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(21 Settembre 2012) Enzo Apicella

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    Per l’Ilva, e tutti gli altri stabilimenti inquinanti:
    SALUTE, AMBIENTE E SALARIO COMUNQUE !!!

    (28 Marzo 2013)

    Dal numero III (anno I) di "Alternativa di Classe"

    La vicenda ILVA a Taranto. Come noto, nell’Estate 2012, i magistrati tarantini, finalmente, seppur tardivamente, dopo uno scempio durato decenni, sono intervenuti sulla questione dell'inquinamento provocato dallo stabilimento ILVA, disponendo l’arresto di padroni ed alta dirigenza del gruppo Riva (primo produttore di acciaio italiano, e quarto in Europa) e sequestrando sia parte degli altoforni che dei prodotti
    stoccati, pronti per la vendita. Subito arrivò la reazione stizzita del gruppo padronale con la minaccia di licenziamento dei 20000 operai di acciaieria ed indotto. Immediatamente i partiti politici ed i sindacati più pavidi e compiacenti presero posizione a favore del gruppo capitalistico ad ogni livello mediatico; “il lavoro e la produzione prima di tutto”, si affannavano a dichiarare questi sindacalisti, oppure anche “non possiamo lasciare alla concorrenza la possibilita di entrare nel mercato italiano!”. I politici, le televisioni ed i giornali di quei giorni non facevano altro che amplificare questi contenuti, tacendo o minimizzando la realtà dell’area tarantina: un inquinamento altissimo, non solo all'interno dello stabilimento, ma anche al suo esterno, con le gravi patologie che vi si manifestavano da anni, soprattutto vascolari e respiratorie, comprese quelle tumorali, accertatamente dovute alle polveri di carbone, alla diossina, ai metalli, emessi in vario modo dagli impianti dello stabilimento!
    In realtà i padroni dell'ILVA, prima pubblici, poi privati (subentrati nel ‘95 allo Stato), hanno fatto il loro mestiere: per prima cosa la produzione ed il profitto, poi venivano, semmai, l'ambiente, gli operai ed i cittadini, con o senza bisogno di corrompere. Lo stabilimento di Taranto fu iniziato a costruire nel ’61 ed inaugurato nel ‘65, quando, come Italsider, era dell’IRI, sotto controllo pubblico. Un tempo, infatti, l'inquinamento, anche tossico, veniva considerato dai più “un prezzo da pagare” per avere un lavoro sicuro in un area ( il sud-Italia, e non solo) di scarse possibilità lavorative. Infatti, l'inquinamento nell'area risale fino dall'apertura dello stabilimento, ed i poltici locali, di qualsiasi colore, su questo hanno sempre “chiuso un occhio”… Col tempo, però, la sensibilità per l’ambiente e la salute andavano aumentando, “costringendo” i governi ad approvare legislazioni un po più severe, con controlli e monitoraggi, in teoria costanti, anche dei dintorni degli stabilimenti, nonché obblighi di interventi sulle fonti di inquinamento. Tutto ciò, per i padroni dell’ILVA, era troppo oneroso: molto meno costoso, e più efficace, era infatti corrompere quanti più politici e responsabili dei controlli possibile, per far risultare sempre lo stabilimento come “rientrante” nei limiti di
    inquinamento accettati dalla legge vigente in quel momento! Nel ’96 fu addirittura firmata un’Intesa con FIM, FIOM e UILM, alle quali l’ILVA s’impegnava a versare annualmente ben 850 milioni di lire, pari a € 438000,00 all’anno per un “nuovo” Circolo aziendale… Sono state, allora, le mobilitazioni sempre più forti ed organizzate, che si sono poi verificate a Taranto, la vera causa per cui la magistratura si è mossa.
    In base ad un Protocollo di Intesa, firmato proprio il 26 Luglio 2012 (data della Disposizione di Sequestro degli impianti, firmato dal GIP Todisco, e poi confermato dal Tribunale del Riesame) da Governo, Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto e Commissario straordinario del Porto, il 3 Dicembre ’12 il Governo Monti approvava un Decreto Legge per sbloccare dal sequestro gli impianti da risanare. Il 24 Dicembre, il “regalo di Natale”: il Parlamento trasformava il Decreto nella Legge n. 231, contro cui la Procura ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale. Il Decreto è stato prontamente ribattezzato “salva-Riva”.
    Da mesi stanno procedendo, non senza un forte stanziamento da parte dello Stato, i lavori di “ambientalizzazione”, insieme alla produzione, che continua a garantire al Gruppo Riva i suoi profitti.
    Intanto il 28 Febbraio si è avuto il terzo morto sul lavoro da Ottobre ad oggi e l’ennesimo ferito grave (vedi Comunicato del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti a pag. ), a dimostrazione di quanto non sia compatibile e sicura la contemporaneità fra produzione e risanamento! L’accertamento delle responsabilità, se la “democrazia” avesse un senso, avrebbero dovuto portare ad un obbligo per i Riva a fermare tutti gli impianti, utilizzando il personale, ad orario di lavoro ridotto ed a salario pieno, per una ambientalizzazione interamente a loro carico, e, per giunta, con un indennizzo forzoso degli abitanti del quartiere popolare di Tamburi, che nel tempo hanno subito i danni dell’inquinamento, fino a requisire le proprietà del Gruppo, compreso lo stesso stabilimento! In realtà, non si è voluto fare questo, con la solita scusa, finta quanto mai, della “salvaguardia dei posti di lavoro”! Sono talmente “salvaguardati”, che, a fronte della richiesta dell’ILVA di più di 6400 lavoratori in c.i.g. per due anni, il 14 Marzo è stato raggiunto un accordo sindacale con FIM, FIOM e UILM, che introduce contratti di
    solidarietà per un anno ed un “tavolo semestrale di verifica”, insieme agli enti locali e, per la prima volta (novità molto negativa), ai controllori di sicurezza lavorativa ed ambientale (ISPRA ed ARPA), di cui viene, così, stravolto il ruolo.
    Le “altre Ilva”. Di casi come quello dell’ILVA, o anche peggiori, pur senza il clamore da questo suscitato, ce ne sono almeno altri 60 in tutta Italia, tra centrali termoelettriche a carbon fossile, a nafta, a gas, raffinerie petrolifere e petrolchimiche, cementifici, ecc., mentre, secondo dati della Agenzia Europea per l’Ambiente (E.E.A.), ne sono state censite più di 600 in tutta Europa. Inoltre in Italia ve ne sono altre 4600 circa, in cui è stata accertata la contaminazione ambientale, e più di 1500 potenzialmente contaminanti.
    Dappertutto, la logica concorrenziale, che c’è a livello globale, fa sì che il monitoraggio venga spesso affidato alle stesse aziende che inquinano, a meno di più o meno “solerti” verifiche a posteriori da parte delle autorità, in misura diversa da un Paese all’altro, riducendo cosi il problema della salute pubblica ad una facilmente possibile presa in giro di chi vi abita vicino e di chi vi lavora.
    In Italia, però, il Governo Monti, nel silenzio generale, ha superato i limiti della decenza, con la Legge n. 35/’12 su “semplificazione” e “sviluppo”, che, per “raffreddare” i controlli sulle aziende che inquinano, oltre che per incrementare il business delle “certificazioni ambientali”, dice apertamente all’art. 14 che, per tali aziende, si deve arrivare alla “riduzione o eliminazione” dei controlli pubblici.
    Va evidenziato qui che già qualche Regione, come, per esempio la Liguria, guidata dal centro-sinistra di Burlando (che comprende un arco di forze che va dalla Federazione della Sinistra (FdS) all’UDC), ha prontamente colto l’occasione per coniugare il “raffreddamento” dei controlli con il “risparmio” per la Pubblica Amministrazione. La Liguria ha varato una legge regionale (la L.R. n. 50 del 21 Dicembre ’12) che, oltre a recepire la Legge n. 35/’12, introduce all’art. 18 l’aberrante principio del pagamento dei controlli da parte delle aziende controllate: fin troppo facile pronosticare dove si andrà, così, a parare con i controlli ambientali! Come se non bastasse, questo sta avvenendo in un quadro di generale “allentamento” del deterrente rappresentato dalla pressione di tali controlli…
    Quanto sopra, per quanto grave, non può sorprendere: l’entità dei controlli pubblici su sicurezza ed ambiente è legata alla consistenza dei livelli di lotta dei lavoratori. E’ il sistema capitalistico, il suo “progresso”, che porta, come conseguenza, disastri ambientali e di salute umana per il profitto e l'arrichimento di pochi, nonché lo sfruttamento e la minaccia alla salute per lavoratori e “cittadini”.
    Un esempio per tutti: il Paese dove oggi il capitalismo ha ancora una crescita rapida e grande è certamente la Cina; ebbene, essa ,è divenuta anche il paese più “inquinato” del mondo, dove “le ILVA” non si contano nemmeno: nubi di smog fanno sembrare molte città cinesi come la Londra della rivoluzione industriale di fine '800, i fiumi sono ormai inquinatissimi ed il problema dell'acqua potabile diviene sempre più pesante ogni anno che passa, mentre l’inquinamento del suolo è coperto addirittura dal “segreto di Stato”! Proprio lì la produzione industriale è a livelli che l'Occidente ha dimenticato da tempo, ed i suoi prodotti vengono smerciati ormai in tutto il mondo. Tutto ciò, però, significa super-sfruttamento degli operai cinesi ed esposizione della popolazione a pesanti livelli di inquinamento ambientale; il tutto è nella sola
    logica che conta per i gruppi multinazionali lì insediatisi, ma anche per quelli indigeni, in espansione: la logica del profitto!
    Conclusioni. Nonostante il fatto che nei paesi più “avanzati” esista una legislazione di contenimento e controllo dell’inquinamento, la stessa è soggetta alle variazioni dei rapporti di forza fra le classi: nei paesi “emergenti”, infatti, è da poco tempo che è stato avviato un discorso del genere. Se è vero che si tratta di un “sottoprodotto” delle lotte operaie, è anche vero che tali legislazioni, “ad intensità variabile”, rappresentano una copertura per questo tipo di sistema sociale. Nel frattempo, infatti, lo sviluppo del capitalismo ha significato, e significa, uso ed abuso degli uomini e della natura in senso strumentale ai propri interessi, come, già ai suoi tempi, Engels aveva individuato con chiarezza in “La dialettica della natura”.
    A livello internazionale continua lo scambio economico, attraverso il sistema delle famose “quote verdi” e logiche del genere, con le quali, di fatto, basta pagare, per avere il diritto di inquinare: il tanto decantato principio progressista del “chi inquina paga”, significa solo che ai paesi imperialisti è concesso di continuare ad inquinare il pianeta, dietro il pagamento di una qualche forma di “indennizzo”. E’ così che anche i Paesi meno “avanzati” vogliono mantenere il diritto ad inquinare anche per le proprie industrie, tutelando il capitale indigeno. Tanto, come in guerra, a pagare ed a morire sono sempre i proletari! Essi sono, infatti, i soli ad avere interesse a lottare per la propria salute, in fabbrica e fuori, e quindi, per tutelare se stessi e la propria progenie, lottare per la prevenzione primaria, cioè l’eliminazione delle cause delle nocività, cioè anche per un ambiente sano, sia all’interno che all’esterno di dove lavorano!
    Altro che scelta imposta fra lavoro e salute! Il capitale vuole imporre questa scelta solo per garantire i propri interessi. E’ per questo che, oltre alla salute ed all’ambiente, va rivendicato subito il SALARIO COMUNQUE! Non è responsabilità di chi lavora, se una data azienda inquina! E’ al padrone, invece, che, anche per far cessare ogni ricatto, va imposto, in un modo o nell’altro, un risanamento, fermo restando il pagamento dell’intero salario ai suoi dipendenti, che lavorino o meno! Questa coscienza, che si va, finalmente, diffondendo fra le avanguardie di lotta è senza dubbio, di per sé, un fatto positivo. Per i comunisti, però, non può bastare: è necessario ed urgente cominciare a fare anche un altro passo, e cioè considerare anche il valore d’uso, l’utilità sociale di una certa produzione. Sarà questa la bussola per impostare una lotta che traguardi l’obiettivo migliore, abbandonando ogni aziendalismo: proseguire comunque la produzione, contrastando anche l’eventuale volontà padronale di chiusura per tali tipi di
    attività, oppure, se, indipendentemente dal valore di mercato, si tratti solo di una “produzione di morte”, e/o di una produzione che, come tale, non riveste alcun interesse strategico fondamentale nell’ottica politica della prossima società senza classi, lasciare che, con il fallimento del padrone, l’attività chiuda i battenti, imponendo, comunque, la garanzia della continuità del salario per tutti i lavoratori.

    Alternativa di Classe

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