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Raffaele De Grada 1916 2010

Raffaele De Grada 1916 2010

(4 Ottobre 2010) Enzo Apicella
E' morto all’età di 94 anni Raffaele De Grada, comandante partigiano, medaglia d’oro della Resistenza, critico d'arte.

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Scetticismo e comunismo

(25 Marzo 2013)

Una delle ragioni del diffuso scetticismo nei confronti del comunismo è l'incapacità di immaginare una società diversa dalla nostra. Ci sono, è vero, movimenti cosiddetti alternativi, che presentano programmi che pretendono di combattere il mercato, il consumismo, lo sviluppo senza fine. Ma, a ben guardare, si vede che queste presunti progetti anticapitalistici contemplano la piccola proprietà privata, la moneta, il salariato, il profitto, le banche “etiche”, il profitto “equo e solidale”, e così via. Vogliono eliminare il capitalismo lasciando intatte le sue categorie. E' come pretendere di superare il feudalesimo lasciando intatti maggiorascato, erbatico, servitù della gleba, corvées, jus primae noctis...

Era più facile prendere le distanze dal capitalismo nell'Ottocento, quando i forti residui feudali o di un'economia mercantile semplice offrivano termini di paragone; la consapevolezza degli sviluppi storici passati rendeva più comprensibile il carattere storicamente transitorio di ogni sistema economico sociale.

Ogni società può vivere e progredire grazie alla presenza di un lavoro passato accumulato (macchinari, materie prime, semilavorati...) e del lavoro presente immediato, che impedisce al lavoro passato di andare perduto per il mancato uso, e crea nuova ricchezza. Il lavoro degli operai, ad esempio, impedisce alle macchine di andare alla malora, e crea nuovi prodotti. Gli economisti borghesi, proiettando abusivamente le condizioni della nostra società nel passato e nel futuro, chiamano sempre e comunque questo lavoro morto “capitale”, estendendo tale denominazione persino al più modesto aratro di legno dell'antichità. Macchine e materie prime sono capitale soltanto in un preciso contesto sociale. Il telaio con cui un tempo le donne tessevano i panni esclusivamente per la famiglia era una macchina, ma non capitale, perché non operava per il profitto.

In altri sistemi economico-sociali il lavoro vivente era dominante, e si serviva del lavoro morto per una nuova produzione. Società tecnicamente non molto avanzate, ad esempio gli Incas, con la canalizzazione delle acque e la creazione di grandi depositi di mais riuscivano a provvedere ai bisogni essenziali della popolazione, mentre il capitalismo, pur dotato di tecniche avanzatissime, non è in grado di farlo e affama strati ingenti della popolazione mondiale. I Sumeri controllavano razionalmente le acque, mentre il capitalismo, pur disponendo di mezzi pressoché illimitati, non fa nulla per evitare le alluvioni e ci guadagna pure con la ricostruzione.

Questo perché nel capitalismo il rapporto è capovolto, c'è il dominio del lavoro accumulato sul lavoro vivente, che serve come mezzo per accrescere il valore del lavoro morto. Lo scopo di una fabbrica capitalistica non è soddisfare le esigenze del consumatore o dare lavoro agli operai, ma ricavare profitto. Se questo non si ottiene, i capitali sono trasferiti altrove, con buona pace di operai e consumatori. Macchine modernissime, tesori di competenza tecnica vanno sprecati. Il capitalismo non è l'economia dei consumi, ma quella dello spreco.

Il capitalismo è possibile perché una parte crescente della società, che non possiede alcun mezzo di produzione, il proletariato, è costretta a vendere la propria forza lavoro in cambio di un salario. Il capitalista è lo strumento umano di questo sfruttamento, ha grandi privilegi, ma non può cambiare le regole. O accentua sempre più lo sfruttamento o fallisce.

Il dominio del lavoro morto sul lavoro vivente spiega perché è un'illusione il capitalismo dal volto umano. L'uomo è l'accessorio della macchina, non viceversa. Lo stesso wellfare non è altro che un indoramento delle catene per i lavoratori, che non hanno scelta: o accettano di sottomettersi ai diktat del capitale o scelgono la fame.

Il proletario lavora quando il capitalista glielo permette, e accresce il capitale logorando i propri muscoli, le proprie ossa, i propri nervi.

Dal punto di vista economico il proletariato è spesso sconfitto. Nelle lotte sindacali, il capitalista può di solito resistere più di lui, ma nelle lotte politiche, in certe occasioni storiche, i lavoratori si possono prendere la rivincita, anche se i risultati sono provvisori. Ad esempio, quando le lotte hanno imposto agli stati di fissare per legge precisi limiti agli orari di lavoro, di combattere la nocività in fabbrica, d'impedire il licenziamento delle donne incinte, e così via. Queste conquiste politiche sono perdute ogni volta che i lavoratori abbassano la guardia.

E' possibile una vittoria definitiva, un nuovo ribaltamento col ritorno del dominio del lavoro vivo? Sì, ma non certo col ritorno del piccolo contadino, proprietario dei propri modesti mezzi di produzione (terra, strumenti, masserizie...) o dell'artigiano, infinitamente meno produttivi della fabbrica o della fattoria capitalistiche. E' possibile, espropriando i capitalisti, gestire sul piano collettivo le grandi fabbriche e la grande agricoltura, indirizzandole non più alla ricerca del profitto ma alle necessità della popolazione.

Eliminazione, dunque, delle produzioni inutili o dannose, incrementando quei prodotti che soddisfano i bisogni essenziali, fine della speculazione edilizia e riconversione dei terreni all'orticultura, fine della sofisticazione dei cibi, sostituzione del traffico caotico e inquinante con trasporti pubblici, ecc.

Finché la rivolta proletaria non lo avrà distrutto, il capitalismo continuerà ad avvelenare l'aria, a distruggere i campi, a sporcare fiumi e mari, a sterminare migliaia di specie animali, ad affamare interi popoli, a trascinare le nazioni in guerre, a trasformare in un inferno la vita nelle città, a condannare all'isolamento e al sottosviluppo chi vive in campagna.

Chi non ha capito tutto questo si limita a battaglie settoriali (per l'ambiente, per la scuola, contro la corruzione...) senza cercare di collegarle fra loro e individuare la matrice unica del presente sfascio, la “Auri sacra fames “, la ricerca ossessiva di plusvalore del capitale.



20 marzo 2013

Michele Basso

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