzo 2013)

L’ultima inaugurazione di un “cimitero per bambini mai nati” risale a pochissime settimane fa, è avvenuta a Monopoli, in Puglia, ed è stata seguita, come al solito, da infinite polemiche. La legislazione in materia risale a trent’anni fa, ma solo da pochissimi anni, in seguito alla spinta dei movimenti antiabortisti (in particolare il Movimento per la Vita), comincia ad essere applicata, con grande gioia dei cattolici. Esistono anche associazioni slegate dalla Chiesa che hanno contribuito alla realizzazione di questi luoghi, come CiaoLapo, associazione di genitori che hanno subito un lutto perinatale. La sinistra, invece, si schiera compattamente contro. L’utilizzo strumentale di queste iniziative da parte delle organizzazioni cattoliche, che vorrebbero riconoscere ai feti pieni diritti e che quindi, come estrema conseguenza, vorrebbero che l’aborto volontario fosse considerato un omicidio, fa chiudere in trincea tutti coloro che difendono la 194, che vedono in queste iniziative un ulteriore attacco morale alle donne. L’esigenza di difendere questo sacrosanto diritto rischia però di accecare i suoi sostenitori. Pur nella consapevolezza della strumentalizzazione dei cattolici, bisognerebbe essere più cauti nell’approcciarsi a certi argomenti. La libertà di scelta, che giustamente rivendichiamo con forza, dovrebbe valere anche verso chi sente l’esigenza di seppellire un feto. Se ci soffermassimo un attimo a riflettere sull’argomento potremmo accorgerci che, dietro la vergognosa strumentalizzazione dei cattolici, c’è qualcos’altro, un dolore che merita di essere rispettato. Il lutto delle molte coppie che perdono un figlio prima della nascita non trova spazio in questa società, rimane inascoltato e crea disagio oltre che dolore. Le dichiarazioni di fuoco, i sit-in di protesta, non fanno altro che far sentire i protagonisti di queste dolorose vicende come “pedine” in giochi politici che avvengono sulla loro pelle. Il punto non dovrebbe essere la legittimità o meno di un embrione di essere considerato “persona”, ma la legittimità del dolore dei genitori. Una coppia che desidera un figlio lo ama e lo immagina sin dal momento in cui appare la lineetta sul test di gravidanza. Essere incinta significa entrare in una dimensione speciale, piena di progetti e aspettative, colma di amore, se quel sogno si interrompe il dolore è enorme. Non si tratta dunque di misurare il grado di sviluppo del feto, ma di accogliere il dolore di una madre e di un padre. Questo non dovrebbe confliggere in nessun modo con l’esperienza, diversa, di una gravidanza indesiderata, durante la quale non si prova alcuna gioia al pensiero che uno spermatozoo sia riuscito a conficcarsi in un proprio ovulo. Una donna che affronta l’interruzione volontaria di gravidanza senza rimorso non è certamente un mostro, sono situazioni personali che non possono essere giudicate. Così come il desiderio di seppellire il proprio bambino, morto durante la gravidanza, non dovrebbe sollevare un coro di proteste. Personalmente l’idea di seppellire un embrione risalente al primo trimestre di gravidanza mi lascia molto perplessa, in quell’epoca gestazionale non hanno nemmeno una forma definita, ma non alzerei gli scudi nemmeno su questo. Sono decisioni private sulle quali è giusto avere la massima libertà di scelta. Preferirei anche che si abbandonasse l’eccessivo culto del corpo dei morti, non seppellire un corpo non dovrebbe coincidere con l’impossibilità di vedersi riconosciuto il proprio dolore, ma sono mie opinioni che non imporrei certo per decreto ad altri. In generale mi piacerebbe che la cultura di sinistra e femminista rivelasse una maggiore sensibilità rispetto ai cattolici e alle destre, che fanno leva sul dolore nel tentativo di obbligare chiunque a conformarsi alla loro visione della vita. Piangere il proprio bambino nato morto merita rispetto e non dovrebbe risultare offensivo per le donne che decidono di abortire, questa grottesca contrapposizione tra “donne che piangono” e “donne senza rimorso” non fa che alimentare il gioco di chi ci vorrebbe suddivise tra buone e cattive. Alla base dei rapporti umani invece ci dovrebbe essere soltanto il rispetto, rispetto per il dolore e rispetto per le scelte altrui.

Enrica Franco - Pcl Pesaro

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